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La Primavera arriva in Cile

Mai, dalla fine della dittatura, nel 1990, il paese aveva conosciuto mobilitazioni di questa portata. Mai, dal 1956, un governo democratico aveva affrontato una contestazione popolare così imponente. Gli studenti, all’origine del movimento di protesta, hanno messo il governo di Sebastian Piñera (di destra) in una posizione delicata: la sua popolarità (-26%) ha fatto di lui il presidente meno popolare dal ritorno della democrazia. Eppure, questa lunga striscia di terra che costeggia l’Oceano pacifico era l’ultimo paese della regione in cui ci si aspettava un’effervescenza simile. Il «giaguaro» latinoamericano, «modello tipicamente liberale» non aveva l’ammirazione dei più noti editorialisti? La stabilità politica vi era assicurata – spiegavano – perché «la realtà aveva finito per erodere i miti e le utopie della sinistra, portandola sul terreno della concretezza, raffreddando i suoi passati furori e rendendola ragionevole e vegetariana ». Tuttavia, il 28 aprile 2011, gli studenti hanno mostrato i denti. E non i molari.

Quel giorno, gli studenti degli istituti pubblici e privati hanno denunciato il livello di indebitamento necessario per accedere all’istruzione superiore. In un paese in cui il salario minimo ammonta a 182.000 pesos (meno di 300 euro) ed il salario medio a 512.000 pesos (meno di 800 euro), i giovani (e le famiglie) sborsano mensilmente tra i 170.000 ed i 400.000 pesos (tra i 250 ed i 600 euro) per seguire un corso universitario. Di conseguenza, il 70 % degli studenti si indebita, ed il 65 % dei più poveri interrompe gli studi per ragioni economiche.

Questa prima manifestazione, che ha riunito 8.000 persone, non sembra, a priori, avere un futuro. Essa va tuttavia a gonfiare il fiume della protesta sociale alimentata da diverse mobilitazioni che hanno luogo in tutto il paese: a favore di una migliore redistribuzione dei profitti legati all’estrazione del rame a Calama, per il blocco del prezzo del gas a Maganelles, per il risarcimento delle vittime del terremoto del gennaio 2010 sulla costa, per il rispetto degli indigeni Mapuche nel sud e, ancora, della diversità sessuale a Santiago. Nel mese di marzo, il progetto HydroAysèn aveva anch’esso contribuito a unire un po’ di più i cileni contro di lui.

Pilotato dalla multinazionale italiana Endesa- Enel, associata al gruppo cileno Colbún, e sostenuto dal governo, dai partiti della destra e da alcuni dirigenti della Concertación (centrosinistra), questo progetto di costruzione di cinque immense dighe in Patagonia era stato approvato senza la minima consultazione dei cittadini. Di fronte all’ampiezza delle mobilitazioni (oltre 30.000 persone attraverso il paese), il governo si trova in una situazione complicata.

Nel giugno, la mobilitazione studentesca raggiunge la sua velocità da crociera: il 16 si svolge la prima manifestazione di 200.000 persone – la più grande dal periodo della dittatura. I manifestanti, organizzando scioperi di massa e bloccando diversi licei, denunciano la «mercificazione dell’educazione» e rivendicano «un’istruzione gratuita e di qualità»: una richiesta che mette in discussione le fondamenta stesse del «modello cileno» ereditato dalla dittatura. Nelle strade, gli studenti non si sbagliano mentre gridano «Cadrà, cadrà l’educazione di Pinochet!», riferendosi agli slogan ascoltati vent’anni prima, all’epoca delle manifestazioni contro la dittatura.

