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Ucciso per un Rolex

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Riceviamo e pubblichiamo volentieri.

“Devastato il pronto soccorso dell’Ospedale Pellegrini a Montesanto. I medici in prima linea. L’Asl indignata, Napoli come Baghdad. Scontri a fuoco tra baby gang”

E’ arrivata così di primo mattino, nel segno della confusione e del dirottamento dell’attenzione, la notizia della morte di Ugo Russo, appena quindici anni, ucciso da un carabiniere fuori servizio di stanza a Bologna dopo il tentativo di rapinargli il Rolex che portava al polso.

Una storia in cui è fondamentale mettere in fila quello che sappiamo finora. Perchè quando a Napoli un  giovanissimo sottoproletario viene ucciso e a sparare è un membro delle forze dell’ordine si attivano dispositivi narrativi e mediatici, riflessioni sociologiche, antropologiche, politiche più o meno sincere, più o meno esotiche, più o meno lucide che però vengono spesso utilizzate per defocalizzare i fatti e per sviare le responsabilità. Il primo di questi meccanismi è ovviamente la demonizzazione della vittima e del suo ambiente. E’ successo così in tante altre situazioni, è successo così per Davide Bifolco e Mario Castellano, entrambi uccisi a 17 anni. Storie diverse stessi registri. Questa volta però Ugo Russo è proprio un “ragazzo cattivo”, non sta semplicemente viaggiando in tre sul motorino come Davide, non ha mancato di fermarsi a un posto di blocco come Mario. Nella notte tra il 29 febbraio e il 1 marzo Ugo Russo è sceso di casa per tentare una rapina. E allora, sottintende il coro del giustizialismo trionfante, “se l’è cercata”…

La scena ha luogo in via Orsini a Chiaia, una strada che scorre parallela a via Santa Lucia, tra la sede della regione Campania e il lungomare. Ugo è in sella a uno scooter con un amico che risulterà essere anche lui minorenne. Hanno avvistato una Mercedes con a bordo una coppia. L’uomo alla guida ha un rolex al polso. E’ un carabiniere in licenza, di servizio a Bologna. Della sua identità al momento non conosciamo altro, a differenza del ragazzo ucciso. Un classico anche questo.
A questo punto la scena si fa più confusa. Il primo comunicato dei carabinieri è francamente poco plausibile. Il militare sarebbe stato minacciato con la pistola alla tempia, ma con sprezzo del pericolo prima intima “alt sono un carabiniere” poi impugna l’arma d’ordinanza e spara, una, due, almeno tre volte.
Di certo sappiamo che non è stato un “conflitto a fuoco” come riportavano inizialmente le cronache. Anche perchè Ugo e il suo amico una pistola vera non ce l’hanno. Impugnano una scacciacani o proprio un giocattolo, non si è ancora capito con precisione. Spara solo il carabiniere in vacanza armata. Ripetutamente. Due colpi di pistola raggiungono Ugo, uno al torace e un altro alla “testa”. Ma poi tutte le testimonianze successive, a partire da chi ha visto il cadavere, ricollocano con più precisione il secondo colpo “tra il collo e la nuca”. Quindi almeno questo proiettile sarebbe stato chiaramente sparato mentre Ugo è di spalle.
“Ugo è stato giustiziato mentre cercava di scappare, altro che legittima difesa, è stata un’esecuzione” denuncia il padre, la cui delegittimazione mediatica, avendo qualche precedente penale, è già cominciata. Una versione supportata dall’avvocato di parte civile che racconta una scena in cui il carabiniere non si sarebbe qualificato, avrebbe finto di slacciarsi il Rolex per impugnare l’arma d’ordinanza e sparare una prima volta, sbalzando i ragazzi dalla moto. A quel punto Ugo ha cercato di scappare ma viene puntato e colpito dalle spalle sotto la testa. Si sente anche un terzo colpo, andato presumibilmente a vuoto. E’ probabile che la versione dell’avvocato collimi con quella dell’unico testimone oculare al momento, l’altro ragazzo dello scooter. E anche per lui le versioni divergono. I carabinieri sostengono che è stato rincorso e fermato. I familiari affermano che invece si è recato spontaneamente in caserma. Sta di fatto che dopo l’interrogatorio viene rilasciato. E poi fermato di nuovo in serata su mandato della Procura. Che ha affidato le indagini sul carabiniere ai carabinieri, perchè la minima misura di buon senso di non affidare le indagini su un membro delle forze dell’ordine al suo stesso corpo è ritenuta un “segnale di sfiducia nelle Istituzioni”…
L’autopsia dovrebbe chiarire, si spera, la dinamica degli spari. E anche le tante telecamere di zona che già svelarono la dinamica dell’aggressione a un ambulante pakistano da parte di un gruppo di giovanissimi. In particolare le telecamere poste proprio sulla Regione Campania che “illuminano” quasi tutta via Orsini. Per il momento il carabiniere è indagato per “eccesso di legittima difesa”, solo “un atto dovuto” precisano dall’Arma, ma anche il minimo sindacale. Se ha sparato alle spalle, mirando alla nuca di un ragazzo che fugge, in teoria il capo d’imputazione dovrebbe essere ben altro. A meno che, come per Davide Bifolco, non arrivi l’ennesimo “inciampo” a spiegare i colpi mortali.

