
Chi sono «le forze oscure»?

di Paolo Gerbaudo (Il Manifesto)
Ascolta l’intervista con Paolo Gerbaudo dal Cairo a cura di Info Aut:
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EGITTO – Dopo il massacro di copti che domenica sera ha provocato una trentina di vittime (ma il bilancio finale potrebbe essere di una sessantina) al Cairo ci si interroga sul futuro della «rivoluzione»
Davanti alla cattedrale copta di San  Marco ci sono dieci blindati color sabbia dell’esercito egiziano.  Identici a quelli che domenica sera hanno fatto strage nella folla,  investendo i corpi di decine di manifestanti, spezzando ossa,  frantumando crani. Una provocazione inaccettabile per i fedeli in lutto.  Si alzano urla contro l’esercito e contro Tantawi, il capo della giunta  militare succeduta a Mubarak. Passano pochi minuti e i veicoli  abbandonano lo spiazzo. Al loro posto parcheggiano i carri funebri con a  bordo le vittime della battaglia di Maspiro. 
Il giorno dopo il  massacro dei cristiani copti di fronte al grattacielo di Maspiro, sede  della televisione pubblica egiziana, negli ospedali si fa ancora il  conto dei morti e dei feriti degli scontri più gravi dalla caduta del  dittatore Hosni Mubarak, 9 mesi fa. Stando agli ultimi dati del  ministero della sanità egiziano i morti sarebbero 29 – 17 manifestanti e  12 tra poliziotti e soldati – mentre i feriti sono piu’ di 200. Un  bilancio destinato ad aggravarsi: c’e’ chi parla di 60 morti, quasi  tutti tra i manifestanti. Davanti all’ospedale copto dove sono arrivati  la maggior parte dei caduti e dei feriti si radunano parenti e amici.  Dentro un sacerdote copto cerca di convincere la gente a chiedere  l’autopsia per i propri cari: «E’ il solo modo per dimostrare che li ha  uccisi l’esercito». 
La battaglia tra copti e militari è cominciata  domenica sera durante una protesta convocata dopo l’incendio di una  chiesa nel distretto di Assuan, nell’Egitto meridionale, la scorsa  settimana. Erano partiti in 10.000 da Shubra, quartiere della minoranza  copta nella zona nord del Cairo. Nel corteo spiccavano croci, icone  religiose e cartelli scritti a mano che chiedevano alle autorità di  difendere la libertà di culto e di mettere freno al fondamentalismo  islamico. I problemi sono cominciati quando il corteo si è immesso nel  tunnel che collega Shubra al centro città. Dai palazzi vicini sono  iniziati lanci di pietre, bottiglie e bombe molotov, e si sono uditi  colpi di pistola sparati da provocatori (i famigerati baltageya),  sospettati di essere manovalanza al servizio della giunta militare. 
Verso  le sette di sera la testa del corteo ha infine raggiunto la zona di  Maspiro, sulla riva destra del Nilo, dove dall’inizio della rivoluzione  la comunità copta tiene i propri presidi di protesta. E dopo pochi  minuti è cominciato l’inferno. L’esercito ha attaccato frontalmente il  corteo. Cariche di blindati lanciati all’impazzata contro la folla,  hanno investito chiunque si trovasse sul loro cammino, mentre raffiche  di mitre e colpi di fucile hanno mietuto altre vittime. Alcuni  manifestanti avrebbero reagito sparando con armi rubate da un camionetta  della polizia data alle fiamme. Ma gli organizzatori della protesta  insistono che nessuno tra i manifestanti copti ha aperto il fuoco su  militari e poliziotti, e accusano gruppi di provocatori e islamisti  dell’accaduto. 
La battaglia tra manifestanti ed esercito è andata  avanti per ore nella zona circostante, compresa la vicina piazza Tahrir  che è stata sgomberata attorno alla mezzanotte da plotoni di soldati  armati di scudi e bastoni. Poi più o meno alla stessa ora il governo ha  dichiarato il coprifuoco in tutta la zona centrale della capitale fino  alle sette dell’indomani mattina. Il primo ministro Sharaf è andato in  televisione a dichiarare che «forze oscure» sono dietro gli scontri, e  che «il paese è in pericolo». E la televisione di stato ha incitato la  popolazione a scendere in piazza e a difendere i militari contro gli  «assassini» cristiani. Centinaia di salafiti hanno risposto all’appello e  sono andati ad attaccare l’ospedale copto dove continuavano ad arrivare  i feriti degli scontri. 
Il massacro di domenica è l’ultimo in una  serie di attacchi contro la minoranza copta in un anno cominciato con la  strage islamista del primo gennaio in una chiesa di Alessandria in cui  morirono 23 persone. Dalla caduta di Mubarak ci sono state decine di  attacchi contro la minoranza copta in diverse zone del paese, di cui  alcuni mortali. Ora per i membri della antica setta cristiana, che  rappresenta il 9% della popolazione egiziana si profila il rischio di  essere stritolati tra il pugno di ferro dell’esercito e il fanatismo dei  gruppi salafiti. 
«E’ difficile descrivere il dolore per quello che è  accaduto – afferma Nora Rafea, una ragazza musulmana di 24 anni che è  andata ad esprimere solidarietà davanti all’ospedale copto -. Sta  succedendo qualcosa di molto inquietante in questo paese. Qualcuno vuole  che la rivoluzione si trasformi in una guerra religiosa. La giunta  militare vuole aumentare la tensione, e dimostrare che senza di loro il  paese finirà nel caos. Continuo ad essere convinta che il popolo  egiziano non si farà ingannare da questo complotto». Sarà così?
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