Crisi pandemica, Crisi globale: cosa ci aspetta?
A 6 mesi dall’arrivo in Italia della pandemia globale del Covid-19 si iniziano a delineare gli effetti a medio termine dell’ennesima crisi economica del XXI secolo.
Qualche nota sulla Legge di Bilancio 2021, i drammatici dati del mondo del lavoro e sulla polarizzazione della ricchezza ci forniscono gli elementi per inquadrare la situazione corrente e prospettica della recessione economica in corso.
Quest’ultima è ben messa a fuoco dalla fotografia sulle previsioni di crollo del PIL, che per l’Italia si aggira intorno al 10%, mentre l’Eurozona dovrebbe fermarsi ad un – 8%. Dati ben peggiori del biennio 2007-08 quando il casinò finanziario di Wall Street generò panico, disoccupazione e povertà per centinaia di milioni di persone nell’intero globo (anni 20’ finance mode on).
Il circo mediatico composto da politica istituzionale, media, giornali e ‘tecnici’ dell’economia ha tentato, non invano, da un lato di ‘normalizzare’ e dall’altro di ‘eccezionalizzare’ la crisi in corso.
La natura ‘eccezionale’ è semplice, il virus è narrato come una sciagura imprevedibile che questo povero e sfortunato esecutivo si è trovato a governare, in un contesto mediatico nel quale difficilmente si trovano virologi o accademici mainstream che sottolineino il legame scientifico tra il moltiplicarsi dei Corona virus e l’intensificazione dello sfruttamento del suolo in aree sempre più vaste del pianeta.
Tuttavia, incendi, emigrazioni forzate da siccità e caldo, scioglimenti di ghiacciai e virus sappiamo essere il risultato di un modello capitalista diagnosticato come insostenibile e terminale già dagli anni ’70 (rapporto sui limiti dello sviluppo del Club di Roma del 1972, L’imbroglio ecologico di Paccino).
Un altro aspetto che ci preme evidenziare è il processo di ‘normalizzazione’ dello shock Covid, ossia il tentativo di de-politicizzare ed appiattire gli errori e gli orrori commessi dalla classe politica italiana e globale nella gestione della pandemia e, più nel dettaglio, nell’amministrazione delle risorse erogate per temperarne i suoi effetti socio-economici.
Oggi a sei mesi dallo scoppio della pandemia, il dibattito su sanità e scuola, per citare due settori critici nel durante e post Covid, è tornato ai pessimi livelli a cui siamo abituati da decenni.
Un’estate a parlare di banchi a posto unico a fronte di un mondo della formazione martoriato dal peggior precariato e da un’inefficienza cronica, di cui spia più evidente sono le assenze di 200.000 lavoratori e lavoratrici tra personale scolastico e didattico nelle scuole primarie e secondarie.
Discorso analogo se non peggiore riguarda la sanità, dove iniezioni una tantum tramite il ‘Cura Italia’ (marzo), ‘Rilancio Italia’ (maggio) e ‘decreto agosto’ hanno tamponato l’emorragia costante del de-finanziamento e della privatizzazione selvaggia dei bisogni essenziali (si veda la nostra inchiesta ‘il virus e la riproduzione sociale’).
Qualche migliaio di posti di specializzazione in più e maglie leggermente più larghe al numero chiuso di medicina è il meglio che il ministro Speranza (Salute) e Manfredi (Università) siano riusciti ad ottenere.
Sarebbe tutto ridicolo, se non si parlasse delle nostre vite.
Torniamo al tema centrale, cosa ci aspetta nella prossima Legge di Bilancio? Cosa sta facendo la classe politica italiana per ‘normalizzare’ questa crisi ‘eccezionale’? In che modo stanno peggiorando le condizioni materiali di vita di milioni di persone?
Com’è noto, l’Italia per far fronte al lockdown ha emanato i già citati ‘Cura Italia’, ‘Rilancio Italia’ e ‘decreto Agosto’ per una cifra pari a 100 miliardi di €, circa 4 volte la legge di bilancio approvata lo scorso anno (2019). Questi provvedimenti hanno portato il rapporto deficit/Pil di quest’anno intorno al 12%, manovre rese possibili grazie alla momentanea sospensione dei vincoli di bilancio imposti dal fiscal compact e dall’espansione ulteriore del debito pubblico che, partito dal 134% del PIL, oggi viaggia verso il 160% (circa 2.500 miliardi).
Alla luce di queste spese, lo stesso dicastero dell’economia per voce del ministro Gualtieri ha annunciato che la manovra 2021 sarà da 20/25 miliardi senza deficit aggiuntivo, ossia senza aumentare ulteriormente il rapporto deficit/PIL.
I più attenti ricorderanno che fino all’anno scorso nell’eurogruppo si combatteva se questo rapporto deficit/PIL dovesse essere 2.1 o 2.2 e così via.
Era il regime lacrime e sangue dell’ordo-liberismo ‘tedesco’ che vedeva nel rispetto delle regole di austerity un metodo di disciplinamento di spesa per i ‘peccatori’ del sud Europa che consentisse alla moneta unica di non vivere ulteriori speculazioni finanziarie provenienti dagli Usa. (su tali meccanismi speculativi si veda qui)
Regole di bilancio che ovviamente non sono sparite del tutto e che già in questo settembre tornano a perimetrare l’azione del ministero dell’economia che gestisce in uscita appena 20/25 miliardi di euro. Ci si riavvicina alla ‘normalità’.
