Le donne curde iraniane: “Aspettatevi la nostra rivoluzione”
Quando eravamo a Istanbul, i compagni della rivista Demokratik Modernité ci avevano avvertito: presto sentirete parlare delle compagne e dei compagni curdi iraniani tanto quanto oggi si parla del Rojava. Payman Viyan e Rozerin Kemanger sono i portavoce del Kjar (Congresso della società delle donne libere del Kurdistan orientale), e ci rechiamo a Suleimaniya per intervistarle. Qui, nel Kurdistan iracheno meridionale controllato dall’Upk, i movimenti della sinistra curda hanno una limitata agibilità. Il Kjar è un tentativo di riunire, in Iran e nel Kurdistan iraniano, tutte le donne decise a lottare contro “il razzismo, le discriminazioni di genere nelle diverse strutture sociali, il governo, il patriottismo e il nazionalismo, la religione, la scienza e la concezione patriarcale”. [Rojhelat.info]
Il Kjar agisce in tutto l’Iran, sebbene il suo centro di irradiazione sia il Rojhelat, “l’Oriente”, ossia quello che i curdi considerano l’est del Kurdistan, oggi compreso entro i confini iraniani (nel nord-ovest del paese). I curdi che vivono in Iran sono tra i cinque e i sei milioni; storicamente, sono gli unici ad aver proclamato (anche se per pochi mesi, prima di essere duramente repressi) uno stato indipendente, la Repubblica di Mahabad (1944). Le donne curde che animano questo congresso agiscono in sintonia con il Kodar (Congresso della libera società democratica del Rojhelat) e con il Pjak. Il Pjak è il Partito della vita libera in Kurdistan, creato nel Rohjelat nel 2004, di cui tanto Peyman quanto Rozerin fanno parte.
Dalla sua fondazione, come Kodar e Pjak, il Kjar fa parte dell’Unione delle comunità del Kurdistan (Kck) assieme al Pkk del Bakur-Basur e al Pyd del Rojava, e ai rispettivi congressi popolari Dtk e Tev-Dem, che hanno un corrispettivo curdo-iraniano nel Kodar. Il Kjar, come il Pjak, è dotato delle proprie forze armate e non partecipa al processo elettorale, considerando illegittimo il Consiglio dei guardiani della rivoluzione della Repubblica Islamica dell’Iran, che filtra l’ammissibilità delle liste elettorali. Assieme al Pjak, il Kjar è considerato organizzazione terroristica dall’Iran e da altri stati del medio oriente e del mondo. Ci sediamo con Peyman e Rozerin in un caffé e rivolgiamo loro alcune domande.
Potete dirci qualcosa su come è nato il vostro movimento, sul vostro progetto politico e le vostre idee?
Rozerin: Siamo due militanti del Kjar. Il primo congresso del Kjar si è tenuto nel 2014. Prima esisteva il Yjrk (Donne unite del Kurdistan orientale). La differenza è che, se il Kjar mantiene un particolare radicamento tra le donne curde, si rivolge a tutte le donne dell’Iran. In Iran vivono molte comunità linguistiche: azeri, curdi, arabi, persiani, turcomanni; dal momento che all’interno di tutte queste comunità le donne fanno fronte a gravi problemi, il Kjar intende dare voce alle donne di tutte queste comunità, a tutte le donne che vivono in Iran.
La politica del governo iraniano non è accettabile. Il personale politico delle attuali istituzioni è composto da esponenti di tutte le comunità, ma impone un potere oppressivo alla società iraniana. Le donne del Kjar hanno un diverso orientamento politico e sono una grande opportunità per il Kurdistan. In passato le donne curde iraniane erano focalizzate sostanzialmente sul Rojehlat, ma oggi sono attive in tutto il Kurdistan. Come donne curde abbiamo un grande potenziale in Iran, ma il regime non ci permette di avere accesso alla vita pubblica. Il coordinamento del Kjar è composto da nove donne. Non sono soltanto le donne del Pjak che animano il Kjar, anche altre; anche quelle vicine a movimenti curdi come il Pdk-Iran e Komal possono partecipare se lo desiderano. La nostra base è Qandil [area montuosa dell’Iraq orientale, al confine con l’Iran, Ndr], ma la nostra azione si dispiega su tutto il Rojhelat e su tutto l’Iran.
