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Appello di solidarietà all’Egitto: difendiamo la rivoluzione

Abbiamo tradotto e pubblichiamo l’appello alla solidarietà lanciato dalla piazza rivoluzionaria egiziana. Nel testo si denunciano i gravissimi episodi repressivi e di attacco delle “autorità della transizione” contro il movimento che con tenacia e forza in questi mesi sta continuando a lottare per andare fino in fondo con gli obiettivi della rivoluzione. Come nel caso della Tunisia, che si lascia alle spalle il clamoroso flop delle elezioni per la costituente partecipate da meno della metà degli aventi diritto al voto, anche per l’Egitto la propaganda mainstream tenta di raccontare le “transizioni democratiche” come dolci e sereni passaggi di poteri dai rais alle nuove istituzioni. Non è così! Lo stiamo documentando e ne siamo stati spesso testimoni della durezza dello scontro tra il processo rivoluzionario e il regime che perdura e si riassesta anche tramite (e forse soprattutto) l’uso dell’islamismo moderato, chiave di volta reazionaria per gli interessi occidentali nell’area. Anche questa volta la verità è un’altra, anche questa volta InfoAut sa da che parte stare.

 

Dopo 30 anni vissuti sotto un regime di dittatura gli egiziani e le egiziane hanno cominciato una rivoluzione chiedendo pane, libertà e giustizia sociale. Dopo un’occupazione quasi utopistica di piazza Tahrir durata 18 giorni ci siamo liberati/e di Mubarak e abbiamo intrapreso la seconda e più complessa fase, con l’obiettivo di rovesciare le sue strutture di potere. Mubarak se n’è andato, ma il regime militare resta. Per questo la rivoluzione va avanti continuando a fare pressione, a riprendersi le strade,  a rivendicare il diritto al controllo sulle nostre vite e al sostentamento, contro il sistema di repressione che ci ha oppresso per anni. Ma ora, a così poco tempo dal suo inizio, la rivoluzione si trova sotto attacco. Scriviamo questa lettera per comunicare al mondo ciò che stiamo vivendo, come intendiamo combattere la repressione e per lanciare un appello alla solidarietà di tutti e tutte.

 

Il 25 e 28 gennaio, l’11 febbraio avete seguito gli avvenimenti in televisione e li avete vissuti insieme a noi. Ma abbiamo continuato a combattere anche il 25 febbraio, il 9 marzo, il 9 aprile, il 15 maggio, il 28 giugno, il 23 luglio, l’1 agosto, il 9 settembre, il 9 ottobre. Più volte esercito e polizia ci hanno attaccato, picchiato, arrestato, ammazzato.  Ma abbiamo continuato a resistere; a volte riportando una sconfitta, altre una vittoria – mai senza pagarne il prezzo. Oltre mille persone hanno perso la vita nella lotta per cacciare Mubarak; molte di più sono morte dopo la sua caduta. Andremo avanti nella lotta per far sì che queste morti non siano state vane. Nomi come Ali Maher (il manifestante quindicenne ucciso dall’esercito a piazza Tahrir il 9 aprile), Atef Yehia (ucciso con un colpo di pistola alla testa dalle forze di sicurezza nella protesta in solidarietà con la Palestina del 15 maggio), Mina Daniel (uccisa all’esercito in una protesta di fronte a Masepro, il 9 ottobre). Mina Daniel anche dopo la sua morte si trova a subire la sorte perversa di comparire nella lista degli accusati del tribunale militare.

 

Inoltre, da quando la giunta militare ha preso il potere, almeno 12 mila persone fra noi sono state processate da un tribunale militare, ovvero senza poter chiamare in causa testimoni e con accesso limitato ad avvocati. I e le minorenni vengono rinchiusi nelle carceri per adulti, vengono emesse condanne a morte, la tortura feroce è pratica abituale. Molte manifestanti hanno subito molestie sessuali venendo sottoposte al test della virginità da parte dell’esercito.

 

Il 9 ottobre l’esercito ha massacrato 28 di noi a Maspero; ci hanno caricato con carri armati e sparato per le strade, manipolando poi i media di stato perché parlassero di violenza fra diverse confessioni religiose. L’episodio è stato censurato; l’esercito sta indagando per suo conto. Stanno sistematicamente prendendo di mira chi fra noi si esprime pubblicamente. La scorsa domenica il nostro compagno blogger Alaa Abd El Fattah è stato arrestato sulla base di accuse inventate. Anche questa notte la trascorrerà in una cella buia.

