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Un’altra condanna a morte per un minorenne napoletano. La polizia esegue, la stampa approva

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4 ottobre 2020. È domenica mattina. L’edizione delle 9:00 del telegiornale di RaiNews24 è accompagnata da un sottopancia con l’“ultim’ora”:

Napoli, conflitto a fuoco con la polizia. Muore un diciassettenne durante una rapina.

Qualche minuto dopo emergono poche notizie: la sparatoria sarebbe avvenuta a via Duomo intorno alle quattro del mattino, quando un’auto della polizia sarebbe intervenuta per impedire una rapina che due giovani stavano compiendo ai danni di tre ragazzi in una Mercedes; uno dei due rapinatori (quello sopravvissuto e arrestato) è Ciro Di Tommaso, figlio di Gennaro ‘a Carogna, ex capo ultrà, in carcere per droga e collaboratore di giustizia; a sparare è stato un agente dei Falchi della questura di Napoli.

Quello ripreso dalla Rai è l’unico lancio di agenzia disponibile, la cui fonte non può che essere interna alle forze dell’ordine. I titoli sono tutti uguali. Negli articoli non si va molto oltre, ma in compenso l’ottanta per cento di ogni pezzo è dedicato alle gesta di Genny ‘a Carogna, che non è né il morto né il rapinatore, bensì il padre di uno di loro.

Napoli, rapinatore diciassettenne ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia. Il complice arrestato è il figlio di Genny la Carogna

titola l’edizione on-line del Corriere della Sera.

Nell’articolo si parla di “conflitto a fuoco” e quindi di due pistole che sparano, ma con il passare del tempo il testo viene modificato.

Il motorino e la pistola trovata ai giovani – in realtà un modello replica a salve – sono stati sequestrati dagli investigatori che domenica mattina hanno effettuato un sopralluogo in via Duomo, nella zona del porto, per capire come siano andati i fatti.

In tarda mattinata, infatti, emerge che la pistola dei due rapinatori era a salve, e quindi non può esserci stato un conflitto a fuoco. Il titolo tuttavia resta lo stesso per ragioni di “click” e di SEO, e così all’atto dell’ultima modifica del pezzo (ore 17:11 di domenica) il lettore si trova un articolo che nel titolo parla di conflitto a fuoco e nel testo di pistola a salve. Quello del Corriere non è un caso isolato. Sono tanti i redattori che si affrettano a rettificare gli articoli pubblicati qualche ora prima. I titoli invece restano immutati.

Conflitto a fuoco con la polizia, muore rapinatore diciassettenne a Napoli (Tgcom24 – Mediaset)

Napoli, conflitto a fuoco con la polizia. Muore diciassettenne (Ansa)

Napoli, rapinatore diciassettenne ucciso dalla polizia in conflitto a fuoco (Il Messaggero)

Dopo ore comincia a trovare spazio negli articoli il nome della vittima, Luigi Caiafa. Corriere e Napoli Today liquidano in qualche riga le notizie disponibili, lasciando spazio alle vicende della Carogna o ai virgolettati dei sindacati di polizia, mentre Repubblica Napoli non perde tempo e invia una cronista a casa del ragazzo morto. Sul sito del quotidiano compare l’articolo di Conchita Sannino, a cui bastano poche pennellate per mettere con le spalle al muro un intero ambiente sociale. A casa della famiglia di Luigi i mobili sono “laccati”, il vicolo è “rudimentalmente” chiuso al traffico, nel piccolo basso ci sono “dieci donne” e “un bambino che mangia pop-corn”. I padri di Luigi Caiafa e di Ugo Russo (entrambi morti nel corso di un “assalto predatorio”) hanno “rosari al collo e precedenti penali alle spalle”, mentre nel vicolo, “parole meno umane e molto più violente sono rivolte alle forze dell’ordine. Le dicono i ragazzi, i coetanei, i ventenni: ‘Sono dei bastardi, sono delle m…’”.

