Il capitalismo ci succhia le energie
Negli ultimi giorni sentiamo parlare molto delle conseguenze della guerra in Ucraina sull’approvvigionamento di combustibili fossili, in particolare sul gas, elemento al centro di molteplici strategie: di produzione, di alleanze geopolitiche, di politiche improntate alla “sostenibilità”.
Così mentre le proposte di transizione ecologica vanno letteralmente in fumo con la proposta di riaprire le centrali a carbone, il presidente del consiglio Mario Draghi, nelle dichiarazioni che accompagnano le linee della nuova strategia energetica, reputa che il problema consista nel non aver diversificato abbastanza in passato la lista dei fornitori di combustibili. Si conferma così il proposito di una politica ingorda e distruttiva, la cui preoccupazione non è relativa alle crisi ambientali e sociali del sistema di produzione che sostiene, bensì all’allargamento dei propri tentacoli nel bacino del mercato globale, tra alleanze – come quella con l’Azerbaijan – che conducono a compromessi incompatibili con una democrazia e forme sempre più spinte di neocolonialismo energetico nei territori africani (https://priceofoil.org/2022/03/03/fossil-fuel-financing-in-africa/?fbclid=IwAR3Aj8LeWhZSdP275zDGSJkR42qPocxiRFgcD80Yg9G8s_BX_JxvOKL5pRo).
L’aumento delle bollette e i bollettini di guerra solo “solo” sintomi inequivocabili dell’urgenza di costruire un approccio rivoluzionario per un’autogestione popolare delle risorse. Sapendo che le autocrazie e le multinazionali che vi speculano hanno un esercito di polizia, giuristi e politici a difesa dei loro guadagni, come dimostra l’operazione repressiva di stamattina ai danni del movimento No Tav (https://www.notav.info/top/ancora-repressione-del-dissenso-in-val-di-susa-2-arresti-e-11-misure-cautelari-contro-i-notav/).
Ne parliamo con Alessandra, di ECOR (Extractivism, Conflicts, Resistences) Network:
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Link al loro progetto:
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