Fincantieri: corteo e occupazione della stazione di Genova
Da ieri blocchi stradali con cassonetti incendiati e ri-occupazione del cantiere, organizzata con assemblee decise a perseguire la lotta, sempre più unica risorsa con cui forzare trattative che le controparti padronali vorrebbero mantenere nel limbo dell’incertezza e della precarietà.
Oggi in migliaia escono nelle strade della metropoli genovese, ricomponendsi con altri settori lavorativi, come gli operai dell’Ansaldo, paralizzando cintura e centro cittadino, ed occupando la stazione di Genova Principe.
Domani è stato ottenuto un incontro con il presidente Napolitano, cui gli operai rivolgono la domanda, tutta politica, di come continuare a poter ottenere lavoro e dignità, assolutamente non illusi di un prosieguo della trattativa che passi dalle “buone intenzioni” di Napolitano, quanto dalla forza che essi riescono a mettere in campo. Intanto, l’occupazione del cantiere continua, e la lotta acquista sempre di più il carattere di “lunga durata”.
Ascolta l’intervista con un operaio della Fincantieri
{mp3remote}http://dl.dropbox.com/u/23124505/Fincantieri.mp3{/mp3remote}
Pubblichiamo di seguito un’intervista/approfondimento sulla questione della lotta Fincantieri, tratto da Resistenze:
1. Ci spieghi brevemente le ragioni di questa nuova mobilitazione e quali sono le prospettive?
All’inizio dell’estate, la mobilitazione dei lavoratori aveva ottenuto il ritiro del piano industriale che, per la Liguria, prevedeva il drastico ridimensionamento del cantiere di Riva Trigoso e la chiusura di quello di Sestri Ponente. Dopo alcuni mesi di silenzio, durante i quali la crisi produttiva si è aggravata, la direzione del gruppo dimostra nei fatti di aver mantenuto gli stessi obiettivi, solo cambiando tattica. Senza elaborare un nuovo piano industriale, cerca d’intavolare trattative, cantiere per cantiere, cominciando da quelli che non hanno immediati problemi di carico di lavoro. Impone così pesanti e immotivati tagli occupazionali e ottiene mano libera all’interno dei luoghi di lavoro. In un clima di paura, purtroppo i lavoratori di Monfalcone hanno ceduto al ricatto, così come FIM e UILM di Riva Trigoso e del Muggiano (La Spezia), mentre i sindacati e i lavoratori di Ancona, pur in difficoltà per la mancanza di lavoro, hanno avuto il coraggio di resistere. Su Sestri Ponente invece continua il silenzio.
A questo punto il piano dell’amministratore delegato per Sestri è abbastanza chiaro: attendere il completamento dell’ultima nave, che è previsto per la primavera prossima, per trovarsi così con il cantiere chiuso nei fatti. Dopo di che i lavoratori Fincantieri si saranno obbligati ad accettare le proposte della direzione (magari quella di occupare, a centinaia di chilometri di distanza uno dei posti lasciati liberi dagli “esuberi” degli altri cantieri), oppure licenziarsi. Quelli delle ditte d’appalto saranno semplicemente lasciati al loro destino. Per impedire tutto ciò è stata necessaria la mobilitazione di questi giorni. Non siamo disposti a morire d’inedia attendendo un piano industriale che non arriverà mai. Per prima cosa occorre ottenere subito una redistribuzione dell’attuale carico di lavoro complessivo o qualche nuova commessa per mantenere il cantiere almeno parzialmente aperto. Siamo anche convinti che i problemi del gruppo vadano affrontati complessivamente e non attraverso trattative locali, che rischiano d’innescare una disastrosa “guerra dei poveri” tra i cantieri.
L’assemblea di mercoledì scorso ha deciso, con fatica, di sospendere l’occupazione fino all’incontro romano dell’undici ottobre, ma, se la delegazione dovesse tornare senza risultati, le lotte riprenderebbero immediatamente.