In un video, che Repubblica propone insieme all’articolo, la Sannino e un altro gruppetto di colleghi incalzano il padre di Luigi sulla stranezza del fatto che suo figlio lavorasse in una pizzeria, ma allo stesso tempo potesse aggirarsi in motorino alle quattro del mattino per fare una rapina. Un elemento della storia che ricorrerà nei giorni successivi, quello dell’oscillazione del ragazzo, e dei ragazzi come lui, tra due universi contrapposti, tra due scelte morali, fornendo in definitiva una chiave soddisfacente per poterla rapidamente archiviare.

Il ragazzo che è stato freddato con un colpo da un poliziotto, aveva nel suo orizzonte la scelta di partecipare a un delitto oppure di lavorare in una pizzeria come addetto al forno. Ha scelto la rapina, cioè la scorciatoia per guadagnare dei soldi (forse pochi, maledetti ma subito) e ha perduto la vita. (Mariano D’Antonio – Repubblica Napoli)

Il pezzo della Sannino, e la lunga giornata del 4 ottobre, si chiudono con il riferimento al giovane boss di Forcella, Emanuele Sibillo, tanto pretestuoso che la stessa Sannino si sente in dovere di giustificarlo:

Scene già viste mille volte, nel cuore di quella Napoli dove, proprio a pochi passi, è ancora oggetto di culto la storia di un ragazzo-boss come Emanuele Sibillo, ucciso a diciannove anni dopo una carriera criminale cominciata a quindici. E poco cambia, purtroppo, che Luigi non fosse un boss.

O forse cambia tutto?

5 ottobre 2020. La notizia della morte di Luigi Caiafa è in prima pagina sui giornali locali, ma trova spazio anche su quelli nazionali. Con il consueto cinismo (ma stavolta, forse, involontario), Libero infila un trafiletto da poco più di cento parole in una pagina il cui titolo principale è:

Dove conviene mettere al mondo un figlio

e che parla dei “bonus nascita” delle regioni e dei comuni d’Italia. Il sommario del brevissimo articolo laterale recita:

Preso il rampollo di Genny ‘a Carogna

mentre l’unica foto in pagina ritrae l’ex ultras in primo piano sulle transenne dell’Olimpico nella notte della morte di Ciro Esposito. Anche per Il Giornale il fatto che sia morto un ragazzo trova meno spazio (finisce nell’occhiello) del fatto che sia stato arrestato il figlio di Gennaro De Tommaso:

Il figlio di Genny ‘a Carogna arrestato dopo una sparatoria

Il Mattino dedica ampio spazio alla vicenda, concentrandosi sull’invivibilità della città, tema su cui il quotidiano di Caltagirone convoglia da anni la propria propaganda anti-de Magistris. Accanto a un articolo di Leandro Del Gaudio, che impasta le poche notizie sull’omicidio con i precedenti giudiziari di Caiafa, vengono pubblicati un editoriale di Piero Sorrentino e un pezzo di Melina Chiapparino che spendono la solita manciata di generiche lamentele sulla scomparsa del pubblico e l’abbandono della città.

Viviamo in una città da costruire daccapo ogni singolo giorno, una città-Ikea da montare quotidianamente, con uno scarno foglietto di istruzioni e moltissimi pezzi da tenere assieme. Mobilitiamo allora dosi creative, enormi riserve di pazienza e buona volontà, e proviamo a cavarcela da soli. […] Ma queste strategie di sopravvivenza quotidiana sono ugualmente pericolose, perché ci abituano all’idea che se sparisce il pubblico, tocca al privato; se latita la buona politica, arriva la supplenza dei singoli. Di questo passo si scampa oggi e si soccombe domani. (Piero Sorrentino – Il Mattino)

I titoli in prima e nel paginone dedicato alla questione sono di questo tenore:

Via Duomo terra di nessuno e Via Duomo zona franca: noi in balia dei criminali

seguiti da pastoni infarciti di virgolettati indignati e/o rabbiosi. Parole d’ordine: “degrado” e “sicurezza”.