Una manovra da 20/25 miliardi è una miseria: Il PIL italiano del 2019 è stato di 2.000 miliardi (dati banca mondiale), l’ottava economia al mondo con il 2.28% del PIL globale, dove i patrimoni finanziari di 400.000 persone (meno dell’1% della popolazione) ammontano a 4.900 miliardi di euro (dati credit Suisse).
L’1% più ricco detiene il 22% della ricchezza totale del nostro paese.
Certo sono cifre e storie già sentite, le ormai celebri disuguaglianze, ma metterle a confronto con l’amministrazione della povertà odierna sia delle casse dello stato sia della sua popolazione fa ancora più effetto.
Sottolineato come queste risorse ‘collettive’ siano ridotte all’osso, è opportuno spendere qualche parola su come l’esecutivo 5S-PD stia progettando di distribuirle, tenendo in considerazione che il documento di economia e finanzia (DEF) dove si delineano i dettagli della futura finanziaria sarà reso noto ufficialmente solo il 26 settembre.
In sintesi: nessun aumento dell’IVA, Reddito di Cittadinanza e quota 100 saranno confermati ancora per un anno, mentre un elemento centrale dell’accorpamento fiscale dovrebbe essere la riduzione al 36% delle due aliquote IRPEF del 38 e 41%. Nemmeno a dirlo, ai ricchi non viene toccato un centesimo.
Com’è già evidenziato all’inizio dell’articolo, due voci fondamentali della spesa pubblica italiana rimarranno stabili e quindi manchevoli. Fondo ordinario per scuola e sanità non saranno sostanzialmente modificati e si dovranno per ora accontentare degli investimenti una tantum contenuti nelle precedenti manovre straordinarie, in attesa del Recovery Fund o dell’attivazione del MES.
MES che è tornato in auge tramite il segretario del PD Zingaretti che minaccia una crisi politica dell’esecutivo in caso di mancato utilizzo delle linee di credito da 36 miliardi garantite dal meccanismo europeo di stabilità, recentemente modificato e ‘addolcito’ nelle prescrizioni di riforme che ne dovrebbero autorizzare il ricorso. Miliardi che da regolamento dovrebbero essere utilizzati unicamente per le dirette conseguenze medico-sanitarie della pandemia.
Questo certamente non entusiasmante resoconto serve a gettare luce su quello che pensiamo sia un’asse centrale della realtà sociale e politica che vivremo nei prossimi mesi: assenza di risorse in un quadro economico che per circa 20 milioni di italiani sta assumendo tratti sempre più tragici.
Dopo aver descritto l’assenza di risorse, si può descrivere il peggioramento delle condizioni materiali di vita di un terzo della popolazione tramite l’ultimo rapporto ISTAT sui dati occupazionali e reddituali.
Il tasso complessivo di disoccupazione è all’8.3% (più di 2 milioni di persone), un dato ridimensionato e ‘falsato’ dal fatto che 647 mila persone hanno completamente smesso di cercare un’occupazione. I dati sulle interruzioni di rapporti lavorativi conservano ovviamente delle forti differenze per quanto riguarda fasce d’età, genere e provenienza geografica, con giovani, donne e sud Italia che subiscono il maggiore impatto della contrazione economica. Il tutto tenendo in considerazione sullo sfondo il tanto vituperato blocco dei licenziamenti bandito dal governo durante la pandemia.
Questo panorama tragico viene mitigato dall’attesa messianica dell’ormai celebre Recovery Fund, circa 200 miliardi di euro elargiti dall’Europa sia a prestito che a fondo perduto che dovrebbero nelle promesse dell’esecutivo rilanciare scuola, sanità e occupazione.
Il Recovery fund vedrà la luce nella primavera del 2021 e sicuramente rappresenta una rottura rispetto alle politiche economiche UE del recente passato (si veda qui).
Tuttavia, andando oltre le vuote retoriche di Europa buona o cattiva e Stato affidabile o sprecone, è necessario evidenziare lo stretto connubio che si sta costruendo tra questi fondi ed i termini ‘occupazione’ e ‘investimenti’.
Confindustria, imprese infrastrutturali e rentiers vari italiani stanno compattamente portando avanti uno scontro per appropriarsi di tutto il pacchetto. “Dateci i soldi, facciamo gli investimenti, creiamo occupazione”, tradotto vorrebbero ancora una volta rilanciare i propri profitti scaricando sullo stato, o in questo caso sull’aiuto europeo, le proprie inefficienze e la progressiva incapacità di competere sullo scacchiere globale.
Il mantra è sempre lo stesso: aiutare le imprese a creare lavoro attraverso sgravi fiscali, aiuti incondizionati, flessibilità lavorativa, e progettazione di grandi opere inutili.
Questa dialettica tra Conte e Bonomi (Pres. Confindustria) sarà la tensione principale del capitalismo italiano nei prossimi mesi.
Da un lato vi è il governo PD-5S che si sta limitando a governare la povertà, in attesa di passare indenne le ennesime elezioni regionali e il referendum sul numero dei parlamentari, dall’altro c’è la consorteria dei 400.000 milionari che lavora incessantemente per garantire la riproduzione della propria ricchezza sulla nostra povertà.
Questo autunno deve sentire la nostra voce, gli amici sono più dei nemici.
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