Il movimento delle pobladoras Ukamau e la lotta per la casa in Cile. Intervista a Victoria Herrera
Nel 2011 il Movimento de Pobladores Ukamau costituisce un comité de vivienda nel quartiere semicentrale di Estaciòn Central nella regione metropolitana di Santiago del Cile. Intorno alla Casa Ukamau si riuniscono circa quattrocento venti famiglie. Un comitè de vivienda è un’assemblea di pobladores: famiglie senza casa o che vivono come allegadas a casa di parenti o amici. Come mi spiega Boris Cofrè, storico e membro della direzione politica di Ukamau e della fondazione Femàn che si occupa di ricerca su temi legati alla città neoliberale, «anche volendo affittare un appartamento, i prezzi a Santiago sono altissimi. Molte famiglie sono costrette a trasferirsi in accampamenti informali senza tutele e diritti riguardo alla terra. I pobladores sono soggetti marginali, espulsi dalle campagne verso la città: il segmento impoverito della classe lavoratrice».
Victoria Herrera è stata eletta nell’agosto scorso portavoce nazionale del movimento. È una pobladora. Ha iniziato a far parte degli Ukamau nel 2011 dopo che un’amica l’ha informata dell’esistenza del comité. A quell’epoca viveva con i genitori insieme ai suoi due figli. Aveva cercato un’alternativa ma si era resa conto delle difficoltà per ottenere un prestito dalle banche, cercare un appartamento a buon mercato, oppure accedere ai risicatissimi sussidi messi a disposizione dallo stato. Così, «per necessità», come ripete più volte, è entrata nel comité.
«A poco a poco, senza quasi volerlo – racconta con una punta d’ironia –, ho iniziato a politicizzarmi ed essere sempre più attiva nel movimento. Non me l’aspettavo. Io avevo un obiettivo: trovare una casa alla mia famiglia. Però se c’è qualcosa che ho imparato dopo tutti questi anni, è che non si può concepire uno spazio fisico, una casa, un habitat, senza considerarlo all’interno di qualcosa di più grande. La lotta di Ukamau va oltre la rivendicazione di una casa per chi non ce l’ha. Noi lottiamo per una vita degna, lottiamo per democratizzare la città o meglio per democratizzare tutti gli spazi, anche quelli istituzionali».
Quando ho iniziato a interessarmi al Movimento Ukamau mi sono reso conto con stupore che tutte le portavoce del movimento erano, e sono, donne. «Al momento – dice Herrera – circa il novanta per cento del movimento è formato da donne. Gli uomini hanno sempre avuti altri spazi di formazione e azione politica: il sindacato, il partito, il luogo di lavoro. Le pobladoras vivono la casa e il territorio, lo organizzano e lo amministrano; tengono i contatti con il quartiere, i legami con i vicini in maniera diversa rispetto agli uomini. Il lavoro che portiamo avanti, oltre alla partecipazione al processo costituente, è riuscire a politicizzare la comunità, ovvero trovare spazi dove discutere, crescere e generare un cambiamento. Lavoriamo qui, vendiamo la nostra forza lavoro però allo stesso tempo ci organizziamo, lottiamo insieme per costruire qualcosa di diverso».
Quando le chiedo se si siano mai creati dei conflitti di genere con i loro compagni a causa della militanza risponde di no, e che «fortunatamente sono disposti ad accompagnarci in questa lotta». Specialmente quando vedono che funziona.
Il 25 ottobre 2020 per il Cile è stato un giorno importante. A un anno dallo scoppio delle rivolte che hanno portato i militari nelle strade, manifestazioni di massa, omicidi e violenze di stato ormai documentate, una consultazione referendaria ha deciso a maggioranza assoluta l’inizio di un processo costituente volto alla creazione di una nuova “carta magna”. Chiedo a Herrera come può la lotta per la casa essere parte del processo di democratizzazione delle istituzioni.
«Da anni – dice – portiamo avanti una riflessione sulle mancanze del sistema neoliberale. Siamo convinti che come organizzazione non dobbiamo soltanto rimanere attivi sul territorio rispondendo a tali mancanze, ma anche portare nei palazzi del potere le nostre rivendicazioni. Gli spazi della politica istituzionale devono aprirsi a noi, cioè alla maggioranza della popolazione cilena. Parliamo di democratizzare perché non vogliamo che gli stessi dinosauri della politica che hanno mantenuto in vita questo sistema siano poi gli stessi che si mettono al tavolo a scrivere la nuova costituzione. Vogliamo che in questo processo ci sia lo spazio per coloro che arrivano da anni di lotte nei movimenti sociali. Perciò reclamiamo la presenza di nostri rappresentanti all’interno dell’Assemblea costituente, come la nostra ex-portavoce nazionale Doris Gonzalez. Ma come lei tante altre che si sono mobilitate in questi anni mettendo in luce le enormi disuguaglianze di questo paese. Questa poi è solo una parte di ciò che per noi significa democratizzare le istituzioni. Bisogna che si aprano spazi di discussione, vogliamo che il sistema ascolti e risponda alle istanze di ciascun territorio, vogliamo che si affermino con decisione alcuni diritti sociali prioritari come la casa, la salute, l’educazione, la previdenza».
