Piazza, pratiche, spazi di conflitto
Come movimento antagonista modenese abbiamo voluto declinare un messaggio politico da attribuire alla piazza del 25 aprile, secondo le istanze risultanti da un lavoro quotidiano di presenza nei quartieri, nelle scuole e nel mondo del lavoro.
La strutturazione di spazi di azione antifascista, impone un’analisi sociale del territorio e delle sue principali forze produttive e riproduttive. Senza questo passaggio analitico, il rischio è quello di lasciare margini di terreno ad una controparte intenzionata a cavalcare venti reazionari capaci di imbrigliare processi di lotta reali. Il feticcio della redistribuzione del welfare, se da un lato tende a dipingere un quadro in cui il soggetto migrante è rappresentato come depredatore di risorse, dall’altro sviluppa tendenze legalitarie, securitarie e fasciste volte a nascondere il destino della ricchezza sociale verso le classi dominanti.
Il territorio in cui viviamo è caratterizzato da un benessere sociale che in anni passati ha visto fiorire un ceto medio che si autorappresentava e si autogarantiva, ritagliandosi un ruolo all’interno di un sistema produttivo che nella sua ristrutturazione lo ha progressivamente privato di questa possibilità. Al contempo l’avvio di politiche miranti esclusivamente alla creazione di consenso, dunque basate su xenofobia e razzismo, si inseriscono in un contesto già vittima di lacune istituzionali molto forti che si sono manifestate platealmente nella gestione del post-sisma del 2012 e dell’alluvione del 2014. Da diversi anni a questa parte anche questi strati sociali restano privi di punti riferimento ed abbandonati al loro destino.
In un tale ambiente, simile a contesti territorialmente vicini al nostro, l’obiettivo come realtà politica organizzata, non può essere relegato a pratiche autoreferenziali, quanto piuttosto ad una progettualità tesa alla ricomposizione sul piano del conflitto di segmenti sociali che non trovano più alcuna collocazione in un quadro capitalista che prevede per loro solo sfruttamento e subalternità. Su questa strada, almeno in questa fase, risulta necessario evitare modalità di azione che si possono considerare come semplice settarismo privo di prospettive. Socialmente abbiamo osservato con attenzione la fotografia della spaccatura sociale che è tornata alla ribalta con il referendum sulle trivellazioni. Infatti è innegabile che una parte rilevante della popolazione italiana non si sente più rappresentata dalle compagini che si stanno succedendo nella gestione dei governi e sta individuando in forme politiche più legate a istanze generaliste la propria collocazione. Un fenomeno interessante questo, che ci permette di interrogarci circa la nostra reale capacità di creare relazioni politiche concrete con soggetti sociali a noi vicini.
Quello che il movimento nella piazza modenese ha fatto emergere tuttavia, in una soleggiata mattinata di festa, è stata la completa impossibilità da parte del potere di sussumere quei valori resistenziali, incisi nella pelle dei movimenti, per renderli funzionali ad un progetto di pacificazione sociale che mal sopporta le lotte e gli inevitabili conflitti.
Il teatrino istituzionale sul quale il Sindaco è stato ‘disturbato’ dal grido ‘Mai più senza casa’ scandito dal movimento per il diritto all’abitare ne è l’emblema. Un movimento che, assieme a studenti e lavoratori, ha e sta continuando a coltivare un nuovo tipo di sentire e agire collettivo capace di legittimare, riattualizzandolo, il termine ‘resistenza’.
La solidarietà e la curiosità che in questo 25 aprile la piazza ha voluto tributare ad un fenomeno politico sicuramente diverso dal consueto, con una spiccata attitudine a creare socialità, conferma quanto esista una situazione sociale potenzialmente fertile rispetto ad una realtà in grado di far emergere i limiti di un quadro politico sempre più disarticolato.
L’orizzonte verso cui si dovrà muovere la lotta politica in questa città va necessariamente in questa direzione. La stessa che ha visto, nell’attraversamento di questi momenti, la determinazione a dare vita ad una dinamica ricompositiva nella quale la capacità di smascherare le contraddizioni del presente, dalla casa al lavoro alla scuola, va di pari passo allo stare all’interno di quei luoghi urbani in cui la precarietà dell’esistenza genera esigenze concrete e materiali.
L’assalto al cielo parte da qui.
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