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La lotta delle operaie Vert Baudet a Lille.

II PARTE: INTERVISTA A SAMUEL MEEGENS SEGRETARIO COMUNICAZIONE UD CGT NORD

Quale è la tua prospettiva sull’evoluzione di questa lotta?

Dobbiamo partire dalla realtà storica. Sono più di trent’anni che il lato dei lavoratori perde in continuazione. La lotta di classe continua, noi la portiamo avanti. C’è una situazione oggettiva: il capitalismo è in crisi e tende a impoverire le persone, i lavoratori. Le persone non sono sempre politicizzate o disponibili a lottare. Il nostro ruolo come CGT è di dare degli strumenti ai lavoratori perché possano battersi e lo facciamo da più di cento anni. In questo periodo, rispetto alla riforma delle pensioni, abbiamo sentito un grande slancio di combattività della classe operaia, in maniera molto trasversale a tutte le categorie di lavoratori, compresi i quadri, sull’idea che lavorare è già difficile di per sé. È qualcosa che è molto poco detto a livello mediatico, ma il lavoro sia operaio che impiegato, persino dei quadri, è molto difficile da vivere. C’è una tipo di management che mette pressione alle persone e le persone lo accettano più o meno. Lo tollerano, tollerano il potere alle condizioni della controparte: la controparte è la società dei consumi, la possibilità di andare in vacanza, di vivere con un certo standard di vita che si è ereditato dagli anni del passato. Quindi c’è una difficoltà nel lavorare.

Al di là della riforma in sè, ciò che ha spinto a lottare contro la riforma sono anche le condizioni di lavoro e i salari, che con l’inflazione non consentono più di vivere. Questo è stato posto molto rapidamente di fronte al governo. Io penso che la Francia, insieme all’Italia, sia uno dei punti deboli del capitalismo europeo, e infatti sono i due stati che hanno avuto i partiti comunisti più forti. In Italia i capitalisti hanno fatto il loro lavoro, purtroppo, ma in Francia ancora no e stanno cercando di spezzare definitivamente la classe operaia, i suoi strumenti e specialmente la CGT. Questo spiega perché Macron abbia agito in maniera autoritaria, alla Thatcher o alla Pinochet. Il neofascismo è un opzione per la borghesia in questo momento. Io penso che stiano perseguendo questa opzione: non direttamente, ma stanno tracciando la via a un governo neofascista in Francia per sconfiggere definitivamente i lavoratori. Sulla questione della riforma delle pensioni sono bloccati. Noi, mettendo la questione delle pensioni in posizione subalterna a quella dei salari, continuiamo la lotta e siamo in sciopero.

Conoscevamo questa azienda (Vert Baudet) perché c’era una sezione CGT al suo interno e il 20 marzo è iniziata la lotta: è iniziata con un blocco, siamo venuti qui per fare un blocco impressionante, un po’ spettacolare. E quando abbiamo bloccato le salariate non aspettavano altro che questo, che una spinta per entrare in sciopero. E dopo 50 giorni continuiamo a tenere. Altri compagni dicevano che le persone non erano pronte a battersi e lottare; noi abbiamo dimostrato il contrario. Se si è determinati, organizzati, se si preparano le cose, le lavoratrici sono pronte a battersi già da sé, ed è stata questa la verità che hanno dimostrato le scioperanti di Vert Baudet, per la CGT.

Il movimento contro la riforma delle pensioni ha dato forza alla vostra vertenza?

Il movimento ha effettivamente creato un contesto favorevole alla pressione e alle rivendicazioni salariali. Ma questo non è accaduto naturalmente, ci è voluta una CGT specifica di una città qua vicino che si chiama Tourcoing, ci è voluta la determinazione e la volontà politica, per dirla con Gramsci, “pessimismo della ragione” (è difficile) e “ottimismo della volontà” (andiamo e vediamo!). A partire dal 20 marzo, con il blocco e lo sciopero abbiamo deciso di andare, di organizzarci: organizzare la comunicazione, lo sciopero, il picchetto stesso. Ci siamo incontrati con le scioperanti che in pochi giorni sono diventati delle e dei combattenti più determinati della nostra stessa organizzazione. Capisci? Penso che questa sia la cosa importante.

