Francia, Macron in crisi di consenso presenta la sua Loi Travail
Sono passati pochi mesi dalla sua elezione e il “rinnovatore” Macron, salito all’Eliseo dopo una serie di durissime contestazioni al sistema che rappresentava insieme alla sua finta oppositrice Le Pen, mostra già la sua vera faccia.
In crisi di consenso rispetto al poco tempo trascorso dalla sua elezione, il presidente transalpino propone una nuova riforma del lavoro che sembra quasi voler buttare ulteriore benzina sul fuoco dopo quanto successo nelle strade e nelle piazze in seguito all’approvazione della famigerata Loi Travail. Evidentemente Macron più che allargare il suo consenso generale, vuole blindare quello che gli arriva dai potentati che lo hanno sostenuto. Non per niente, proprio su alcuni punti poi non approvati della legge El Khomri, il neo-premier vuole fondare la sua riforma del codice.
La logica è sempre la stessa: dare ulteriore flessibilità alle aziende, agevolando il licenziamento dei lavoratori. Si eliminerà ad esempio la necessità per l’azienda di dimostrare che il suo bilancio complessivo è in passivo prima di licenziare. Per capirci, se un’azienda ha 9 sedi fuori Francia che guadagnano 100 e una che perde 50 in Francia, la sede in perdita potrà licenziare per giusta causa anche se il saldo complessivo parla di enormi profitti per il management!
Del resto, Macron stesso nella sua campagna elettorale aveva dichiarato che la vita di un imprenditore è più dura di quella di un dipendente..diciamo che ci aveva avvertiti, ecco.
Se il premier Philippe definisce la riforma giusta e ambiziosa, bisognerà vedere se la sua idea di interesse generale coincida con quello di chi la dovrà subire. Di fatto, si abolisce la contrattazione collettiva. Questa sintesi di Repubblica riassume i termini generali della proposta oltre quelli già esposti:
“Possibilità di negoziare accordi fuori dal controllo dei sindacati nelle aziende con meno di 50 lavoratori. Accordi di categoria per fissare le condizioni di lavoro a tempo determinato (finora fissati a livello nazionale). E soprattutto quel limite massimo di indennizzi che i tribunali potranno concedere a chi viene licenziato senza giusta causa, attesissimo dagli industriali «perché» spiegava ieri il presidente di Confindustria Pierre Gattaz in una intervista al quotidiano Le Parisien «permette di calcolare esattamente l’impatto di eventuali licenziamenti».”
Il paradosso, che riguarda anche le discussione dalla nostra parte delle Alpi, è che si presenta una riforma di questo tipo assicurando che serve a combattere la disoccupazione. La logica è quella di aumentare il lavoro precario, facendo finire nel calcolo degli occupati chi lavora un’ora a settimana ma tacendo sulla devastazione della possibilità di realizzare un progetto di vita che si accompagna alla distruzione totale dell’idea di un posto di lavoro/ di un reddito a tempo indeterminato.
La bagarre di questi giorni sui dati del lavoro italiano del resto segue la stessa logica: aumentano gli occupati sì, ma il lavoro è sempre peggiore, sempre più stressante, sempre più usurante fisicamente e mentalmente. Si esaltano dati che anestetizzano la realtà dei fatti, delle persone dietro i numeri, delle sofferenze e della rabbia dietro le percentuali.
La CGT in Francia ha già lanciato uno sciopero per il prossimo 12 settembre, data che servirà anche da test per capire se le piazze di movimento indipendenti dalle organizzazioni sindacali lanceranno anche loro il proprio guanto di sfida al nuovo esecutivo. Le misure previste da Macron dovrebbero infatti essere votate già a fine settembre per poi entrare subito in vigore.
Da sottolineare è come sia sul tema del lavoro che su quello dei migranti, Macron sta realizzando un’agenda che non farebbe assolutamente dispiacere alla stessa Le Pen. Un indicatore chiaro e preciso dell’inutilità del voto “menopeggista” che le piazze non a caso rifiutavano urlando “Ni Macron ni Le Pen, ni patrie ni patron”, e che sottolinea l’assoluta unidirezionalità di un capitalismo arrogante e rampante ma che non trova una vera e propria via d’uscità che non sia ulteriormente concedere sostegno ai pochi ricchi che lo sostengono.
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