Il tema della sicurezza è strettamente connesso al degrado urbano lamentato da comitati e associazioni di commercianti. Tra le richieste più urgenti, c’è «la necessità di implementare gli impianti di illuminazione su via Duomo, perché non c’è abbastanza luce nelle ore serali» spiega Salvatore Martucci, sessantenne napoletano che gestisce un negozio di alimentari e ristorazione. «Da anni siamo totalmente abbandonati, sia sotto l’aspetto del decoro urbano che dal punto di vista istituzionale – continua Martucci – abbiamo protestato per i cumuli di rifiuti in strada, per la disorganizzazione della viabilità e, da anni, invochiamo più sicurezza» (Melina Chiapparino – Il Mattino)

Chiude la doppia pagina del quotidiano napoletano un’intervista telegrafica ad Arturo Puoti, il ventenne accoltellato tre anni fa che parla della sua associazione e solidarizza con le vittime della rapina in seguito alla quale è morto il suo coetaneo Luigi.

Sui giornali di martedì 6, l’uccisione del diciassettenne trova già meno spazio. Su Repubblica Napoli e Il Mattino campeggiano le interviste e gli editoriali di preti ed “esperti” che si intrattengono sui mali di Forcella, mentre sul Corriere del Mezzogiorno la notizia è la convalida dell’arresto per Ciro De Tommaso. L’articolo di Titti Beneduce insiste sulla scarsità del bottino della rapina, un elemento che naturalmente né i rapinatori, né il poliziotto che ha sparato, avrebbero potuto conoscere e che non ha di fatto relazione con la morte del ragazzo. L’intento è quello di creare un’immagine cruenta di giovani criminali disposti a morire per pochi euro.

Convalida per il figlio di Genny ‘a Carogna, indagato il poliziotto. Luigi ammazzato per cinquanta euro

si legge nel sommario del pezzo titolato:

Nel telefono di Ciro foto di armi e soldi

Su uno sfondo sempre più confuso c’è la ricostruzione della dinamica dell’omicidio. Il racconto di un conflitto a fuoco viene sostituito da quello di spari esplosi da un lato dalla pistola a salve dei due giovani, e dall’altro da quella d’ordinanza del poliziotto. Ma anche il fatto che Ciro e Luigi abbiano sparato (a salve) è tutt’altro che una certezza: si fa strada l’ipotesi che uno dei tre agenti scesi dalla vettura in cui viaggiava, potrebbe aver premuto il grilletto e ucciso Luigi per impedire la fuga in motorino dei due ragazzi.

Se il titolo del pezzo pubblicato dal Mattino mette l’accento sui soldi che le vittime della rapina stavano consegnando a Ciro e Luigi, il testo evidenzia la poca affidabilità delle notizie in circolo sulla dinamica, tanto che alcuni passaggi (“vengono esplosi almeno alcuni colpi di pistola”) sembrano essere frutto di una serie di correzioni fatte all’articolo con il susseguirsi di nuove indiscrezioni che smentirebbero le notizie iniziali.

Le uniche voci fuori dal coro in questi primi giorni si ritrovano nei comunicati dell’Osservatorio sulla repressione e di Acad – Associazione contro gli abusi in divisa, che riflettono sull’atteggiamento dei media davanti ad accadimenti del genere, appiattito sulle versioni provenienti dalle forze dell’ordine.

Quali che siano i fatti, che nell’immediato possono conoscere solo i diretti interessati, sui giornali si emettono sentenze inappellabili, appiattite sulle versioni ufficiali fornite da coloro che sono preposti a indagare su se stessi. Così può capitare, quando la connotazione sociale di un ragazzo di 17 anni strappato alla vita lo predispone al pregiudizio, che l’arma utilizzata la notte precedente durante una sparatoria, si scopra il giorno successivo essere una pistola giocattolo. Cosa che non ci permette di fare luce sull’accaduto, ma ci chiarisce una volta in più sul modus operandi di inquirenti e media quando a schiacciare il grilletto sono le forze dell’ordine. La condizione sociale non può essere accettata come attenuante di una sentenza di morte. Se non fosse la coscienza a dettarci questo elementare concetto di civiltà, dovrebbe la ragione permetterci di comprendere che il giustizialismo ci rende tutti potenziali vittime. (Acad)