Perché il Cile ha costituito un «laboratorio» per le politiche neoliberiste, anche nell’ambito dell’educazione. A partire dal momento della presa del potere, i generali hanno lavorato per il sogno che l’economista monetarista Milton Friedman delineava nel 1984. Gli istituti privati, rari nel 1973, accolgono attualmente il 60% degli allievi della scuola primaria e secondaria. Meno del 25% del sistema educativo è finanziato dallo stato, i bilanci delle scuole dipendono, al 75 %, dalle tasse di iscrizione. Inoltre, lo stato cileno destina appena il 4,4 % del Prodotto interno lordo (Pil) all’istruzione, molto al di sotto del 7 % raccomandato dall’Unesco. Per quanto riguarda l’università – caso unico in tutta l’America latina – non esiste nessun istituto pubblico gratuito. Secondo il sociologo Mario Garcés, le riforme di Pinochet – mantenute e consolidate dai diversi governi successivi alla caduta della dittatura – hanno pervertito la missione del sistema educativo: originariamente mirava a favorire la mobilità sociale; oggi garantisce la riproduzione delle disuguaglianze.

Ma – si interrogano gli studenti, a cui non sono sfuggiti i discorsi soddisfatti sullo «sviluppo» dell’economia cilena (che ha aperto le porte dell’Ocse nel dicembre 2009) – se l’educazione era gratuita quarant’anni fa, quando il Cile era povero, perché dovrebbe essere a pagamento oggi, se il paese è diventato (più) ricco? Una domanda sufficiente a rovesciare il ragionamento, e la cui portata supera evidentemente l’ambito dell’educazion, come dimostrano le rivendicazioni studentesche: l’organizzazione di un’Assemblea costituente per promuovere un’autentica democrazia, la rinazionalizzazione del rame e, ancora, la riforma fiscale. Si tratta, in ultima analisi, «di finirla con l’era Pinochet». I manifestanti, sospettosi di fronte a dirigenti politici che non ispirano loro più nessuna fiducia, esigono che il futuro del sistema educativo sia sottoposto ad un referendum (tuttavia vietato dalla Costituzione).

Denunciare i partiti politici non significa necessariamente promuovere una sorta di apoliticità beat. Gli studenti hanno occupato la sede della catena televisiva Chilevisión, quella dell’Unione democratica indipendente (Udi- il partito sorto dal pinochettismo) e quella del Partito socialista, identificati come tre simboli del potere. I discorsi apologetici di una sinistra istituzionale che si dice volentieri colpevole di avere «chiesto troppo»- scatenando così nel 1973 l’inevitabile collera dei possidenti – e quelli finalizzati a promuovere la ritirata dello stato non sembrano avere presa su una generazione che non ha conosciuto il golpe. I manifestanti non esitano, inoltre, a riabilitare la figura del vecchio presidente Salvador Allende: i suoi discorsi sull’educazione, pronunciati più di quarant’anni fa, hanno recentemente battuto i record di consultazione su internet; la sua immagine appare nuovamente nelle manifestazioni, in cui i cartelli proclamano che «i sogni di Allende sono a portata di mano».Tale chiarezza politica non ha indebolito il movimento studentesco, semmai il contrario. Il movimento ha ricevuto il sostegno degli universitari, degli insegnanti della scuola secondaria, delle associazioni dei genitori degli alunni, di diverse organizzazioni non governative (Ong) riunite nell’Associazione cilena delle Ong, Accion. E dei maggiori sindacati (professori, funzionari, personale sanitario, eccetera). Spesso, la solidarietà si organizza per sostenere i manifestanti che occupano un istituto, sotto la forma di cestini di cibo che vengono portati agli occupanti, per esempio. Secondo i sondaggi, benché ordinati da media molto vicini al potere, gli studenti godono del sostegno del 70-80 % della popolazione.

