Erdogan a Roma. Se la mano è sporca di sangue, le autorità italiane corrono a stringerla
La notizia era già stata comunicata qualche giorno fa, Recep Tayyip Erdogan il 5 febbraio arriverà a Roma per incontrare Papa Francesco.
La visita del presidente turco avrà luogo nel momento culminante dell’attacco militare contro Afrin, cantone della Siria del nord in cui è in atto da sette anni una “rivoluzione confederale” che ha come carburante l’autodeterminazione popolare, il protagonismo delle donne e l’impegno dei giovani, in maggioranza curdi, che vivono in quella zona. Altrettante caratteristiche insostenibili per il Sultano, che ha iniziato ad attaccare qualche settimana fa il cantone con bombardamenti e operazioni di terra nell’obiettivo dichiarato di occuparlo e portare avanti in questa zona frontaliera una pulizia etnica attraverso la sostituzione delle popolazioni curde con rifugiati siriani e turcomanni scappati dalla Siria in Turchia durante la guerra civile.
Una visita vergognosa che ha il solo obiettivo di rassicurare sulla rispettabilità democratica del presidente turco, visibilmente malconcia, anche agli occhi più ipocriti, dopo la repressione post-golpe.
Poteva l’Italia sottrarsi a questa operazione politica? Poteva, potrebbe se la priorità del nostro paese fosse, ad esempio, combattere lo Stato islamico in Medio oriente di cui la Turchia è il principale appoggio finanziario e logistico oppure favorire davvero progetti di autonomia democratica per le popolazioni mediorientali. Ma ovviamente, nonostante le roboanti dichiarazioni dei politici di ogni colore, le necessità sono altre. D’altronde l’Italia porta avanti una linea chiara da anni: in Medio oriente la democrazia si può solo esportare. È arrivato quindi oggi l’annuncio che, a dispetto di quanto inizialmente annunciato, durante il suo soggiorno Erdogan non incontrerà soltanto il pontefice ma anche le massime autorità del nostro paese, il presidente della repubblica Mattarella e il presidente del consiglio Paolo Gentiloni, facendo così dell’Italia il primo paese europeo a stringere la mano insanguinata di Erdogan dall’inizio dell’attacco su Afrin
D’altronde, il ruolo del nostro paese è noto da tempo, un predellino per levar dall’imbarazzo l’Unione europea e consentire di mettere un comodo piede nel consesso delle “nazioni civili” ai vari presidenti impegnati a reprimere le popolazioni che vivono sul proprio territorio. Un ruolo riempito in questi ultimi anni, con competenza e passione, per riprendere due feticci della campagna elettorale, dal Partito democratico. Nel 2014 Matteo Renzi era il primo tra i capi di stato europeo che ha osato rompere gli indugi e invitare con tutti gli onori Abdel Fattah al Sisi. Il generale, fresco di colpo di Stato, arrivò a Roma nel novembre di quell’anno accompagnato da uno stuolo di imprenditori egiziani impegnati a stringere accordi commerciali con i loro omologhi italiani. Una parabola che porta a Port Said, dove ieri Al Sisi era impegnato a tagliare il nastro al maxi-giacimento di gas Zohr alla presenza del di Claudio Descalzi: “Non dimenticherò mai la posizione dell’Italia che ci ha sostenuto tanto nonostante il caso Regeni” ha detto il generale.
L’Italia è il terzo partner commerciale turco, un legame rafforzato dalla Joint Economic and Trade Commission (JETCO), la conferenza economica italo-turca che si è svolta meno di un anno fa alla presenza del ministro per lo sviluppo economico Carlo Calenda. Gli interessi del grande capitale italiano spaziano dal mondo della finanza (una delle principali banche del paese, Yapikredi, è una partecipata Unicredit) al settore delle costruzioni (il terzo ponte sul Bosforo l’ha costruita l’azienda italiana, la Astaldi) senza contare il settore militare. È con gli elicotteri A-129 Agusta Mangusta prodotti su licenza Leonardo che l’esercito turco sta mitragliando in questi giorni Afrin e solo qualche giorno fa si è chiusa l’asta per una commessa da 500 milioni di dollari per nove aerei militari: tra le favorite di nuovo l’italiana Leonardo con i velivoli C-27J Spartan.
Nel silenzio assordante della società civile e della politica (ma d’altronde chi dovrebbe prendere parola? Luigi di Maio di ritorno dalla city di Londra per rassicurare i mercati? La sinistra PD capitanata da chi ha venduto Abdullah Ocalan alle autorità turche?) monta la mobilitazione dal basso contro la visita di Erdogan. Nonostante i 3’500 agenti schierati a difesa del presidente turco e i salamelecchi delle nostre autorità, il 5 febbraio c’è chi sfiderà il sultano…
(foto Rete Kurdistan Roma)
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