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Breve storia di una scuola all’italiana

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Come ogni anno a metà autunno le scuole ancora piangono insegnanti, è assurdo, ma nonostante le graduatorie straripanti la precarietà dilaga. Ogni anno diminuisce il numero degli insegnanti di ruolo assunti dalle graduatorie, addirittura chi aveva precedentemente superato il concorso, ha dovuto ripeterlo in quanto passati troppi anni e mai chiamati in ruolo. 

In Piemonte, ma non solo, quest’anno su più di 3000 docenti dell’infanzia e della primaria che hanno passato l’ultimo concorso, ne sono stati assunti 166 nonostante le cattedre vuote. In controluce, si può leggere la volontà politica di frammentare la categoria attraverso un sistema di gironi infernali chiamate “fasce”, utili solo a generare una guerra tra poveri. Per non parlare della situazione del personale ATA, sulla quale a seguito della tragedia di Milano i giornali si sono soffermati, riponendo l’attenzione sulle responsabilità dei singoli invece che sulle condizioni in cui si lavora.

Il funzionamento della macchina scolastica è completamente lasciato alla discrezionalità di singoli che a loro volta sono abbandonati dai servizi, navigando nell’incapacità di fare rete per affrontare le numerose situazioni di criticità. Il ricircolo degli insegnanti sfiora ritmi altissimi a causa di contratti precari di varia tipologia, all’ultimo gradino di questa scala c’è la “messa a disposizione”, unica via di accesso rimasta alla scuola pressochè diretta e poco vincolante. La terminologia riflette la sostanza, mettersi a disposizione per la scuola significa andare a coprire quei buchi che ad autunno inoltrato restano scoperti laddove il sistema di graduatorie di varia fascia non ha soddisfatto la domanda. In questo caso, si entra a far parte di un’istituzione per la quale si rappresenta il fondo di un barile che deve rispondere alla richiesta di emergenzialità e di flessibilità. Questo sistema, essendo poco vincolante in termini di titoli pregressi per accedervi, implica che se fa capolino un “avente titolo” occorre lasciare il posto in qualunque momento dell’anno e senza preavviso.

In un contesto del genere, la responsabilità di garantire la continuità viene scaricata sulle spalle degli insegnanti che si trovano ad anno inoltrato a coprire buchi senza alcuna garanzia, senza prospettive, senza passaggio di informazioni. Non è di poco conto il fatto che la maggior parte di coloro che si trovano in questa condizione sono gli insegnanti di sostegno, a totale discapito dei soggetti in condizioni di fragilità psichica, fisica, sociale di cui devono occuparsi. In questo senso, il sistema scolastico accenna la fioca intenzione di fare rete sul territorio chiedendo l’intervento di servizi sociali e asl ma ciò implica doversi scontrare con l’inefficacia dei servizi e la mancanza di fondi per attivare percorsi al di fuori della scuola.

A causa di questi limiti materiali il rapporto che si instaura tra la scuola, la famiglia e i servizi territoriali è marchiato da colpevolizzazione reciproca e si limita a tamponare le criticità nell’impossibilità di mettere in campo un lavoro di lungo periodo e coordinato su più fronti. Molto spesso poi, sono le mamme che diventano il bersaglio congiunto, colpevolizzate da un lato della scuola e dall’altro dai servizi: non si è delle buone madri se si ha un figlio con dei problemi, se non lo si segue abbastanza perchè non si hanno né i mezzi né il tempo. Quelle stesse donne però oltre a occuparsi dei figli, si occupano della casa, dei mariti, lavorano in nero otto/dieci ore al giorno, si trovano a fronteggiare da sole i servizi sociali e la scuola. Allo stesso tempo, chi ricopre una posizione di forza nei confronti delle famiglie sono a loro volta donne, madri, lavoratrici: sono le maestre lasciate sole ad affrontare situazioni di violenza e di disagio, sono le assistenti sociali che non hanno i fondi sufficienti da stanziare per interventi educativi territoriali. Nella frenetica quotidianità scolastica lo spazio per l’ascolto, la cura per lo stare bene nel gruppo classe, l’attenzione alle esigenze di ciascuno e ciascuna dipendono completamente dalla buona volontà e predisposizione di singoli insegnanti. Situazioni di violenze domestiche, di precarietà esistenziali e materiali, di criticità legate alle condizioni di vita quotidiana vengono inascoltate, sminuite e relegate all’intervento di esperti.

Ma che scuola è quella che licenza ogni anno a giugno gli insegnanti e i collaboratori scolastici per beceri calcoli economici? Che cosa gli si vuole insegnare? Gli si vuole insegnare che le loro vite probabilmente non valgono abbastanza e le priorità sono altre. Tutto ciò concorre alla riproduzione di un sistema che per tenersi in piedi punta sul disciplinamento sconsiderato degli alunni a totale discapito della costruzione di autonomia, sulla competitività tra categorie e all’interno delle stesse, sul fare economia trascurando la sicurezza in termini di edifici che non cadano a pezzi, di personale in possibilità di sostenere le difficoltà, di manutenzione reale degli spazi in cui si passa almeno un terzo della vita.

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