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Con i morti di Strasburgo ancora caldi Erdogan attacca i curdi ed aiuta l’ISIS

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Asya Ali Muhammed (73 anni), Narinç Ferhan Qasım (26 anni), Eylem Muhammed Emer (23 anni) e Evin Kawa Mahmud (14 anni). Sono questi i nomi delle quattro donne massacrate ieri dall’aviazione di Erdogan nel campo profughi di Maxmur – nuova azione turca di alto profilo in territorio irakeno dopo l’assassinio lo scorso agosto di Zeki Sengali, comandante del PKK e responsabile del salvataggio di migliaia di ezidi dal tentativo genocida dell’ISIS nel 2014.

L’intera popolazione del campo è scesa in strada ad urlare la propria rabbia contro l’aggressione, raggiungendo e circondando l’ufficio delle Nazioni Unite (organo che formalmente supervisiona l’insediamento) per condannarne il silenzio. L’ennesimo affronto subito dagli abitanti di Makhmur in 25 anni di esistenza e resistenza a carnefici di ogni tipo.

Non c’è solo quest’episodio a confortare l’assunto che gira in queste ore in rete “la Turchia sta cercando di portare a termine quello che l’ISIS non è riuscito a fare”. Oggi infatti – dopo svariati mesi di guerriglia funestati da agguati, tempeste di sabbia e dalle innumerevoli vessazioni turche su tutto il lunghissimo confine della Siria del nordest – le SDF curde ed arabe hanno espugnato il quartier generale del califfato di Hajin, accerchiando i militanti superstiti dell’organizzazione in pochi chilometri quadrati nel mezzo della valle dell’Eufrate. Ma le rinnovate minacce di Ankara alle città del Rojava possono ora sfociare in una pugnalata alla schiena dell’unica forza democratica che abbia affrontato l’ISIS sul campo, proprio mentre si contano i morti del nuovo attentato a Strasburgo.

Il tutto da considerarsi nel progetto neo-ottomano e suprematista di Erdogan, continuato a tutto spiano nel 2018; dall’invasione su larga scala di Afrin da parte delle forze turche e jihadiste (quotidianamente nel mirino dei partigiani curdi: l’ultimo bilancio è di cinque soldati turchi uccisi nella giornata di ieri) a quella più in sordina delle aree montane del Kurdistan Iracheno (in cui la corrotta dinastia Barzani si perpetua nei palazzi di Erbil), senza contare le provocazioni contro Cipro e Grecia nel Mar Egeo.

Un crescendo a cui i governi europei rispondono come nel ’39: con l’appeasement ed il silenzio assenso. Ma se non altro Hitler non godette dei sei miliardi di euro elargiti dalla Bruxelles di Moscovici sulla pelle di curdi, arabi ed abitanti del vecchio continente.

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