Da questo movimento può uscire un nuovo rapporto tra classe operaia e sindacati, stato e padronato? Una nuova possibilità di militanza e sciopero in futuro?

C’è una situazione oggettiva: in questo momento il capitalismo è in crisi, non ha nulla da offrire, il paese è in crisi politica totale, governato da gente che è totalmente delegittimata, visti come “mercanti di tappeti”, come dei ladri. Questa situazione oggettiva si è rovesciata sul movimento: la questione è se il movimento è spontaneo, soggettivo, un po’ qui un po’ là, o dipende dalla capacità politica di organizzarlo. E noi, la CGT del Nord, abbiamo la volontà di organizzare questa lotta. Può darsi che ora esageri un po’: nella nostra storia in Francia, nel 1936, c’è stata la più bella primavera del popolo francese, uno sciopero generale totale. Da lì sono state ottenuti i congedi pagati, oltre ad aumenti salariali, diritti sindacali e molte altre cose. Com’è cominciata? Con un movimento da una sola azienda, dove dei compagni CGT erano stati licenziati per aver partecipato alla manifestazione del 1 Maggio. E i compagni non hanno voluto i licenziamenti e hanno occupato la fabbrica e il movimento si è espanso a macchia d’olio. Quello che sta succedendo ora a Vert Baudet è potenzialmente una situazione simile: c’è una enorme solidarietà della gente che passa, per la cassa di sciopero etc. sicuramente è la CGT che organizza questa cosa. Ma sono le lavoratrici e le persone che passano che la rendono possibile, perché si riconoscono completamente in ciò che succede. Allo stesso modo c’è l’80 percento della popolazione francese che si riconosce in quello che sta accadendo. Macron ha smesso di parlare di riforma delle pensioni, ma noi non dimentichiamo, gliela faremo ritirare: ciò che è fatto può essere disfatto. Attaccheremo direttamente il padronato sui salari, è il padronato che finora si è nascosto sulla questione della riforme. È necessario attaccare il padronato tutti insieme per farlo capitombolare. È il lavoro che modestamente con la CGT Nord cerchiamo di fare e portare avanti.

Quali sono le difficoltà dal punto di vista organizzativo di questo momento politico e storico per l’organizzazione sindacale di lavoratori e lavoratrici?

In primo luogo c’è un fenomeno storico, che in Italia è andato ben più lontano e che conoscete bene: con le sconfitte degli ultimi 30 anni si è sviluppata una tentazione riformista. Il riformismo esiste in Francia e si chiama CFDT o FO. Sono là per concertare coi padroni. Noi abbiamo la responsabilità e il difficile compito di essere un sindacato di classe, di massa, di lotta: dalla nascita del sindacato c’è la politica che si chiama del “doppio compito”: uno – migliorare immediatamente le condizioni di vita dei lavoratori; due – il secondo obiettivo è trasformare la società. Quindi c’è una dimensione rivoluzionaria all’interno della CGT. Questa dimensione rivoluzionaria è meno presente in questo momento, perché come tutti i fenomeno politici in Europa, a livello di partiti comunisti o di sindacati c’è una forma di burocratizzazione, di riformismo, di tradimento se vogliamo. Dopo 30/40 anni abbiamo visto una specie di indietreggiamento ideologico. Oggi stiamo cercando di analizzarlo, combatterlo e di andare avanti. Questo è stato una delle questioni dell’ultimo congresso CGT a Clermont Ferrand. La volontà riformista della direzione uscente è stata battuta, non siamo riusciti a imporre il nostro candidato, Olivier Mateu, ma siamo arrivati a un compromesso, che significa STOP: la CGT non è la CFDT, la CGT è lo strumento della classe operaia dopo 120 anni e deve rimanerlo. Deve rimanere con la gente, con i lavoratori, con le persone in sciopero che sono coloro che devono determinare la direzione che il sindacato deve prendere. Io vedo in questo movimento che sono veramente gli scioperanti che decidono, da un lato, ma sulla direzione che viene data dagli scioperanti noi abbiamo una responsabilità: non siamo qui per transigere, per accordarci con i padroni o calmare le cose per qualche cosa da mangiare. Noi siamo democratici: quando uno parla, quando un delegato è dentro a negoziare con i padroni, non accetterà accordi senza il consenso degli scioperanti. È molto importante: noi vogliamo vincere, siamo arrabbiati. Tuttavia ora c’è un dibattito se sia opportuno accordarsi per vincere qualcosa: nel periodo che viviamo di contrattacco del capitale a livello nazionale, europeo, mondiale, qui e ora se possiamo dire stop, vediamo di vincere qualcosa; per le persone sarebbe una vittoria, magari piccola, ma per l’insieme della classe operaia sarebbe qualcosa di importante, che può richiamare altre vittorie perché è incoraggiante.