Riflessioni di questo tipo, però, vengono del tutto escluse dalle narrazioni ufficiali. Sui giornali on-line comincia invece a circolare un video ripreso da una telecamera a circuito chiuso, messo in giro dalle forze dell’ordine, che chiedono l’intervento di possibili testimoni per dare un contributo alle indagini. Nel video si vedono, in sequenza: il motorino che si avvicina alla Mercedes; un giovane che infila la testa e il braccio nell’auto dalla parte del passeggero e si fa consegnare qualcosa; l’arrivo di una seconda auto (quella “civetta” della polizia); un uomo armato che scende di fretta all’altezza dell’altro lato della Mercedes (lato guidatore) e che una volta avvistata la pistola dei ragazzi si abbassa per ripararsi da eventuali colpi; il motorino che si allontana a tutta velocità.

Non è dato sapere se la pistola di Ciro e Luigi abbia esploso colpi (a salve), trattandosi di un video senz’audio, né se i due giovani, così come scrivono i giornali, abbiano puntato la pistola verso i poliziotti. Quello che è certo, anche se non si vede, è che un secondo agente sceso dalla vettura spara verso il motorino e uccide Luigi.

Nel frattempo, con il procedere delle indagini, vengono raccolte le testimonianze sugli avvenimenti della notte del 4 ottobre.

Il racconto degli investigatori, sottolinea la gip, si sovrappone a quello dei giovani vittime della rapina. «Uno dei poliziotti – si legge – intima l’alt con la paletta, qualificandosi come agente di polizia, mentre gli altri due schizzano fuori dalla 500, anche loro armi in pugno». Ma i rapinatori non si arrendono. […] Ed è a questo punto, stando alle testimonianze, che Luigi grida a Ciro: «Spara alla guardia. Sparalo!». (Repubblica Napoli)

Le testimonianze dei ragazzi rapinati lasciano però qualche dubbio: Luigi era infatti certamente al corrente del fatto che Ciro avesse con sé una pistola finta, e che quindi non potesse sparare a nessuno. Anzi, i due sapevano che un comportamento del genere avrebbe messo in ulteriore allarme le guardie. Eppure nessuno si preoccupa di ragionare sulla testimonianza dei ragazzi rapinati, né dà alcun valore alle dichiarazioni di Ciro riportate nel verbale di ordinanza: «Ammetto di aver commesso la rapina. Sono scesi i poliziotti e hanno sparato, ma senza dire che erano della polizia».

Senza effettuare alcuna verifica, i giornali danno in sostanza per scontata l’attendibilità di alcuni testimoni (che pure avranno vissuto quegli attimi con grande paura) e per inaccettabile quella del giovane rapinatore. La disparità è considerata talmente un dato di fatto, da considerare la voce dei ragazzi una “smentita” alle dichiarazioni di Ciro.

Il figlio di Genny la carogna: «Il poliziotto non ha dato l’alt». Ma viene smentito. (Il Corriere del Mezzogiorno)

Anche chi, d’altronde, dalle pagine dei quotidiani scavalca la cronaca per proporre l’ennesima “rivoluzione nel welfare” e il supporto alla “gioventù deviata”, non è capace di modificare di una virgola il proprio punto di vista e si limita a reiterare domande sapendo già che non ci saranno risposte.

Una morte che non avviene per caso, per mano di un giustiziere della notte, ma per un colpo di pistola sparato da un poliziotto impegnato nel proprio compito di garantire la sicurezza di tutti e che porterà sulla propria coscienza la responsabilità morale, prima che giudiziaria, di aver tolto la vita a un ragazzo di diciassette anni. Tutto questo avviene in uno scenario di violenza dove il ragazzo è protagonista, con un suo amico appena maggiorenne, di una rapina, e questo, oltre a essere preoccupante e desolante, pone alla coscienza di tutti noi degli interrogativi che non possono restare senza risposta. È normale che un minorenne giri alle tre del mattino con un amico appena maggiorenne, su un motorino rapinato, alla ricerca della preda di turno da sacrificare? (Vincenzo Morgera, Silvia Ricciardi, Giovanni Salomone – Repubblica Napoli)