Perché ora? Certo, il Cile ha già conosciuto mobilitazioni studentesche, soprattutto la «rivoluzione dei pinguini» del 2006, sotto la presidenza di Michelle Bachelet (centrosinistra). Tuttavia, mai le manifestazioni avevano coinvolto tante persone: per due decenni, i governi di centrosinistra della Concertación avevano amministrato l’eredità della dittatura riducendo la povertà. Ma accentuando le disuguaglianze: attualmente, il Cile figura tra i quindici paesi più iniqui del pianeta. Poco a poco, le speranze di trasformazione connesse alla caduta della dittatura si sono smorzate, mentre si accumulavano i debiti degli studenti. L’ingiustizia del sistema è forse apparsa sotto una luce più vivida con l’arrivo al potere di Piñera, il quale si è presto dato l’obiettivo di rafforzare – ulteriormente – le logiche di mercato nel sistema educativo. I conflitti di interesse all’interno del gabinetto hanno inoltre evidenziato alcune derive: il ministro dell’istruzione di Piñera, Joaquin Lavin, era anche fondatore ed azionista dell’Università dello sviluppo, un istituto privato.

La risposta del governo per ora consiste nel cercare di criminalizzare i manifestanti. La stampa non manca di sottolineare le devastazioni compiute dalle frazioni violente, talvolta infiltrate da poliziotti in borghese (come hanno dimostrato numerosi video e fotografie. Il 4 agosto, affermando che c’è «un limite a tutto», Piñera faceva vietare una manifestazione sull’avenida Alameda : la repressione è arrivata puntuale e sistematica, con più di 870 fermi. Ma la violenza poliziesca non ha fatto che aumentare il sostegno popolare ai manifestanti. La sera stessa, i cacerolazos (cortei nel corso dei quali tutti battono una casseruola) risuonavano in tutto il paese: l’intransigenza governativa aveva trasformato la manifestazione in una «protesta nazionale». Gli studenti continuano ad essere mobilitati. Con l’insieme dei loro sostenitori – che non si limitano alle classi medie – si sono uniti allo sciopero generale dichiarato il 24 agosto, nella speranza di allargare la breccia aperta.

di Victor de La Fuente, Direttore dell’edizione cilena de Le Monde Diplomatique

 Traduzione di Alyosha Matella per Il Manifesto


Nota della redazione a corollario dell’articolo di La Fuerte

L’editoriale di Victor de La Fuente crediamo sia un ottimo scritto di ragionamento e contestualizzazione sull’onda che sta attraversando il Cile, che riteniamo sia da condividere con i lettori e le lettrici di Infoaut.org, perchè pensiamo sia estremamente utile come strumento per guardare e comprendere da altre latitudini i processi insorgenti de Chile. Ciò ovviamente non ci esonera dal notare quanto il network de Le Monde Diplomatique sconti la pesantezza ideologica e incantata e viziosa, caratteristica maggioritaria delle sinistre dell’oggi.

Tre gli elementi che saltano all’occhio leggendo l’articolo (soprattutto nella sua conclusione), quindi ricordandosi di quanto l’inviato di Infoaut.org ha tanto ben descritto nei suoi reportage: 1. la potenza di una composizione sociale interessantissima, arricchita da giovani avversari della mediazione, del compromesso, del concordato al ribasso 2. la rottura del movimento studentesco con gli apparati burocratici partitici e sindacali (nonostante facili innamoramenti che hanno colpito pure la redazione de Il Manifesto: anche la Camila Vallejo, certo bravissima nella capacità di comunicare e di ‘essere notizia’, certo bella giovane educata e grintosa, ma il movimento sembra direzionato altrove dalle passeggiate che ogni volta lei sponsorizza su Twitter!), 3. lo scontro, la dinamica conflittuale che imprime scioperi manifestazioni e blocchi, che sta caricando di forza politica chi è in piazza contro Pinera e la crisi, non è risolvibile col fantasma degli infiltrati, dei complotti e del vittimismo.

Che il governo non ci stia andando alle leggere nel confronto con la piazza è poco ma sicuro, l’omicido di strada dell’altro giorno lo testimonia implacabile, oggi però il presidente Pinera ha paura ed invoca pubblicamente per la trattativa, staremo a vedere… ma dopo la primavera araba, i riots di Londra, la piazza cilena ci restituisce una ‘fotografia nella crisi’ del conflitto sociale meravigliosa!

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