Dopo mirafiori, quale e’ la linea della FIOM?
Le posizioni assunte dalla FIOM nazionale sull’ultimo accordo alla Piaggio pongono seri interrogativi sugli obiettivi e le strategie della FIOM e sulla loro capacità di orientare i lavoratori e rispondere adeguatamente a un’offensiva padronale brutale ma anche articolata.
Alla richiesta della Piaggio di messa in mobilità volontaria fino alla pensione di 400 lavoratori, la maggioranza della RSU FIOM aveva immediatamente risposto con scioperi e assemblee. Denunciando le conseguenze sull’occupazione, l’aumento dei ritmi di lavoro, il ricorso ai contratti a termine, il trasferimento in Asia di parte della produzione, il carattere strumentale della dichiarazione di crisi e l’abuso dei fondi INPS, e la truffa della stabilizzazione di circa 250 lavoratori, già prevista dall’integrativo del 2009 e rimandata di un anno con questo accordo.
L’Assemblea dei lavoratori Piaggio negava qualsiasi mandato a sottoscrivere l’accordo, e rivendicava la direzione della trattativa, chiedendo l’apertura di una vertenza su ritmi di lavoro e prospettive industriali e occupazionali. La FIOM nazionale, allineandosi a FIM, UILM e UGL e avallando la linea della Segreteria provinciale, sosteneva la positività dell’accordo, solo riservando la firma alla conclusione di una consultazione referendaria. Consultazione, fra tutti i lavoratori, che vincolava solo la FIOM, subordinandola di fatto alle iniziative e alle decisioni degli altri sindacati e della Piaggio. Con il risultato di indebolire e delegittimare la RSU FIOM di fronte all’Azienda e di non rappresentare e disorientare quella parte dei lavoratori che fa riferimento ai delegati FIOM e ha combattuto contro l’accordo (il NO ha avuto il 43 per cento tra gli operai).
Tutto questo avviene dopo che l’allineamento di CISL e UIL con il governo e gli industriali e lo scontro da Pomigliano a Mirafiori hanno posto questioni politiche e sociali profonde, che hanno mandato in pezzi i vincoli e le consuetudini dell’unità sindacale e che evidentemente richiedono alla FIOM una strategia adeguata.
Sembra che la FIOM, che ha senz’altro riconosciuto il carattere politico e decisivo dello scontro in atto, non voglia però entrare in un giudizio, che è invece necessario, sulla natura e sui risultati di una pratica sindacale che negli ultimi venti anni ha accettato una imposizione dopo l’altra su tutti gli aspetti della condizione materiale e sociale dei lavoratori.
L’accordo Piaggio conferma a nostro avviso che la FIOM nazionale, a tre mesi dal Referendum di Mirafiori, si limiti a identificare come obiettivo di tutta questa fase la sola difesa della forma dei rapporti contrattuali e legali con le controparti, e cioè il riconoscimento all’agibilità sindacale e alla contrattazione, mantenendo invece sui contenuti una disponibilità che non si discosta dalla linea sindacale precedente. La stessa cosa sta succedendo in questo giorni alla Bertone e all’Elettrolux.
Come se il sacrificio sui contenuti potesse fermare l’offensiva padronale o addirittura essere strumento per una divisione del fronte padronale. Questo significa non capire che lo scontro nelle fabbriche, e Mirafiori lo conferma, è sulle condizioni di lavoro, sul salario e sull’esercizio reale dei diritti sindacali. E’ su questi contenuti che oggi come ieri si orientano padroni da una parte e operai dall’altra.
L’assenza di obiettivi e il cedimento continuo alle richieste delle aziende ferma le lotte e divide gli operai, mentre le concessioni, più che dividere i padroni, gli confermano l’efficacia dell’iniziativa della FIAT. Gli effetti sono il disorientamento dei lavoratori in generale, che non vedono né obiettivi comuni né scopi coerenti, l’isolamento di quelli che subiscono l’iniziativa Marchionne e la impraticabilità o la sconfitta delle rivendicazioni in tutti gli altri luoghi di lavoro.
Una strategia che, invece di rispondere alle questioni in gioco mettendo in campo la forza degli operai sui loro interessi comuni e fondamentali, e valorizzando l’attività dei delegati più decisi e rappresentativi, accetta e ripropone i metodi e le pratiche delle strutture sindacali territoriali, che non hanno mostrato negli anni scorsi nessuna fermezza nei confronti delle richieste aziendali. Come è già successo molte volte, il risultato finisce per essere la delegittimazione dei delegati e dei gruppi operai più attivi di fronte alla aziende, con tutte le conseguenze di repressione e scoraggiamento, che sono una delle ragioni dell’impotenza e del continuo indebolimento del movimento sindacale.
D’altra parte, la continuità della mobilitazione non può essere garantita dagli scioperi generali, che non possono oggi far altro che manifestare un livello di scontro che deve esistere ed esprimersi con continuità all’interno le fabbriche. Come è illusorio aspettarsi che la mobilitazione venga a seguito di un percorso lungo e farraginoso di definizione di una dettagliata piattaforma per il contratto nazionale, quale quello deciso a Cervia e, a quanto pare, già dimenticato.
Non si vede all’interno delle strutture della FIOM una sufficiente consapevolezza di queste contraddizioni ed è difficile aspettarsi un cambiamento sostanziale di strategia.
I gruppi di operai e delegati più attivi non devono perciò rimanere in attesa passiva di iniziative decise a livello nazionale. Pomigliano e Mirafiori hanno ridato centralità alle questioni del lavoro; insieme agli effetti della crisi, hanno riavvicinato ai lavoratori settori sociali diversi e hanno dato origine a un’attenzione e a una tensione che possono dare immediatamente significato e risonanza nazionale agli scontri e alle rivendicazioni nei singoli posti di lavoro. Di conseguenza, promuovere nelle fabbriche la resistenza e la lotta su tutti i temi delle condizioni di lavoro, anche senza l’appoggio delle strutture territoriali o sollevando un conflitto con esse, fare una bandiera dell’intransigenza in questa difesa, è in questo momento il modo migliore per contribuire ad affrontare, invece che eludere, i nodi politici e sindacali che stanno di fronte ai lavoratori.
Redazione “il Manifestino”
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