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UN PARTITO CON UN PIEDE FUORI DALLA STORIA? (o entrambi?)

Questo partito ancora una volta si trova difronte ad una scelta che preferiva forse evitare, la votazione senza consenso della Cgil sulla riforma del lavoro. Già dalle prime ore dopo la votazione sul web, ma non solo immaginiamo, si è scatenato il dibattito intorno e dentro il partito di Bersani in merito al da farsi in parlamento al momento della votazione.

Le strade sono due: o in maniera definitiva decide di appoggiare a spada tratta questo governo con le conseguenze del caso, o ritrova quel poco di orgoglio e pone voto contrario in difesa degli ancora tanti lavoratori che lo votano e che fanno tessere nel suo nome.

E’ esilarante quando si parla di PD perché spesso viene da chiedersi se lo fanno apposta oppure non capiscono in che situazione si trovino. Quando senti parlare Bersani si capisce lontano un miglio che l’obiettivo per loro è la sopravvivenza, mai una prospettiva strategica, mai un’analisi di prospettiva sulla fase storica del capitalismo che stiamo attraverdando, solanto mosse politiche per racimolare risorse in favore delle loro lobby.  Per questo la sensazione è che il partito Democratico si troverà sempre più spaccato, e che saranno sempre meno i minuti che lo separano dalla fuori uscita dalla scena politica. Troppo impegnato a sostenere i propri affari a discapito di chi soffre veramente le conseguenze della crisi.

Un esempio è la Tav, progetto appoggiato e portato avanti con testardaggine fino al punto di abbandonare la popolazione di quella valle e giocarsi il governo di una regione importante come il Piemonte, lasciata in mano agli affaristi del PdL con i loro lacchè della Lega Nord. Oppure la nostra città, Modena, in cui tra alleanze e giochini speculativi sempre più il partitone dimentica i problemi reali e fa lo gnorri di fronte alle esigenze espresse dai cittadini più sensibili, portandolo alle scorse elezioni al rischio ballottaggio (cosa mai successa negli ultimi 60 anni) e che rischia nuovamente, forse ancora di più, alla prossima tornata elettorale.

Di questi esempi ne possiamo portare avanti all’infinito a partire da singoli comuni per arrivare ai livelli nazionali, esempi che ci fanno capire come ormai quella classe politica è totalmente distaccata dalle classi popolari, nonostante si proclamino radicati nei territori e sbandierino a destra e manca quel soggetto di alta democrazia che sono le primarie.

Saranno proprio gli strati più sfruttati della società a far cadere i pilastri di uno dei più grandi partiti italiani, sancendo il fallimento di una esperienza politica magari discutibile fin dalle origini, ma certamente incapace di rendersi interprete dei reali problemi dei subalterni, approdata ad una politica di tipo americano con la costruzione di una opposizione di facciata, con gli attacchi personali che in Italia si sono coniugati facilmente nell’anti-berlusconismo.

La scelta di subordinazione al potere finanziario del Partito Democratico, costringono Bersani a penose dichiarazioni astratte sulla necessità di dare lavoro ai giovani, su richiami agli ideali della propria gioventù, senza nessuna proposta concreta che rappresenti anche solo una modesta alternativa riformista, alternativa non concessa dall’asfittico palcoscenico che si eleva sulla crisi finanziaria.

Se questo è molto chiaro, è altrettanto chiaro che quel partito non è in grado di fare quella scelta di campo all’interno del gioco delle classi che lo potrebbe porre ancora una volta al riparo dal tracollo: certo ci sarà da capire come finirà quando diventerà un fatto completamente acquisito che la sua capacità di controllo delle piazze è diventata definitivamente pari allo zero. Il dubbio è che in quello stesso momento verranno defenestrati da ogni possibile ruolo anche dagli attuali e nuovi padroni del futuro.

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