Bahrain Libia: collera continua!
l bilancio provvisorio dell’assalto è di cinque morti e trecento feriti, di cui la gran parte ricoverata all’ospedale Salmaniya, divenuto rapidamente un nuovo punto di ricompattamento degli insorti ed un hashtag di twitter su cui far partire la catena della solidarietà e della cooperazione – con richieste di donazioni di sangue ed appelli a continuare la lotta da parte dei parenti e dei compagni delle vittime della repressione. Neppure il personale medico ed infermieristico è stato risparmiato dalla furia mercenaria degli sgherri della monarchia: è stato impedito alle ambulanze di avvicinarsi alla Pearl Roundabout ed i dottori lì presenti e quelli accorsi sono stati picchiati con tanta violenza da dover ricorrere alle cure mediche essi stessi; mentre a quelli rimasti in ospedale è stato intimato dalle autorità di negare i soccorsi ai feriti in arrivo. Al che la rabbia e l’esasperazione dei medici è sfociata in surreali cortei nelle sale e nei corridoi ospedalieri e cordoni nelle strade assieme agli altri manifestanti, reclamanti il diritto alla salute e le dimissioni immediate del Ministro della Sanità.
Un’escalation di tensione che preoccupa gli Stati Uniti (che vedono saltare il paese caposaldo del loro dominio nel Golfo – all’imbocco dei porti petroliferi iracheni, kuwaitiani e sauditi, in grado di monitorare l’Iran e rifornire rapidamente le monarchie alleate della penisola arabica), i mercati finanziari (nei giorni scorsi l’asta di rifinanziamento del debito del Bahrain è stata disertata, mentre le proteste hanno provocato le più alte chiusure del Brent sul petrolio dal 2008) ed il management dei grandi eventi globali – venendo messa a repentaglio la gara inaugurale del campionato del mondo di Formula 1 prevista tra meno di un mese; dall’altra parte, a portare solidarietà dal basso ai rivoltosi si sono registrati presidi spontanei presso le ambasciate del Bahrain, al Cairo ed in altre capitali.
Infuria anche la battaglia mediatica; dopo averle evocate per giorni, oggi per la prima volta la tv di stato ha rilasciato immagini di presunte armi in possesso dei dimostranti, mentre già da tempo circolano in rete foto di gusci di lacrimogeni – prodotti dall’americana Nonlethal Technologies – impiegati nelle operazioni di polizia; nel pomeriggio un giornalista di Sky News ha riferito dell’internamento di reporter stranieri presso l’aeroporto internazionale, le cui foto e videocamere stanno venendo confiscate dalla polizia – come accaduto al reporter dell’ABC Miguel Marquez, aggredito e minacciato la scorsa notte alla Pearl Roundabout.
Ma con le immagini ed i racconti agghiaccianti dei rastrellamenti e delle esecuzioni sommarie che trapelano dalla rete, qualcosa sembra essersi irrimediabilmente incrinato. E nel sentimento comune come sulle bacheche dei social network le parole del compromesso si fanno sempre più rare: mentre nei primissimi giorni della protesta le rivendicazioni erano quelle di un ampliamento dei diritti costituzionali e della sostituzione del primo ministro in carica da 40 anni, ormai sono preponderanti le voci che gridano alla caduta del regime, alla cacciata della famiglia reale ed alla lotta fino alla conquista di una costituzione scritta dal popolo.
“I figli di Omar Mukhtar”, così si definiscono i manifestanti libici che si stanno battendo da ore contro la polizia di Gheddafi. Fucilate dagli elicotteri, lacrimogeni e acqua bollente sparati contro il movimento che sta attraversando la Libia nella sua giornata della collera. Si parla già di almeno 6 morti a Bengasi (seconda città del paese) e di 4 morti a ElBaida, senza contare le decine di feriti i cui numeri salgono di ora in ora grazie a qualche news che riesce ad uscire da un pease blindato. La stampa internazionale è stata tenuta fuori dai confini libici e i pochi giornalisti internazionali che sono riusciti a restare in città sono stati impossibilitati di seguire gli eventi. I siti e i pochi network di media attivisti indipendenti sono stati oscurati (come enoughghaddafi.com) e molti giornalisti scomodi al regime arrestati preventivamente. Mentre scarcerava diversi detenuti islamisti, Gheddafi dava gli ordini per organizzare un vero giro di vite contro militanti dell’opposizione laica, avvocati e attivisti per i diritti umani arrestandone a decine tra ieri e stamattina.
Contro la corruzione e la povertà, contro il regime e la crisi, urlano “il popolo vuole la caduta del regime”, e non si fermano neanche quando la repressione si fa più dura. Oltre a piogge di proiettili, sembra infatti che Gheddafi abbia dato ordine di liberare moltissimi detenuti “invitandoli” ad unirsi alle azioni di alcuni gruppi pro-regime armati fino ai denti e pronti ad assalire i manifestanti. Anche in Libia la tenacia e il coraggio sembra essere la più potente arma a disposizione della piazza: operai, studenti, blogger, professori, avvocati e da poche ore anche i medici si sono uniti alla protesta indignati dalla brutalità del regime. Stanno organizzando blocchi stradali che poi si tramutano in cortei e in risposta alla repressione vengono assaltati anche posti di polizia ed edifici pubblici vengono dati alle fiamme, così come le immancabiIi gigantografie del rais. Proprio in questi minuti ci giungono notizie che altri cortei e iniziative di lotta si stanno unendo al movimento, e a Bengasi si parla di migliaia e migliaia di manifestanti… anche questa notte sarà tempo di collera.
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