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Eurocrisi, eurobond, lotta sul debito: un contributo al dibattito

In quest’ottica, e a conclusione, solo alcuni spunti dentro un dibattito che è ancora agli inizi.

– Cruciale nel terreno di conflitto che si è aperto è la dinamica potenziale di separazione delle forme della riproduzione sociale dal ricatto finanziario (che in certa misura ha sussunto quello lavorativo). Questa dinamica può darsi nelle modalità più confuse, dove all’inizio probabilmente ci si porrà il problema di come non incrementare o diminuire il debito esistente piuttosto che rifiutarlo tout court, su un terreno “riformista dal basso” non a priori chiuso a un discorso di sacrifici. Il nodo conflittuale qui sarà: sacrifici per cosa e a spese di chi?

– Per questo la lotta al debito è immediatamente posta di fronte all’esigenza di farsi discorso costituente, di elaborare e saper proporre una prospettiva altra, sistemica, da contrapporre ai dettami della finanziarizzazione profondamente entrati dentro le vite di ciascuno. Come si può vivere senza un’economia del debito? Qui il keynesismo della old left in tutte le sue varianti è inservibile e dannoso non solo nel suo evocare soluzioni oggi impraticabili con soggetti scomparsi ma nell’ostinarsi a difendere la spesa statale come spesa “sociale” – quando i meccanismi della finanziarizzazione hanno abbondantemente rotto questo legame – e nel non voler mettere in discussione cosa significa “produrre” per la società e a spese di essa. Si tratta al contrario di spingere avanti gli spunti che guardano oltre una “crescita” capitalistica di cui sempre più verranno percepiti gli aspetti distruttivi. Non per arroccarsi su un programma di piccole opere o di politica industriale “green” che possono al limite essere dei momenti di passaggio, ma piuttosto in direzione di una contro-grande opera di de-accumulazione: forgiare forme di vita che per riprodursi non devono passare per il meccanismo del profitto e dell’accumulazione di capitale senza per questo perdere in innovazione e cooperazione sociale produttiva. Un bel problema…

– Ciò non si darà ovviamente a tavolino ma emergerà dalle pratiche sociali. La difficoltà estrema ma anche la grande scommessa è che tendenzialmente non è più possibile una lotta di difesa, ad esempio salariale, senza che ci si inizi a porre questi problemi sia per il merito che per la costruzione di alleanze sociali. Come difendi una fabbrica in via di chiusura, dentro una crisi generalizzata, senza pensare a forme di riappropriazione e “autogestione”, non di impresa ma immediatamente intrecciate con il tessuto sociale? Come difendi il posto di lavoro nel pubblico impiego, dentro un quadro di svendite e privatizzazioni, senza porre il problema di cosa è un “servizio pubblico”, scontrarti su questo con la governance amministrativa, iniziare a produrre con un’organizzazione diversa nuovi tipi di beni e farlo con i soggetti che finora ti sono stati contrapposti come “clienti” o “utenti”? Welfare e lavoro e loro difesa cambiano completamente così come ciò che si deve intendere per “sindacato”. Perchè sono cambiati radicalmente i soggetti sociali, le forme di organizzazione, i luoghi di discussione, e il rapporto con il potere…

 

23 settembre ‘11

 

Note:

(1) Vedi soprattutto gli interventi di Andrea Fumagalli, cui va il merito di aver sollevato la questione, e Guido Viale e, a livello di movimenti, il dibattito interno alla lotta NoTav dopo la giornata del tre luglio.

(2) Con una nuova iniezione di liquidità sui titoli statali ribattezzata Twist, anche se crescono i dissensi interni e per le borse l’entità dell’intervento pare insufficiente.

(3) Vedi la recente bordata del Wall Street Journal che ha messo in dubbio la capacità della banca d’investimenti francese Bnp di finanziarsi in dollari, causa l’esposizione ai titoli di stato europei a rischio, con conseguenti secche perdite in borsa. Questo episodio viene dopo la decisione della Federal Reserve di New York di aprire un’indagine sulla solvibilità delle filiali statunitensi delle banche europee. Intanto la direttrice del Fmi, conosciuta come l’”americana”, chiede insistentemente la loro ricapitalizzazione via Efsf o direttamente con l’intervento degli stati.

(4) La Stampa, 19 luglio 2011, p.3.

(5) Il Sole24ore, 12 agosto 2011.

(6) Loose lips sink the euro?, The Economist, edizione online, 16 settembre 2011.

(7) Vedi il discorso molto aggressivo nei confronti della Cina tenuto lo scorso agosto da Fred Bergsten, testa d’uovo del Peterson Institute, dal titolo The United States in the World Economy (disponibile in rete).

(8) A parte la Deutsche Bank che è però anche la più legata alla finanza statunitense nè pare essersi curata troppo delle ricadute disastrose per la tenuta europea di azioni come la vendita dei titoli di stato italiani. 

(9) Globalizzazione con una finanza regolata? Deglobalizzazione relativa con formazione di aree economiche continentali autocentrate? Multipolarismo economico con ridimensionamento degli Stati Uniti?

(10) Un quarto circa delle attuali riserve cinesi di valuta estera è in euro, principalmente in titoli di stato tedeschi, francesi e olandesi. Nel caso Pechino dovesse impegnarsi di più sul fronte europeo  non sarà comunque con un assegno in bianco.

(11) Mentre una parte, per ora minoritaria, punta più decisamente allo sfascio dell’euro a breve: vedi l’articolo di M. Margiocco, Greenspan voce di una certa America che sogna il naufragio dell’euro, Il Sole 24 Ore, 23 agosto 2011.

(12) Vedi le continue perorazioni dell’Economist per una unione fiscale: Fudge, the final frontier, edizione ondine, 10 settembre 2011.

(13) Un Tesoro Ue per salvarci, Il Sole 24 Ore, 18 settembre 2011.

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