2. Che effetti ha avuto la crisi nella cantieristica navale? C’è una via d’uscita per Fincantieri?
La crisi iniziata nel 2008 ha avuto ripercussioni molto pesanti sulla cantieristica mondiale, anche se con effetti più lenti di quelli rilevati in altri settori (es. automobile). Questo perché il processo di costruzione di una nave, dalla discussione dell’ordine con l’armatore alla consegna, è dell’ordine di qualche anno e, quindi, nel primo periodo dopo il fallimento di Lehman Brothers, i cantieri erano occupati a costruire navi acquisite negli anni precedenti. Inoltre occorre considerare che, se per un paese come l’italia, la crisi ha significato l’inizio di un periodo di quasi stagnazione, per l’Asia, Cina in testa, ha significato un rallentamento di un ritmo di crescita che rimane comunque altissimo. Quindi, nonostante che la crisi abbia colpito pesantemente anche in Asia, la fetta di costruzioni che si sono aggiudicate Cina e Corea del Sud è ulteriormente cresciuta. All’Europa rimangono le navi da crociera, i traghetti e le navi specializzate (una parte dell’offshore, navi per il trasporto energetico ecc.), ma anche in questi campi, il mercato è sempre più competitivo e insidiato dai colossi asiatici. Inoltre, la richiesta mondiale di navi da crociera si è in pratica dimezzata: cinque o sei all’anno in luogo delle dieci, dodici pre crisi.
Infine occorre considerare gli effetti negativi causati dalla contrazione del credito e dalla scarsa liquidità delle banche su un settore che, per funzionare, ha bisogno di grandi capitali: nell’acquisizione di una commessa, oltre che al prezzo dell’offerta, sono importanti anche le condizioni creditizie vigenti nel paese in cui deve essere costruita la nave e queste, oggi, sono più vantaggiose per gli armatori in Germania e Francia che in Italia.
In questa situazione la Fincantieri si trova in una posizione particolarmente difficile. Dopo essere stata per anni leader mondiale nel settore delle crociere (in sedici anni ha costruito circa cinquanta navi, quasi tutte per lo stesso cliente, il gruppo statunitense Carnival), sta rapidamente perdendo posizioni, mentre è assente da anni nel comparto delle navi specializzate. Il rapporto esclusivo con Carnival, che ha fatto la sua fortuna nel decennio precedente, si sta oggi rivelando un handicap. Il gruppo americano, infatti, da segnali di voler diversificare i suoi fornitori. Per esempio ha ordinato due navi di una sua controllata (la tedesca AIDA) al gruppo giapponese Mitsubishi e ci sono notizie di trattative con i cantieri sud coreani. Occorrerebbe una clientela più ampia, ma, in tempi di crisi, ogni azienda difende il suo orticello con le unghie e con i denti, magari aiutata, più o meno sottobanco, dal proprio governo nazionale. Ma Berlusconi, si sa, è in tutt’altre faccende affaccendato…
3. Ci sono anche responsabilità politiche nella crisi dell’azienda?
Certo. Le responsabilità sono soprattutto politiche. E questo per due motivi principali.
Il primo è che la Fincantieri è per il 98% di proprietà dello Stato italiano. Quindi il Ministero del Tesoro nomina e controlla il suo gruppo dirigente e ha la facoltà di ricapitalizzare l’azienda. Il Consiglio d’Amministrazione è abbondantemente lottizzato dai partiti di governo. Tra gli altri, vi siede l’On. Belsito, amministratore finanziario della Lega Nord e scelto per la sua competenza professionale in materia, poiché in passato lavorava come autista dell’On. Biondi.
Il secondo è che lo Stato rappresenta un cliente fondamentale della Fincantieri, sia nel settore militare, sia in quello civile e mercantile, attraverso società da esso controllate (es. Tirrenia, ENI, SAIPEM, ecc.). Questo è tanto più importante se si considera l’andamento ciclico del settore che alterna periodi di crescita a profonde crisi e quindi il ruolo di compensazione che possono avere le commesse statali per la sua sopravvivenza.