“Le case non sono isole”, scrivono sul loro manifesto per il diritto alla città. «Non lottiamo solo per una casa, ma per il buen vivir», sottolinea Herrera più volte. Creare luoghi dove si parli e si discuta e si formino legami. Questa è l’immagine di una città e di una società più democratica a cui aspirano i pobladores Ukamau. Un’immagine che si oppone alle politiche urbane neoliberali sopravvissute alla dittatura. Di recente, il movimento ha ottenuto una grossa vittoria in questa direzione: il complesso residenziale della Maestranza 1, dove Ukamau ha terminato gli ultimi ritocchi e ha aperto le sue porte alle quattrocento venti famiglie del comitè dopo nove anni di lotte.
«Ce lo siamo conquistati questo barrio. Altri comitati aspettano anche vent’anni prima di vedere realizzati i progetti delle case popolari a cui aspirano. Costruire l’edificio era tanto importante quanto tessere legami tra le famiglie. Abbiamo organizzato assemblee, ma anche attività ludiche e sociali: gite estive, attività per las fiestas patrias [si svolgono intorno al 18 settembre e sono molto sentite dalla popolazione cilena, Ndr], partite di bingo, ne abbiamo fatte davvero di tutte e di più».
Diverso da analoghi progetti di edilizia popolare, il piano architettonico della Maestranza è stato messo a punto con la partecipazione delle famiglie Ukamau. Gli appartamenti sono ampi, come ampi sono gli spazi interni pensati per le occasioni di socialità collettiva. «Il disegno dell’opera si basa su un progetto postumo dell’architetto cileno Fernando Castillo – racconta Boris Cofre –. Lui lavorava negli anni Sessanta, prima della reazione neoliberale. Ora in termini architettonici a noi sembra di fare qualcosa di rivoluzionario, ma non è molto diverso da ciò che veniva realizzato per le classi medie sessant’anni fa».
Fiducia e senso di appartenenza a una comunità di vicini. Quando entrano in gioco i sentimenti, dice Victoria Herrera, si crea una comunità che si prende cura delle persone e dei luoghi in cui si abita insieme. Aumenta il controllo sociale e il mutuo aiuto tra le famiglie, agendo così anche su altri fenomeni presenti nei quartieri popolari di Santiago come la violenza, l’uso di droghe e la piccola criminalità. «Quando prendi parte alla costruzione della tua abitazione, trasformandoti in disegnatore e architetto del tuo stesso quartiere, si genera un sentimento di appartenenza insolito per chi semplicemente entra in una casa popolare. Il Barrio Maestranza lo abbiamo ottenuto insieme. Tutto questo è nostro, non è mio. Questo è il cambiamento per cui lottiamo».
Si svegliano all’alba le donne del movimento Ukamau per andare a bloccare le strade della capitale. Così danneggiano l’imprenditore che aspetta l’arrivo della manodopera e non il lavoratore o la lavoratrice che il pomeriggio tornano a casa a riposare. E poi dopo il blocco della strada bisogna comunque andare a lavorare. «Forse non si creava molta simpatia negli altri – dice Herrera –, in chi si spostava, ma quando ti accorgi che funziona, che si riesce ad aprire un tavolo con le istituzioni e che il problema era soltanto che a quelle stesse istituzioni non interessava in alcun modo comunicare con noi, allora ti rendi conto che d’accordo, i blocchi al mattino forse non erano il modo migliore, ma era l’unico modo per raggiungere i nostri obiettivi».
E ora che il Barrio Maestranza è stato costruito, che le famiglie sono entrate nelle loro case, quali sono i prossimi obiettivi del movimento? «Abbiamo diversi tavoli aperti con le istituzioni per altri progetti residenziali come la Maestranza 2, e altri nei quartieri di Penaflor e il Serrillo. Anche altri comitati ora vengono a chiederci consigli. Continueremo a lottare per estendere il modello della Maestranza, però intanto il movimento è cresciuto, tante persone si sono unite e ora il prossimo obiettivo è far entrare le nostre rappresentanti nelle istituzioni, perché da lì si possono cambiare davvero le cose. Non ci importa delle critiche di coloro che dicono “diventeranno come tutti gli altri politicanti”».
Al pari di altri servizi basici, anche l’acqua in Cile non è un bene a disposizione di tutti. In alcuni quartieri popolari della regione metropolitana di Santiago non c’è acqua corrente e in altre zone del paese la privatizzazione dell’acqua e il suo utilizzo da parte di compagnie minerarie come l’Anglo American, hanno prodotto vere e proprie siccità. Come sta succedendo nella zona di El Melòn, nella regione di Val Paraiso, dove Ukamau è presente per rivendicare il diritto all’ uso dell’acqua.
«Quando sono iniziate le proteste – dice Herrera – si parlava molto della violenza dei manifestanti. Ma la violenza che subisce la gente quotidianamente chi la considerava? Si parla spesso di un’oasi di progresso economico descrivendo il Cile, quando la realtà è che lo sviluppo della nostra capitale è talmente diseguale che le donne dei settori occidentali, quelli popolari, vivono in media diciotto anni in meno rispetto alle donne dei settori benestanti. I protagonisti delle proteste dell’ultimo anno sono stati cittadini e pobladores non politicizzati che provenivano spesso da quei quartieri. Questa è la grande novità. Per molti di loro il movimento ha assunto un significato importante, perché noi già lottavamo da anni per tutto questo, e senza dubbio continueremo a farlo». (giovanni d’ambrosio) da NapoliMonitor
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