Di sicuro sulla strada resta la vita di un ragazzo di quindici anni. Ugo Russo è raccontato dai conoscenti come un giovane riservato. L’opinione pubblica lo ha già giudicato e forse si meraviglierebbe di scoprire che non passava il suo tempo a organizzare rapine. Ha lasciato la scuola o se volete la scuola lo ha mollato come succede a tanti ragazzi meridionali. Si divideva tra l’attività di garzone di un’ortofrutta alla Pignasecca e altri lavori da manovale. Paghe da fame per lavori in nero. E un corso professionalizzante come pizzaiolo ancora agli inizi. Un po’ di trap per passare il sabato sera e poi l’adolescenza, questa sconosciuta.
I suoi abitano sulle scalette che scendono giù da vico Paradiso, tra Montesanto e i Quartieri Spagnoli. Un’area in piena trasformazione dove il dilagare dei B&B contende in maniera sempre più aggressiva gli spazi di sopravvivenza ai ceti popolari. A poche decine di metri da casa sua, in vico Don Minzoni, l’anno scorso una famiglia si fece saltare in aria a causa dello sfratto subito da un multiproprietario con centinaia di appartamenti.
I social non sanno praticamente niente di Ugo e della sua famiglia eppure la maggioranza ribolle di un giustizialismo da pistoleri. Tutti i dati sulla microcriminalità sono in calo, ma viviamo nell’era della dittatura della percezione e allora Ugo incarna le paure di una ex città porosa che non ha mai smesso di razzializzare la sua parte di sotto. Molto diverso il clima nel quartiere dove la conoscenza diretta fa la differenza. Lo Spartak San Gennaro, squadra di calcio popolare di bambini e giovanissimi che si è aggregata intorno all’esperienza dello “Sgarrupato” di Montesanto scrive:

“ Stamattina, come ogni domenica, ci siamo svegliati carichi per andare con i nostri ragazzi sui campi di calcio per vivere e far vivere a loro una bella giornata di sport. Invece, appena scesi da casa, siamo rimasti attoniti e sbigottiti di fronte all’ennesima tragedia che ha colpito un ragazzo del nostro quartiere. Ugo, un ragazzo di 15 anni, conosciuto da molti ragazzi della nostra squadra, viene ammazzato da un carabiniere dopo il tentativo di una rapina. Dalle notizie che emergono di ora in ora sembra che Ugo abbia ricevuto anche un colpo alla nuca, mentre scappava… Era un ragazzo Ugo, e ieri sera voleva vincere la vita con una pistola giocattolo. Era un ragazzo come tanti Ugo, uno come quelli con i quali ci confrontiamo ogni giorno, nelle scuole di quartiere, sui campi di calcio. Era un ragazzo Ugo, uno di quegli scugnizzi che alleniamo a prendere a calci un pallone invece che la propria vita, uno di quei ragazzi ai quali cerchiamo di cambiare il futuro, sperando che non vadano in giro a fare guai, ma che non diventino nemmeno sceriffi che si sentono nel far west.
Abbiamo ancora i brividi leggendo quello che è successo, ma una domanda continua a rimbombarci in testa: può una vita, a maggior ragione quella di un ragazzino, valere quanto un fottuto orologio!?

Con ancora grande sconcerto ci chiediamo perché un ragazzo di 15 anni che vive nei vicoli di una metropoli come Napoli decide di affermarsi in questo modo invece di andare a scuola, studiare e vivere la sua adolescenza. E cosa ha fatto questa città per aiutarlo a non trovarsi nel posto sbagliato a fare la cosa sbagliata!?

Invece di invocare un giustizialismo da pistoleri e demonizzare senza appello Ugo, la sua famiglia, i ragazzi di questi quartieri, bisogna saper rispettare il dolore e avere il coraggio di puntare il dito anche contro quell’albero che sta facendo marcire i suoi frutti, contro chi, come denunciamo da molto tempo, per questi ragazzi non trova nemmeno un posto dover permettergli di calciare un pallone. Era un ragazzo Ugo, che voleva vincere la vita con una pistola giocattolo. Che e’ stato ucciso con un colpo alla nuca. Che ha preso a calci la sua vita invece di un pallone.”

In attesa che alle riflessioni sociologiche e antropologiche sui mali di Napoli si affianchino magari quelle sui pistoleri in servizio attivo nelle forze dell’ordine e sul loro esercito di fan una domanda resta in sospeso: Quanto vale la vita di Ugo!?

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