
La «seconda insurrezione» di piazza Tahrir
Le giovani braccia di una rivoluzione che si sente “tradita” e “minacciata” sono tornate a riempire la piazza della vittoriosa cacciata del raiss dello scorso febbraio. In Egitto, su 80 milioni censiti di abitanti, la maggioranza sono giovani sotto i 30 anni. E sono loro che tornano a protestare in queste ore per chiedere che il cambiamento sia reale, una convocazione effettiva di libere elezioni e la dipartita di una giunta militare che, come al tempo di Mubarak, continua atenere saldo nelle mani il potere politico della più popolosa nazione del Maghreb.
Dopo una notte di scontri tra manifestanti e polizia che ha causato due morti – il primo al Cairo, il secondo morto ad Alessandria – e 676 feriti alcuni dei quali in gravi condizioni, questa mattina presto centinaia di egiziani sono tornati in piazza Tahrir, al Cairo. E hanno ricominciato la protesta.
Gli agenti in tenuta anti-sommossa hanno lanciato gas lacrimogeni contro decine di persone che hanno eretto barricate nei pressi del ministero dell’Interno. Negli ospedali improvvisati nelle moschee presenti nei dintorni della piazza sono arrivati alcuni intossicati dai gas lacrimogeni o colpiti da proiettili di gomma. I dimostranti scandiscono slogan contro la giunta militare guidata dal generale Tantawi, chiedendo che lasci il potere.
Il Governo nel frattempo ha fatto un appello alla “ragione” con un comunicato diffuso nella notte alla tv pubblica per evitare che si ripetano fatti “pericolosi” e con “un impatto diretto sul cammino del Paese e della rivoluzione”. Ribadendo che “manifestare pacificamente è un diritto costituzionale inalienabile”, lamenta che “la piega che hanno preso gli avvenimenti rende necessario che da parte di tutti si mostrino ragionevolezza e responsabilità”.
Parole non molto dissimili da quelle che sentiamo periodiacamente anche nei ‘democratici’ paesi dell’Europa o degli Stati Uniti: le proteste vanno sembre bene purché non incidano materialmente o diano vita a processi reali di trasformazione. I ragazzi egiziani danno ad intendere che non ci stanno e che non hanno voglia di aspettare. Chissà che queste nuove sollevazioni aldilà del Mediterraneo – importantissime dopo il blocco imposto dalla guerra libica – non diano il via ad una nuova e più incisiva ondata di “indignazione” anche ai paesi della sponda nord, ancora troppo timidi nell’apprestare risposte all’altezza della espropriazione di diritti e ricchezze che stanno subendo…
da Repubblica.it, alcuni video sulle mobilitazioni di ieri :
TAHRIR 2 – SUEZ E ALESSANDRIA 3
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La cronaca della giornata di ieri nell’articolo di Paolo Gerbaudo uscito oggi per Il Manifesto:
In Egitto è di nuovo rivolta
Dopo la primavera della speranza ecco l’inverno della disillusione. Era da settimane che i giovani egiziani, reduci dalla rivoluzione del 25 gennaio, lo sussuravano nei cafè di Bursa, Kit-kat, e After 8, luoghi di ritrovo della Cairo giovane e progressista. «È l’ultima occasione per salvare la rivoluzione» dicevano, aggiugendo a bassa voce «serve una seconda insurrezione». I violenti scontri di ieri con le forze di sicurezza, che hanno lasciato sul terreno 500 feriti tra i manifestanti, di cui molti gravi, potrebbe essere l’inizio di una fase di scontro aperto contro la giunta militare succeduta a Mubarak, capace di mandare all’aria le contestate elezioni parlamentari previste per il 28 novembre.
L’accampata
Dopo la manifestazione di venerdì, una delle più grandi dai giorni della rivoluzione, che ha visto scendere in piazza circa 200.000 persone, ieri al Cairo centinaia di ragazzi hanno dato battaglia alle forze di sicurezza per tutta la giornata. Tutto è cominciato in mattinata quando gli agenti della Central Security Force (Csf) hanno circondato Tahrir prendendo di mira le famiglie dei martiri della rivoluzione che avevano improvvisato una piccola accampata. Gli agenti hanno caricato i manifestanti e arrestato una decina di persone. Appena la notizia si è diffusa attraverso messaggi di testo, facebook e twitter, in centinaia sono accorsi a dare rinforzo. Attorno alle due di pomeriggio i manifestanti sono riusciti a respingere la polizia e hanno preso d’assalto uno dei blindati Iveco in dotazione alle forze di sicurezza egiziane. Una decina di manifestanti sono saliti sul tetto del veicolo ad intonare cori contro il ministro dell’interno e contro la giunta militare presieduta dal feldmaresciallo Hussein Tantawi, mentre la piazza si riempiva di ragazzi con mascherine mediche, bottiglie di Pepsi e limoni per i gas lacrimogeni. Per tutto il pomeriggio in piazza a Tahrir e nelle vie circostanti è stata battaglia. I manifestanti hanno dato vita ad una fitta sassaiola contro gli agenti che hanno sparato centinaia di gas lacrimogeni e pallottole di gomma made in Usa, e cartucce da caccia di fabbricazione italiana (marca Fiocchi). Centinaia di feriti, di cui molti con ferite alla testa, sono stati portati a braccia fuori dalla zona, mentre a dare manforte in serata sono giunti gli ultras dello Zamalek e del Al-Ahly, già decisivi nella rivoluzione di otto mesi fa. «Abbiamo abbattuto un Mubarak, e adesso ne abbiamo 20» grida Mustafa, un giovane rivoluzionario con il volto inumidito dai gas.
E i militari?
12 mila persone sono ancora rinchiuse nelle carceri. Mentre nella notte continuano ad arrivare notizie preoccupanti di violenti scontri in centro città in molti i si chiedono quale sarà la reazione della giunta militare. Tra le opzioni potrebbe addirittura esserci un rinvio delle elezioni parlamentari, che in molti tra i giovani rivoluzionari considerano una farsa dato che i militari hanno intenzione di rimanere al governo almeno fino al 2013.
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