Ben Ali trema!
| Ha tremato! E trema ancora se è vero che nei pressi della residenza presidenziale di Cartagine il dittatore Ben Ali ha fatto parcheggiare un jet pronto per un piano d’evacuazione.
La rivolta distende la sua durata, si dispiega in tutte le città e incalza il regime dopo 23 anni dalla sua instaurazione. Anche in Tunisia, come dall’altra parte del Mar Mediterraneo, è la formazione in lotta ad avviare un processo di rifiuto e scontro sociale, ad emergere nella crisi come avanguardia sociale e luogo di convergenza per le tante lotte operaie che si susseguono frammentate quanto radicali e coraggiose ormai da decenni.
Dopo il 17 dicembre, dopo che Mohamed Bouazizi, laureato e disoccupato, si è dato fuoco a Sidi Bouzid per protestare contro il sequestro del suo banchetto di frutta e verdura, la Tunisia è entrata in movimento ed è iniziata la rivolta. Dapprima circoscritta nella zona di Sidi Bouzid si è poi allargata in tutti i centri produttivi del paese magrebino ed ha poi raggiunto anche i paesi e le zone più periferiche, in un intreccio di solidarietà e lotta che vede fianco a fianco, studenti medi e universitari, professori delle superiori, operai, disoccupati, avvocati e sindacalisti di base nel non voler cedere alla violentissima repressione messa in atto dal regime.
A sostenere le lotte e la mobilitazioni c’è l’intersezione, un’incidenza tra due spazi di organizzazione: le sedi sindacali e i social network, i blog.
Le prime, fin dal primo giorno di sollevamento a Sidi Bouzid, hanno visto le porte spalancate dai sindacalisti di base, che hanno trasformato le stanze del sindacato in luoghi dove far convergere i saperi, le passioni e le capacità delle soggettività emergenti. Gli studenti e i laureati disoccupati hanno così trovato un luogo dove connettere il rilancio politico della rivolta alle capacità maturate da tanti sindacalisti di base, e ai saperi di avvocati e professori degli istituti superiori che in gran numero hanno fin da subito scelto da che parte stare. Le sedi del sindacato sono divenuti quindi i luoghi delle assemblee durante i momenti di tregua, ma anche base e presidio sociale permanente da cui far partire i cortei e le iniziative in tutte le città della Tunisia. L’appello che gira ovunque per la rete è quello di andare davanti alle sedi del sindacato e attendere che il numero cresca per poi partire in corteo o realizzare l’iniziativa di protesta.
E i social network riescono anche questa volta a dare continuità alla comunicazione tra le località e a denunciare la repressione del regime.
L’apparato statale di Ben Ali già nel mese di dicembre aveva messo sotto sorveglianza l’intera rete tunisina. Dopo l’esplosione del “Cable Gate” Wikileaks era stata oscurata e più in generale era stato inibito l’accesso a tutte le fonti di informazione che avevano ripreso i cable contraddistinti da toni apertamente critici nei confronti del regime nord-africano, e che dall’inizio della rivolta sono divenuti i referenti della comunicazione in rete dei rivoltosi.
Con l’acuirsi delle proteste di questi giorni la guerra in rete si è fatta immediatamente più intensa ed ha visto diverse impennate. Dal 30 dicembre le comunicazioni dei netizen tunisini (la cui comunità Facebook è la più estesa di tutto il nord-africa) vengono ostacolate da un sofisticato sistema di censura, (nome in codice “Ammar”) in grado di impedire la diffusione di foto, video, parole chiave (come l’hashtag #sidibouzid utilizzato su Twitter) ed altri aggiornamenti in tempo reale nel resto del pianeta.