Il video, intanto, viene ripreso da tutte le testate on-line. È ormai acclarato che la pistola di Ciro e Luigi sia finta. Eppure non mancano titoli, a distanza di tre giorni dal fatto, del tipo:

Rapinatore ucciso a Napoli: il video del conflitto a fuoco (Il secolo d’Italia)

Napoli, 17enne muore in sparatoria con la polizia: il video diffuso dalla Procura (Il fatto quotidiano)

Ancora, in alcuni articoli si può leggere:

I falchi della polizia, in perlustrazione, si erano accorti della rapina e ne era nato un conflitto a fuoco, dove a perdere la vita è stato il malvivente minorenne. (Il Giornale – edizione on line)

Sui siti internet il pomeriggio del 7 ottobre, e sui cartacei la mattina dell’8, trovano spazio infine due notizie importanti. La prima riguarda i risultati dell’autopsia.

“Da un primo esame – afferma l’avvocato Giuseppe De Gregorio, che assiste la famiglia Caiafa – risulta una reiterazione di colpi. Quello mortale, il secondo, sarebbe stato esploso quando non c’era più la situazione di pericolo. Il foro di entrata è nella regione dorsale, cioè alle spalle”. Il primo, sarebbe invece entrato dallo zigomo per poi uscire dal collo, segno che presumibilmente i due rapinatori erano in movimento, quando l’agente ha sparato. (Repubblica Napoli)

La seconda riguarda i funerali del ragazzo, che sarebbero stati proibiti dalla questura esattamente come accadde qualche mese fa per quelli di Ugo Russo. Le due vicende continuano a marciare parallele, in un avvicendarsi di fatti, dichiarazioni, imprecisioni e menzogne che si intrecciano tra loro e percorrono il tempo all’indietro fino a raggiungere il giorno della morte di Davide Bifolco, sei anni fa. Poco, in verità, hanno insegnato gli omicidi dei due adolescenti Ugo e Davide. Nulla hanno cambiato nell’atteggiamento delle forze di polizia che continuano a comportarsi come se si fosse “in territorio di guerra”. Così come niente hanno insegnato a chi avrebbe il compito di raccontare queste storie, giornalisti, direttori di giornale, titolisti che con le loro parole costruiscono la versione dei fatti per l’opinione pubblica.

Che siano passati pochi giorni oppure anni dalla loro morte, a gente come Luigi Caiafa (Salvatore, per il Corriere del Mezzogiorno), Ugo Russo, Davide Bifolco (Bifulco, per il Riformista), ultimi tra gli invisibili fin dalla più giovane età, viene negata perfino la dignità di avere il proprio nome scritto correttamente su un quotidiano:

La storia di Luigi, come quelle di Ugo Russo, Davide Bifulco, Mario Castellano e tanti altri giovani finiti all’obitorio per un tentativo di rapina o per evitare un posto di blocco, ricordano che a Napoli non è sempre facile stabilire dove sta il bene e dove il male. (Viviana Lanza – Il Riformista)

«Spara alla guardia, sparalo, sparalo!»: sono state queste, secondo i testimoni, le ultime parole pronunciate da Salvatore Caiafa, il diciassettenne ucciso in via Duomo nella notte tra sabato e domenica da un poliziotto dei «falchi» subito dopo avere messo a segno una rapina. (Il Corriere del Mezzogiorno)

Così, mentre i cronisti copia-incollano freneticamente le notizie di agenzia introiettando e diffondendo informazioni errate, ai lettori viene sottratto il diritto di sapere che no, la notte della morte di questi ragazzi, ammazzati da agenti di polizia e carabinieri, non ci sono state né sparatorie, né posti di blocco.

A inizio anno era stato Ugo Russo a morire in una sparatoria con i carabinieri (VesuvioLive)

Era già successo a Ugo Russo, colpito alle spalle da un finanziere otto mesi fa. Era già successo a Davide Bifolco, colpito alle spalle mentre cercava solo di scappare a piedi da un posto di blocco. (Alessio Viscardi – Fanpage)

a cura di riccardo rosa per Napolimonitor

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