Quando qui è cominciato lo sciopero il 20 marzo avevamo una 20 di iscritti, sul picchetto di sciopero ne abbiamo fatti 50. Se l’interesse è di avere una grossa organizzazione, con molti iscritti, loro sono l’esempio di come si fa: sul picchetto di sciopero, nella lotta ecco 50 adesioni, voilà!

Questa tensione di vedere la lotta per il salario come strategia per continuare la lotta contro stato e padroni in questa fase è diffusa nel sindacato?

Ho partecipato al congresso confederale della CGT di inizio marzo. Ho posto la questione ai miei compagni, eravamo mille delegati, in questi termini: prima di pensare a come la cgt può organizzare la lotta, pensiamo a come la lotta può organizzare la CGT. È la lotta che deve organizzare la CGT, che può farci uscire dal riformismo e dallo spirito di sconfitta. Perché le cose siano chiare rispetto a Italia o altri paesi, in Francia il sindacalismo è un sindacalismo d’adesione. Essere alla CGT oggi è un pericolo: se te, lavoratore, dici di essere alla CGT oggi corri dei rischi. Non è una cosa che ti protegge immediatamente sul momento. Essere alla CGT in Francia significa dire al padrone, sono combattivo, voglio lottare contro di te.

Nel sindacato c’è stata un’aggregazione di lavoratrici e lavoratori come nuovi militanti?

A partire da questa impostazione che ti dicevo, aderire alla CGT significa essere nella lista nera, quindi significa diventare un militante. Perché se non vuoi problemi prendi altri sindacati e sei visto molto bene. se tu insisti e rimani alla CGT sei obbligato a diventare militante, questa è la situazione in Francia. È una sua specificità, della sua storia sociale dalla rivoluzione, che fa che se vuoi “fare carriera” alla CGT, essere responsabile, le prove non le fai in ufficio, le fai qui, nella lotta, non mostrando capacità di mediazione con i capi. Anche se è una tendenza che esiste, noi la combattiamo in maniera decisa.

Quale la tua opinione rispetto alle differenza tra la mobilitazione in provincia e la mobilitazione nella metropoli parigina?

