Bologna a rischio “banlieue”? Una possibilità per la Bologna Meticcia
“Bologna è il comune più a rischio. Forte la differenza di reddito tra italiani e stranieri (oltre 11mila euro nel 2013). Abbastanza alti i tassi di delittuosità (66 arrestati ogni mille immigrati residenti) e la percentuale di detenuti stranieri sul totale (51,5%). In netto calo, invece, la spesa pubblica per l’immigrazione.Al secondo posto Milano, città con la più alta presenza straniera (17,4%) e concentrazione di immigrati in periferia (il 95% vive qui). Anche il tasso di detenuti stranieri è molto alto (61,35).”
Lo scrive Repubblica citando il risultato dell’indagine della Fondazione Leone Moressa che osservando il ranking finale delle città analizzate indica Bologna come la città più a rischio “Banlieue”. Il differenziale tra redditi, il tasso di delittuosità e la percentuale di popolazione carceraria straniera sembrano spaccare in due la città. L’indagine aggiunge che nel 2011 la porzione di spesa pubblica destinata alla popolazione migrante è stata del 2,6% sulla quota complessiva con una diminuzione dello 0,3% rispetto alle percentuali del 2003.
Al di là dell’uso scorretto e sensazionalistico del termine “banlieue”, il movimento antagonista di Bologna conosce gli effetti di queste percentuali in carne ed ossa, essendo parte e quindi in relazione quotidiana con i soggetti sociali a cui si riferisce l’indagine. Un centro sociale occupato in estrema periferia, i palazzi occupati, le decine e decine di picchetti antisfratto fuori mura e le attività che ne conseguono, la partecipazione costante al movimento operaio nella logistica e i collettivi autonomi studenteschi sono anche degli strumenti per misurare quotidianamente la presenza e poi le possibilità politiche che aprono questi contesti di dolore e sofferenza sociale in cui “abita” la nostra gente.
Nel movimento operaio della logistica e nel movimento degli occupanti di case abbiamo scoperto concretamente l’esclusione dalle e anche l’ostilità delle forme della coesione sociale capitalistica nei confronti della popolazione straniera del nostro territorio che inizia a sfumare anche su altre linee di classe comprendendo primi scampoli di povertà indigena. Con le lotte studentesche sperimentiamo quotidianamente possibilità di organizzazione della rabbia sociale espressa da una composizione di proletariato giovanile meticcio determinato da giovanissimi neet di seconda generazione che sono ormai la presenza più numerosa nei cortei del CAS. Nel concreto BoloFeccia e i cortei autonomi studenteschi (quel fenomeno giovanile di classe di cui si è parlato molto lo scorso anno, dopo la rissa con la BoloBene, conclusa con la disfatta di quest’ultima), le lotte degli operai della logistica, e gli occupanti di casa in lotta per il diritto all’abitare sono espressione della possibilità di organizzare in variegate forme le percentuali rese note dall’indagine della Fondazione Leone Maressa. E questo lo si fa a Bologna ben prima che la fondazione paventasse “il rischio Banlieue”, rischio che per noi è una straordinaria possibilità che dà ragione di quanto fatto con metodo e costanza, e indica anche i limiti da superare e rompere oggi e in futuro. Perché una cosa è chiara: o quelle percentuali divengono materia di rapporti di forza con le contro-parti, invertendo quindi le tendenza di impoverimento collettivo, e aumentando il nostro peso in termini di contrattazione sociale senza mediazioni con le autorità dell’austerità cittadine, oppure quelle cifre potrebbero aumentare a danno degli sfruttati e delle sfruttate. Da questo punto di vista centrale e dirimente è una prospettiva pratica di medio e lungo periodo, proprio come fin qui sperimentato, che sia garanzia di organizzazione e strutturazione politica dell’odio di classe che esprime implicitamente la quotidianità della vita in periferia. L’organizzazione è il fondamento della spontaneità nella sua espressione esplicita e nella sua possibilità di potenziamento. Il resto o sono chiacchiere sociologiche oppure sceneggiature per video games.
Il “fare autonomia” negli anni in questi contesti sociali deve quindi continuare a “rivalorizzarsi” nelle asimmetrie del conflitto sociale attuale tentando di dare una risposta affermativa al quesito “Siamo pronti?” che i compagni e le compagne di Roma si ponevano davanti agli eventi di Tor Sapienza e orientare e insistere nei territori con una complessiva iniziativa antagonista che si muove per “aumentare il nostro costo sociale” come esito di una contrattazione senza compromessi con la contro-parte proprio come i quartieri organizzati di Pisa stanno virtuosamente sperimentando.
“Aumento del costo sociale” per l’autorganizzazione e l’autonomia dei territori è la risposta antagonista all’esaurimento dei corpi intermedi e al prosciugarsi progressivo delle risorse che la governance cittadina è disponibile a versare. D’altronde se la fine della mediazione e redistribuzione nelle forme della coesione sociale capitalistica che in tendenza inizia a colpire duro anche “i garantiti dell’altro ieri”, è stata salutata con entusiasmo dalla neo-leadership renziana locale a commento del risultato elettorale regionale, per noi può e deve essere un nuovo territorio sociale da esplorare. Il primato del metodo della composizione della lotta può far divenire quello che per loro è il rischio “Banlieue” in spazio di possibilità per noi, a patto che ci sia la capacità di assumere i processi di organizzazione come costanti invariabili (e indipendenti dai capricci rappresentativi dei ceti politici riscopertisi sarti o sceneggiatori) che chiamano forme della militanza adeguate al contesto.
Se la città di Bologna si sta spaccando in due dobbiamo fare in modo di prendere per le corna la divaricazione per politicizzarne i confini della nostra parte, solo così si può avere la capacità di portare politicamente la periferia al centro della città dell’austerità. E’ un passaggio di cui avvertiamo la spinta durante le nostre lotte quotidiane e di cui dobbiamo essere intelligente acceleratore.
Crediamo che questi siano gli strumenti per preparare un nuovo assalto alla metropoli della rendita, tenendo sempre come bussola e verifica l’efficacia del potenziamento e del radicamento nella prospettiva di fare Bologna una metropoli davvero meticcia.
Lab Crash per la Bologna Meticcia
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