La crisi turca dalla rivolta di Gezi ad oggi e l’accelerazione delle lotte
Il progetto neo-ottomano della Turchia è incappato in una grave crisi durante la resistenza di Gezi e affronta adesso un’altra crisi. Se Gezi è stato un profondo arresto cardiaco al cuore del neoliberalismo islamico (mai rimarginato sin da allora), le scorse settimane di crisi politica consumata nei corridoi delle élites sono state una concussione della sua mente politica. Ci ricordiamo quanto Gezi, con la forza di un enorme sciopero metropolitano nella città-industria, abbia colpito i padroni. La rivolta ha presto provocato una caduta del mercato finanziario, fatto scegliere altre mete ai turisti, mentre le multinazionali venivano boicottate e altre proteste venivano organizzate fuori dai negozi e dai café che si rifiutavano di aiutare i feriti durante la rivolta o in qualche modo si schieravano dalla parte della città dello sviluppo neoliberale invece che da quella delle lotte.
Quando, in solidarietà, in migliaia per due volte attraversavano il ponte dalla parte asiatica verso quella europea o quando le barricate bloccavano il traffico nel centro-città, ciò apportava ulteriori danni economici stimati in miliardi di dollari.
Gli episodi recenti hanno causato profonda instabilità, così come le precedenti ferite. La lira turca sta toccando i suoi record al ribasso nel confronto con dollaro ed euro, mentre l’indice di scambio continua a precipitare mentre gli stranieri cavalcano il debito turco. “C’è panico, non c’é liquidità”, dice via e-mail Arda Kocaman, il capo della tesoreria degli investimenti della Finanza a Istanbul. La crisi economica sembra celarsi dietro l’angolo e gli economisti hanno predetto una impennata della disoccupazione accompagnata a una bassa crescita economica. Di fatto, un 2014 in recessione non sembra poi così tanto improbabile. In ogni caso, la Turchia ha definitivamente raggiunto il livello di altre nazioni globalizzate nella crisi della governarce neoliberale.
Erdogan il Sultano e la sua corte da un lato e il Fethullah Gülen l’Imam e la sua comunità dall’altro, dapprima alleati e la chiave del successo dell’ AKP, si trovano ora in aperto conflitto. Erdogan, che è stato uno dei più importanti uomini del Medio-Oriente prima della rivolta di Gezi si incontra ora in quelle che forse sono le più grandi difficoltà di sempre dopo 11 anni di potere. Il vecchio conuige del Sultano sembra essersene andato e si trova nel mezzo di una crisi politica in cui pare confrontarsi con un manovratore gattopardiano che rimpasta il suo Gabinetto per trovare una via d’uscita: “tutto deve cambiare affinché nulla cambi”.
La comunità di Gülen, visto da tanti che come risposta al disegno di legge riguardante la chiusura dei pre-scuola e delle sale di lettura (una gran fonte di reddite per i Gülenisti),ha attaccato quegli affaristi e politici nella commistione tra pubblico e privato che han beneficiato del rinnovamento urbano targato AKP e i progetti di case popolari – progetti che sono stati segnati dalla rivolta di Gezi. In questo modo, la comunità di Gülen poneva sé stessa come la forza che portava avanti la richiesta di gustizia da parte della composizione al centro della resistenza di Gezi, sempre con un alone di anti-autoritarismo in linea con il criticismo di Gülen contro Erdogan durante la sollevazione.
La crisi politica dell’Imam e del Sultano potranno diventare la crisi dello Stato un domani, considerando che i due poli controllano settori diversi del potere giudiziario, della polizia, e altri organi statali che si muovono in differenti direzioni. Erdogan, mettendo mano di recente al potere giuridico e buttando fuori diversi capi di polizia, ha compiuto ovviamente azioni sviluppate per ottenere il controllo totale sui rispettivi corpi.