Inoltre sono fondamentali i ruoli che rivestono le amministrazioni locali nel rapporto con gli insediamenti produttivi: una fabbrica o un cantiere possono essere visti come risorse da salvaguardare o come corpi estranei da cui liberarsi.
In questo quadro, se c’è stata una discreta attenzione da parte delle istituzioni liguri e genovesi, bisogna rilevare il completo disinteresse da parte del governo Berlusconi e, nello specifico, dei ministeri del Tesoro e delle Attività Produttive. Non era facile fare peggio dei governi democristiani della prima Repubblica e dell’IRI gestita da Romano Prodi, ma ci stanno riuscendo! Un ministro che, di fronte alla crisi di un gruppo che produce navi da centinaia di migliaia di tonnellate di stazza, offre la costruzione di alcuni pattugliatori per la Guardia Costiera dimostra di non sapere ciò che dice. È come se all’IVECO, per superare la crisi, fosse offerta la fornitura di motocarrette per la manutenzione dei giardini pubblici. Anche sull’aspetto finanziario il Governo è latitante. Basta fare il confronto con la vicina Francia, dove Sarkozy è intervenuto in prima persona per assicurare, attraverso il credito, la continuità di lavoro ai cantieri di Saint Nazaire che pure sono di proprietà della coreana STX.
Il governo italiano è completamente privo di una qualsiasi politica industriale e lascia mano libera a un Amministratore Delegato Fincantieri che copre i propri errori di gestione giocando a fare il “Marchionne dei piccoli”, scaricando le responsabilità sui lavoratori e – va da sé – sulla FIOM.
4. Che effetto ha avuto la lotta sui lavoratori?
Per la prima volta lavoratori della Fincantieri e delle ditte d’appalto lottano insieme. Prima tra i primi e i secondi (che sono in buona parte extracomunitari) non c’erano particolari attriti, ma si trattava comunque di due mondi diversi che vivevano a fianco a fianco separati. Dopo gli scioperi del giugno scorso, nei quali gli immigrati sono stati in prima fila, la situazione è cambiata. Tra di noi lavoratori italiani s’è percorsa strada la coscienza che, non solo gli stranieri non ci rubano il pane, ma che se non c’è lavoro per loro non ce n’è neanche per noi. Quando gli immigrati sono entrati in mensa il giorno dopo lo sciopero, tutti si sono spontaneamente alzati in piedi ad applaudire.
Certo, ci sono paura e tensione. La stragrande maggioranza dei dipendenti Fincantieri sono giovani, senza particolari esperienze di lotta, che vedono in forse la prospettiva di vita che si erano costruiti. C’è la consapevolezza che ci si sta impegnando in una lotta vera e non in una delle rappresentazioni di lotte cui ricorrono spesso i sindacati nazionali.
L’assemblea che ha deciso l’occupazione ha votato all’unanimità, mentre quella che ha deciso di sospenderla in attesa del prossimo incontro è stata tesa, sofferta e combattuta e ha preso la decisione finale solo quando tutti si sono resi conto che sospensione – almeno in questo caso – non vuol dire smobilitazione.
5. Qual è l’obiettivo immediato che vi ponete?
L’obiettivo immediato è quello di ottenere un carico di lavoro che occupi, anche parzialmente, il cantiere dopo la partenza della nave in costruzione. Ottenuto ciò, occorre impegnarsi sul problema del “ribaltamento a mare” di parte del cantiere per fare sì che questo diventi la base per un rilancio e non il paravento per una mera operazione immobiliare. Ciò si può ottenere solo se si riapre con l’azienda e con il Governo, una trattativa su gli assetti futuri della cantieristica italiana con l’obiettivo di, attraverso gli investimenti e la diversificazione produttiva, mantenere aperti tutti i cantieri del gruppo. Sappiamo che è un obiettivo difficile da raggiungere, ma il combattimento tra gladiatori al quale vuole spingerci l’attuale Amministratore Delegato per scegliere i suoi cantieri campione vedrebbe alla fine solo vittime e nessun vincitore.
Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.