Il caso Embraco. Carlo Calenda alla ricerca del capitalismo leale
Il caso dell’Embraco, stabilimento del gruppo whirlpool è ormai salito alla cronaca nazionale. Una vicenda che si trascina ormai da quasi quindici anni, emblema dell’Italia industriale: quella degli imprenditori che prendono i milioni, promettono e poi delocalizzano.
13 milioni di fondi pubblici dati all’azienda come fosse un ente caritatevole e 553 dipendenti lasciati a casa. Nel 2005 c’era stata la firma del protocollo d’intesa con l’impegno da parte dell’azienda a presentare un piano di rilancio. Un disastro annunciato. Neanche un anno e mezzo dopo parte la cassa integrazione per 395 operai ma i soldi continuano ad arrivare. Poi ancora finanziamenti, questa volta dalla regione Piemonte, e rassicurazioni. Nuove firme, accompagnate da tweet-spot di Renzi. Ma per i padroni, si sa, gli impegni sono sempre subordinati ai profitti: ce lo chiede il mercato. Allora si va in Slovacchia.
La nostalgia gadlerneriana dell’Italia industriale che non c’è più invade oggi le redazioni dei giornali. Figurine degli operai, la “responsabilità sociale dell’impresa”, azienda-mamma-dove-sei… riabilitati persino gli anni ’70 e i loro scioperi. Mistificazioni della memoria, un mondo che è stato un campo di battaglia descritto come un presepe. Parolai che ogni giorno spingono innovazioni e competitività, poi s’inteneriscono quando ne vedono gli effetti.
C’è la campagna elettorale e bisogna fare qualche spot, sulla pelle di questi lavoratori. La parte del leone la fa Calenda. I dirigenti? “Gentaglia ” dice il ministro. Addirittura? Sì, perché la Slovacchia si rende responsabile “competizione non leale”. L’eterna metafora del capitalismo come gara di atletica. Solo che a correre sono solo i lavoratori, in Slovacchia come in Italia. Gli fa eco Matteo Renzi “Tutti noi contestiamo le regole che permettono una delocalizzazione sbagliata all’interno dell’Europa”. E Romano Prodi: serve più Europa, altrimenti ogni paese fa i suoi interessi. Ma è proprio questo il punto. L’unione europea è esattamente un progetto di riorganizzazione funzionale dello spazio economico per la competizione globale. Le delocalizzazioni non sono l’aberrazione dell’UE ma il suo obiettivo. All’Italia pizza, turismo e mandolino non certo i frigoriferi!
Continua però la grande farsa, con Calenda che propone tutto serio un Fondo per ‘l’aggiustamento della globalizzazione’. Dopo l’abbassamento delle tasse alle imprese, la defiscalizzazione di ogni investimento e i tagli di ogni garanzia sul lavoro per far contenti i dirigenti ancora soldi alle multinazionali per blandirle e far arrivare il tanto agognato lavoro. Ma non erano gentaglia? Ah già, non questi, ma quegli altri.
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