 

Tutto questo è determinato da un potere militare che avrebbe dovuto presumibilmente accompagnare il paese nella transizione alla democrazia, che affermava di difendere la rivoluzione e che, a quanto pare, ha convinto di questo molti e molte egiziane e membri della comunità internazionale. La linea ufficiale esprimeva la volontà di assicurare “stabilità”, con rassicurazioni vuote sul fatto che l’esercito sta solo creando un ambiente consono per permettere lo svolgimento delle prossime elezioni. Ma persino quando un nuovo parlamento sarà eletto continueremo a vivere sotto una giunta che detiene il potere legislativo, esecutivo e giudiziario, senza alcuna garanzia che tutto questo finirà. Coloro che osano sfidare questo paradigma vengono molestati, arrestati e torturati; i processi militari ai civili sono lo strumento primario di questa repressione. Le carceri sono piene di esempi di questa “transizione”.

 

Rifiutiamo di collaborare ai processi militari e nei procedimenti penali. Non ci consegneremo, non risponderemo agli interrogatori. Se ci vogliono, che vengano a prenderci nelle nostre case e nei posti di lavoro.

Dopo nove mesi di repressione militare stiamo ancora combattendo per la nostra rivoluzione. Organizziamo cortei, occupazioni, scioperi, boicottaggi. Sappiamo dalla quantità di supporto che abbiamo ricevuto in gennaio che il mondo ci stava guardando da vicino, e che stava ispirandosi alla nostra rivoluzione. Ci siamo sentiti più vicini che mai a tutti e tutte voi. Ora è venuto il vostro turno di ispirarci, mentre osserviamo le lotte che portate avanti. Abbiamo marciato fino all’ambasciata statunitense al Cairo per protestare contro lo sgombero violento dell’occupazione di Oscar Grant Square ad Oakland. La nostra forza sta nella battaglia che portiamo avanti insieme. Se soffocano la nostra resistenza l’1% vincerà – al Cairo, a New York, a Londra, Roma, ovunque. Ma finché la rivoluzione vive la nostra immaginazione non conosce limiti. Possiamo ancora creare un mondo che valga la pena di essere abitato.

 

Potete aiutarci a difendere la nostra rivoluzione.

G8, FMI e Stati del Golfo hanno promesso al regime prestiti per 35 miliardi di dollari. Gli Usa donano al potere militare egiziano 1,3 miliardi di dollari ogni anno. I governi di tutto il mondo continuano a fornire il proprio appoggio a lungo termine e mantengono la propria alleanza con il governo militare egiziano. I proiettili con cui ci ammazzano sono fabbricati in America. Il gas lacrimogeno che utilizzano da Oakland alla Palestina è fabbricato in Wyoming. La prima visita di David Cameron nell’Egitto post-rivoluzionario era finalizzata a concludere un accordo commerciale per la vendita di armi. E questi sono solo alcuni esempi; la vita, il futuro e la libertà delle persone non devono più essere merce di scambio per assetti strategici. Dobbiamo fare fronte comune contro i governi che non rispettano gli interessi della propria popolazione.

Lanciamo un appello ad intraprendere azioni di solidarietà per aiutarci a contrastare queste misure repressive.

Proponiamo una giornata internazionale il 12 novembre per supportare la rivoluzione egiziana, con lo slogan “Difendiamo la rivoluzione egiziana, mettiamo fine ai processi militari per la popolazione civile”.

Le iniziative potrebbero comprendere:

  • Azioni presso le ambasciate o consolati egiziani che chiedano il rilascio dei/lle civili giudicati/e dai tribunali militari. Anche se Alaa verrà rilasciato chiediamo il rilascio degli altri mille arrestati/e.
  • Azioni che chiedano al governo del vostro paese di non supportare la giunta militare egiziana.
  • Iniziative che chiedano il rilascio dei/lle civili giudicati/e dai tribunali militari. Non solo Alaa, ma tutti/e gli altri mille arrestati/e devono tornare in libertà.
  • Proiezioni video sulla repressione che ci troviamo ad affrontare (come i processi militari o il massacro di Maspero), e che documentino la nostra continua resistenza. Potete contattarci via email per avere materiali e link di riferimento.
  • Videoconferenze con attivisti/e in Egitto.
  • Qualsiasi azione creativa per mostrare il vostro supporto, e per mostrare alla popolazione egiziana che ha alleati anche all’estero.

 

Se state organizzando o avete intenzione di organizzare un’iniziativa contattateci all’indirizzo defendtherevolution@gmail.com. Ci piacerebbe anche avere foto e video di qualsiasi iniziativa organizzata.

The Campaign to End Military Trials of Civilians (Campagna per la fine dei processi militari alla popolazione civile)

The Free Alaa Campaign (Campagna per la liberazione di Alaa)

Mosireen

Comrades from Cairo (compagn* dal Cairo)

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