Nelle ultime ore però questo quadro è stato attraversato e scosso dall’iniziativa di Anonymous, l’organizzazione di hacktivisti che il mese scorso si era resa protagonista di attacchi su larga scala nei confronti di Mastercard, Visa, Paypal, Amazon e di tutte le altre imprese ed aziende che in seguito alle pressioni di Washington avevano di fatto contribuito al tentativo di isolamento internazionale di Wikileaks, tagliandone i canali finanziari e facendo venir meno la disponibilità ad ospitarne la piattaforma tecnica. Attraverso un breve comunicato, il cui sapore è quello di una chiamata alle armi, è stata lanciata l’operazione Tunisia (#OpTunisia).
Senza mezzi termini gli hacker dell’ormai nota organizzazione hanno mandato un aut-aut al regime di polizia di Cartagine: fino a quando continuerà il blackout mediale che sta rendendo impossibile una copertura giornalistica delle proteste tunisine, tutte le organizzazioni responsabili di tale censura saranno oggetto di attacchi informatici.
E la promessa è stata mantenuta: in poche ore, uno dopo l’altro, sono stati resi irraggiungibili diversi siti governativi. Ma se a dicembre Anonymous si era “limitata” a mettere in atto dei DDOS (ovvero operazioni volte ad impedire l’accesso ad un sito convogliando verso di esso un grande carico di informazioni in modo da renderlo inaccessibile), gli attacchi di questi giorni hanno segnato un salto di qualità. Il sito web di Mohamed Ghannouchi, il primo ministro tunisino è stato defacciato: nella home page ha campeggiato per diverse ore un messaggio dove veniva ribadito che “Operazione Tunisia” sarebbe continuata per tutto il tempo necessario. O almeno fino a quando il governo di Tunisi non si deciderà a togliere la cappa censoria che avvolge il sistema di comunicazioni internet del paese.
Nei fatti anche questa operazione sta contribuendo a mutare i rapporti di forza tra piazza e regime visto che i social network e i blog continuano a pubblicare informazioni e a funzionare come strumenti per la promozione di iniziative, come il recente flash-mob organizzato nella capitale ha dimostrato, riuscendo a bloccare i treni e le linee metro che sono state occupate allungo dai manifestanti che hanno aderito all’iniziativa coinvolgendo anche tante altre persone che non avevano avuto modo di leggere la pagina evento costruita su facebook.
Sedi sindacali e rete sono quindi ad oggi i due spazi intersecati dell’organizzazione spontanea della rivolta tunisina che a fronte di una repressione incredibile continua a rilanciare in avanti il programma di rivendicazioni. Se all’inizio i contenuti della prima sommosse erano legate ad un piano rivendicativo interessato fondamentalmente a reclamare impiego per i diplomati e laureati disoccupati, con l’estendersi alle altre città della mobilitazione la piazza ha iniziato a reclamare e lottare desiderando e affermando la volontà di conquistarsi anche dell’altro: la libertà contro il regime, e una ridistribuzione generale della ricchezza contro la crisi. Questo passaggio formidabile quanto repentino del programma della rivolta da ragione della soggettività che sta guidando la mobilitazione: la formazione in lotta sta riuscendo a parlare a tutta la società e a coinvolgere nelle dimostrazioni di piazza tante altre lotte sia operaie che legate ai diritti civili che prima di fatto comunicavano poco tre loro e risentivano della frammentazione.
Grazie a queste giornate di rivolta i minatori di Gafsa (che diedero vita a una mobilitazione con tendenza insurrezionale nel 2008) oggi possono avare al proprio fianco decine e decine di avvocati in lotta per aprire spazi di diritto nel regime di polizia tunisino. Ma questo è solo un esempio di molto altri ambiti simili di reciprocità tra istante politiche e sociali che oggi convergono nelle piazze a partire dalle sedi sindacali e dai social net-work.