È interessante, perché corrisponde a delle realtà geografiche. In Italia c’è la frattura nord-sud, per cui si parla quasi di due capitalismi. In Francia storicamente, dopo Luigi XIV e passando per Napoleone e De Gaulle fino alla forza rivoluzionaria che c’è nel paese, lo Stato si è formato in maniera molto centralizzata, in cui tutto succede a Parigi. In termini di potere economico politico e culturale ideologico, c’è una forma di unificazione del paese attorno a Parigi, e oggi nel quadro di un capitalismo e di una crisi profonda in cui la ricchezza si accumula nel polo centrale e la periferia lavora per questo polo centrale, parlo in termini economici, lo stesso succede a livello geografico. Io sono molto provinciale e orgoglioso di esserlo. L’evoluzione del capitalismo nel nostro Paese è completamente accentrato a Parigi, i media, la classe politica. C’è un proverbio che dice che c’è bisogno di uscire dal “peripherique”i per conoscere la realtà. Il movimento contro la riforma riguarda le città di medie dimensioni ma anche le aree rurali in maniera profonda. Perché la questione qui è sul servizio pubblico. Persino lo stato giacobino ragionava in termini di centralizzazione, per quanto avessero idee di uguaglianza e di servire il paese. Lo stesso con De Gaulle o con i comunisti, con la nazionalizzazione di molte imprese e servizi per cui la Francia è stato un paese in cui è sopravvissuta una forma di egalitarismo che ora è messa in discussione. Le elité che abitano a Parigi sono sconnesse dalla società, responsabili della distruzione dei servizi pubblici nelle campagne, nei quartieri popolari o nelle città piccole-medie.

C’è una coscienza nella società che lotta in provincia di questa differenza sostanziale?

Non siamo in una logica come in Italia in cui c’è una forte identità territoriale e provinciale. Qui non c’è questa logica, c’è una storia talmente forte per cui la Francia è UN paese. La questione va letta in termini di classe sociale, ricchi e poveri, che si traduce sul piano territoriale. Si traduce geograficamente. Questo non è un movimento “centripeto”, non è qualcosa come in Italia in cui c’è tanta consapevolezza della lingua, della provenienza etc., qui c’è una forte dimensione storica di unificazione nazionale.

Una cosa che in alcune letture di questo movimento viene detta è che c’è una parte della società che non sta partecipando (“sans papiers”, lavoratori informali, lavoratori di piattaforma etc.). Te cosa ne pensi, sia dal punto di vista dell’organizzazione sia dal punto di vista della società e di quello che pensano le persone?

È una questione vasta e interessante. Esco da una riunione della CGT UD NORD in cui si è deciso di proteggere dei lavoratori “sans papiers”, ufficialmente, per cui se tocchi uno di loro tocchi tutta l’organizzazione. Allo stesso tempo, alla Vert Baudet metà lavoratori sono interinali; di per sé tutte queste forme di lavoro informale rendono più fragile la nostra classe e la nostra lotta. Il capitalismo funziona ormai demansionando o fornendo piccoli compiti, quello che si chiama “uberizzazione” e questo rende il nostro lavoro più difficile, sicuramente. Noi da un secolo partiamo da una struttura organizzata a partire dalla classe operaia riunita insieme, nelle stesse aziende, negli stessi luoghi. Il che ci ha consentito di costruire il sindacato, ma ancora più una cultura operaia. Con la fine dell’URSS e del contromodello e con la riorganizzazione e ridivisione del lavoro a livello internazionale, la classe operaia si è ancora più frammentata e indebolita. La questione è complicata. Solo partendo dalla base, dai più sfruttati, possiamo costruire una CGT di lotta, di classe e di massa. E dobbiamo partire dalla nostra classe: interinali, “sans papiers”, stranieri, tutte linee di divisione della classe operaia. Questi lavoratori e soprattutto lavoratrici sono state la prima linea negli anni del Covid e non gli è stato riconosciuto. In questa lotta ci sono tutte le lotte: tutte queste lotte, antirazzista, anticoloniale e femminista devono ritrovarsi nella lotta di classe in maniera più chiara e connessa che in passato. Quando parlo della lotta contro il razzismo o il colonialismo, perché la Francia è un paese coloniale, mi riferisco a qualcosa che era considerato in più alla nostra lotta; invece è qualcosa al cuore della nostra lotta, non in più. Ci vuole la regolarizzazione dei sans papiers, ci vuole la lotta contro il fascismo che avanza, per i diritti femminili. C’è una tendenza all’interno della CGT che vuole limitare la nostra lotta: dicono “la società sta cambiando, oggi la lotta non è più lotta di classe”. Non è vero, è ancora una sola lotta, e non lo decidiamo noi, ma è il nemico che ce lo impone. La questione è l’individualismo che il sistema genera, ma l’individualismo non può funzionare, proprio a livello di società umana. Può funzionare per una cosa o un’altra, ma non nel fare società.