In più, il movimento sembra avere l’intelligenza di rifiutare la scelta delle due parti in questa crisi, cosa che si è avvertita il 27 dicembre con il banner del “Qué se Vayan Todos!” che raffigurava tutti i leader del partito (ad eccezione di quelli del BDP/HDP) più Fethullah Gülen. In questo modo, il movimento sta affrontando la problematica dello slogan, capace di mobilitare ma debole in sé, che chiedeva le dimissioni del Governo. Proteste anti-corruzione sono state messe in campo anche ad Ankara, Adana, Mersin, Edirne, Izmir, Antakya, Çanakkale, Kocaeli e Hatay; così si sta verificando movimento in tutto il Paese.
La presenza nelle strade e nelle piazze è anche un segno che lo scandalo non è solo un intrattenimento televisivo ma che c’è una volontà di tornare allo slogan di Gezi: “Questo è solo l’inizio”. Il 27 Dicembre è stato preceduto una settimana prima da una manifestazione a Kadiköy organizzata da assemblee pubbliche (i forum, alcuni dei quali producono ancora incontri e conflitto), dai gruppi contro le trasformazioni urbane neoliberali e per la difesa delle foreste a Nord di Istanbul. In migliaia sono scesi in strada per reclamare Istanbul, i suoi quartieri, spazi aperti e le foreste tramite adunate di solidarietà, assemblee, associazioni contro la messa all’asta degli spazi comuni per fare profitto tramite i piani di sviluppo e la mercificazione di qualsiasi cosa. I partiti politici a la vecchia sinistra hanno amplificato parecchio la chiamata dei movimenti sociali. I colori rosso,verde e giallo della manifestazione per la rivoluzione a Rojava, Kadiköy, il 24 Novembre erano presenti anche nella piazza del 22 Dicembre, a riprova che quella Kurda è la componente che persiste nel movimento. Sì, ci sono elementi di riferimento in meno che ispirano il vecchio regime;bensì l’agenda di movimento é fortunatamente non segnata dalle ulusalci (gli ultra-nazionalisti turchi) rosse e bianche.
Lo scenario sorprendente di Gezi quando abbiamo visto le bandiere di Öcalan e Atatürk sventolare nella stessa folla appare, in ogni caso, essere presente. La rottura tra Erdogan e Gülen è stata commentata in un notiziario Kurdo il 28 dicembre, due anni dopo il massacro: “vi conosciamo entrambi da Roboski” (il massacro sopra citato), lasciando poco altro da dire sulla presa di posizione kurda nella disputa tra Sultano ed Imam.
Lo scandalo-corruzione ha alimentato la manifestazione autorizzata del 22 dicembre che alla fine non ha permesso il check-point allestito dalla polizia attraverso il quale uno poteva passare (una volta essere stato segnalato) per arrivare alla piazza a Kadiköy; il check – point è stato aggirato e la polizia ricacciata fuori dalla zona dopo gi scontri (più scontri sono seguiti dopo nella stessa notte). Le vie e gli spazi attorno all’area designata sono stati dunque liberati a riprova che i movimenti sociali non sono solo oggetto della repressione poliziesca in un periodo di riflusso post-Gezi, bensì protagonisti di una continua pratica di ridefinizione degli spazi urbani.
Kadiköy è cambiata durante gli anni scorsi dall’essere un quartiere di famiglie e studenti per diventare la casa di una parte considerevole del proletariato cognitivo di Gezi respinta fuori dalla zona di Taksim dalle politiche del caro-affitti, della speculazione e della gentrificazione. Nessuna meraviglia che Kadiköy sia divenuta l’area del primo e sinora unico centro sociale occupato in Turchia, un posto di aggregazione che ha ispirato molte persone.
Chissà che l’esperienza di territorializzazione di Kadiköy possa ispirare il movimento che dopo Gezi sta cercando nuovi strumenti di lotta. Troppo spesso, ci sembra, la sinistra turca si è vista impantanata in paludi ideologiche con poco o nessuno sguardo sui territori e le sue risorse. Se lo scandalo-corruzione può essere usato come una opportunità per reclamare spazi e reddito aldilà dell’invocazione di misure giudiziarie (con dei toni moralisti qualche volta eccessivi), chissà che non possa aprire dei passaggi di ricomposizione. In ogni caso la risposta a questa crisi e quello che verrà è da ricercare nelle strade.
– il corrispondente di Infoaut a Istanbul
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