Lotta e organizzazione stanno permettendo quindi da più di 20 giorni di reggere un livello repressivo durissimo che si è scatenato oltre alla disinformazione e alla censura sui territori e sui corpi dei manifestanti. Fin da subito il regime ha impiegato tutta la sua violenza e brutalità per spegnere e bloccare la mobilitazione: la città di Sidi Bouzid è stata completamente chiusa e assediata da polizia ed esercito che anche in altre città ha sparato contro i manifestanti uccidendone due e ferendone a decine, sono state eseguite numerose perquisizioni nelle dimore di compagni e compagne, e gli arresti notturni e durante le manifestazioni hanno portato in carcere decine e decine di manifestanti. A questi eventi repressivi contro attivisti, sindacalisti e manifestanti si aggiungono poi le torture effettuate contro ragazzi anche minorenni (a Menzel Bouzayane è stato torturato anche un bambino di 14 anni durante un fermo di polizia), e sequestri e pestaggi di giornalisti e avvocati. Questi ultimi sia a Tunisi che in altre città non sono riusciti ad entrare nelle aule di tribunali perchè caricati dalla celere (come nella capitale), o pestati nei pressi delle aule da parte della polizia politica. Avvocati desaparecidos, pestati o sequestrati e poi abbandonati fuori città, giornalisti arrestati preventivamente o con le case circondate dalla polizia politica che sequestra computer, telecamere e cellulare.
Tutta questa macchina repressiva questa volta non sembra intimidire il movimento, ma anzi come ha dichiarato un’avvocatessa sequestrata e poi liberata dopo alcuni giorni dalla polizia politica “Ben Ali ha capito che sta volta può avere i giorni contati, nel discorso fatto alla televisione dal dittatore per le prima volta abbiamo colto una prima paura, un primo cedimento”.
Ed ha ragione visto che durante la prima settimana media e comunicazione istituzionale semplicemente ignoravano le città in stato d’assedio, l’esercito che sparava sui manifestanti, i tentativi di suicidio dei disoccupati, insomma per i media ufficiale la mobilitazione non esisteva.
Ma nella settimana successiva il regime ha dovuto fare un passo indietro fino al punto che Ben Ali durante un discorso alla nazione sui canali del regime ha ammesso che “sono in atto tentativi di strumentalizzazione di disagio sociale da parte di isolati gruppi di criminali, manipolatori e provocatori che vogliono dirottarlo verso malsane finalità politiche”. Questa ammissione nel contesto del regime di polizia tunisino è il primo riconoscimento di una rivolta sociale in atto, dagli esiti per loro non più facilmente controllabili e che nello sciopero indetto per il 12 gennaio potrà trovare l’occasione per compiere ancora un passo in avanti.
Le giornate di conflitto sociale in Tunisia per la loro composizione, per la potenza che stanno esprimendo e la forza che stanno accumulando mostrano ancora una volta come il fuoco della conoscenza sia capace di puntare in alto nei territori della crisi ed aprire spazi di autonomia, divenire prima avanguardia sociale dove il lavoro del braccio e il lavoro del cervello si riconoscono come ambito comune e reciproco di lotte e liberazione dalla crisi e dalla sfruttamento. Dalle vecchie sedi sindacali si punta al governatorato, dalla rete si sfasciano i siti del regime, in entrambe spontaneamente ci si organizza: è questo intreccio un segno che anche oltre le frontiere della Fortezza Europa l’alternativa alla crisi, che è sempre e solo lotta e organizzazione costruisce un altro, nostro, mondo senza frontiere.
La redazione di Infoaut si unisce alla protesta internazionale contro l’attacco che il regime di Ben Ali sta portando ai siti di informazione indipendente, militante e partigiana, e denuncia il silenzio dei media europei e l’ostinato razzismo colonialista che anche questa volta fa da denominatore della stampa francofona che ad ogni mobilitazione di un paese arabo allude con ostinata perversione orientalista al pericolo islamista. Questa operazione di disinformazione e manipolazione è inaccettabile! E dando eco ai blogger, ai nostri contatti e a tutte le informazioni audio, video e testuali pubblicati in rete non possiamo che salutare queste importanti giornate di rivolta dai chiari e netti lineamenti anti-capitalisti e di classe contro il dittatore Ben Ali, amico e socio in affari del governo Berlusconi e delle cricche al potere nella Fortezza Europa.
Seguiranno aggiornamenti, news e approfondimenti…
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