Noi come organizzazione vogliamo farci carico di questa logica: la CGT ha spesso espresso lotte anticoloniali, come con i portuali di Marsiglia che hanno fatto scioperi per bloccare i trasporti di armi in Algeria o Nigeria. Abbiamo dei compagni che sono morti rispetto a questioni internazionali. Purtroppo la nostra organizzazione è vecchia e c’è una forma di burocratizzazione, per cui c’è anche una difficoltà di percepire quello che succede nella società. Sul picchetto di sciopero ci sono passate persone e organizzazioni di tutte le origini, di ogni orientamento, femministe, autonome, anarchiche etc. Noi come CGT non dobbiamo ignorare tutte queste lotte, noi vogliamo che le lotte più specifiche si ricompongano in una lotta più generale, per mostrare che se vogliamo bloccare il sistema non si tratta solo di bruciare la spazzatura a Parigi, ma è necessario bloccare il capitale. Penso anche che molti giovani oggi si avvicinino alla coscienza politica con la giustizia climatica, che non penso sia veramente una priorità, ma ciononostante è una “scuola di politica”. Raggiungere le persone è problematico: ci sono i quartieri popolari, le banlieue, la repressione, che con i Gilets Jaunes era stata brutale. Non dobbiamo dimenticarlo. Ci vuole una forma permanente di comunicazione e propaganda in modo che tutte queste lotte raggiungano la lotta di classe.

Cosa pensi della decisione dell’intersindacale di fare la manifestazione il 6 giugno, nel quadro di lotte e di scioperi per il salario come questo che stanno continuando?

Ci sono due letture complementari: al congresso della CGT c’era una parte che voleva a tutti i costi fare assemblee con gli altri sindacati riformisti. L’unità ai vertici dell’organizzazione va bene se c’è l’unità alla base, ma se è solo in cima senza la base, non funziona, significa che nella CGT ha preso forza la linea riformista. Nell’intersindacale c’è questo aspetto: è preso in ostaggio dai riformisti che ci conducono a un impasse perdente. Si vede che Macron li usa come strumento per frenare la lotta per concertare un po’ qui e un po’ la. Allo stesso tempo, questa strategia consente ai sindacati riformisti di salvare il proprio onore senza scontrarsi con il governo. Questa è una prospettiva.

La seconda è chiedersi noi allora come facciamo? È così? Se è così mettiamoci il nostro peperoncino, vediamo e andiamo! Quello che è importante è continuare a fare crescere, per quanto difficile, il rapporto di forza, mantenendo la lotta di classe. Come a Vert Baudet ma anche altrove, ci sono scioperi che si moltiplicano, ci sono molte iniziative di “casserolades”ii, Macron non può uscire di casa senza essere contestato. Può darsi che al momento questo intersindacale non abbia più capacità di gestire il movimento, che l’ha superato. E quindi potrebbe essere il momento di far valere nell’intersindacale le posizioni della CGT. Ma per fare ciò è necessario far valere le posizioni della CGT all’interno della CGT stessa.

i Cintura stradale che circonda Parigi e segna il confine tra città e banlieue.

ii Manifestazioni caratterizzate dal fare chiasso con pentole e padelle. In molte occasioni la detenzione di oggetti da cucina di questo tipo è stata vietata dalle prefetture per “ragioni di sicurezza” sostenute da leggi antiterrorismo.

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