Come vivete lo scontro con il regime iraniano?
R: La maggior parte delle donne iraniane accettano la politica del regime, ma è perché non hanno alternative. Per questo molte donne giungono al suicidio, anche pubblico, dandosi fuoco. Il Kjar intende offrire un’alternativa alle donne iraniane. Siamo dotate delle nostre forze armate, le Hpj, che contano migliaia di combattenti sulle montagne; esistono diverse commissioni del congresso, ad esempio per le giovani, per gli aspetti medici, per quelli diplomatici e per le relazioni esterne. Abbiamo anche il settore sociale, che si chiama “Salva te stessa”. Il Kjar si rapporta con il Kodar (Congresso della libera società democratica del Rohjelat), anche se il Kodar è composto da donne e uomini, il Kjar soltanto femminile. Ciò che ci avvicina al Kodar è la comune ideologia, ossia il pensiero di Abdullah Ocalan.
Le combattenti del Kjar sono un esempio per tutto il mondo. Ciononostante, subiamo una dura repressione da parte del governo iraniano. Diversi compagni e compagne del Pjak e del Kjar hanno subito la pena capitale, di recente, in Iran: ad esempio Shirin Alamhvli, Ferzad Kaman, Ferhad Vakili, Ali Heyder. Sono stati uccisi nonostante non facessero parte della nostra ala armata, ma fossero semplicemente militanti politici. Le loro esecuzioni sono avvenute nel 2010.
La compagna Zeyneb Celaliyan è in prigione dal 2008 e ha gravi problemi di salute, ma il governo non accetta di permettere che possa avere le cure di cui ha bisogno. Zeybeb è accusata di essere parte del Pjak, ma noi non lo accettiamo, Zeybeb è una donna impegnata nella politica, non una guerrigliera. Esiste una campagna estesa a tutto il mondo, portata avanti anche in Europa e negli Stati Uniti per la sua liberazione, anche con raccolte di migliaia di firme, ma il governo ha al contrario inasprito le sue condizioni di detenzione. Zeyneb è un grande esempio per tutte le donne, per la libertà. La capacità di resistenza che sta dimostrando è enorme. Inutili sono stati i tentativi del governo di ottenere da lei una dissociazione dal nostro movimento.
I nostri combattimenti con l’esercito iraniano sono frequenti. Zilan Pepula è stata la prima martire del nostro movimento femminile quando, nel 2006, si chiamava ancora Yjrk. L’idea che ci anima è continuare sempre, tutti i giorni, non fermarsi mai; ma dobbiamo dire che il governo ha la stessa tenacia.
Quali sono i principali problemi delle donne iraniane?
R: Il governo non vuole che le donne siano attive; le vuole a casa, lontane da ogni attività sociale o politica: è un’ideologia pensata per gli uomini; l’identità islamica viene usata per gli uomini contro le donne. Nelle famiglie iraniane, attualmente, le donne possono lavorare soltanto con il permesso del marito.
Ci sono diversi casi di cronaca che mostrano quale sia la situazione che viviamo. Una donna, Rihani Jabari, è stata condannata a morte e uccisa per essersi difesa dall’aggressione di un uomo, che è culminata con la morte dell’aggressore. E’ successo a Mahabad. Farinaz Kosteiani è stata aggredita da un albergatore che ha tentato di stuprarla, e per sfuggirgli si è gettata dal quarto piano, uccidendosi. L’aggressore non è mai stato processato e il governo ha detto che il problema era della donna.
Su un piano diverso e meno cruento, sono note anche limitazioni per quanto riguarda l’abbigliamento.
R: In Iran non potremmo mai vestirci normalmente, come facciamo qui, nel Kurdistan iracheno. Dobbiamo uscire sempre velate, soltanto il volto può restare scoperto.
Mettete in piedi anche dei progetti per l’indipendenza economica delle donne?
R: C’è un progetto importante su questo, ed è legato al settore sociale del Kjar, cui abbiamo accennato.
Quali altre attività organizzate?
R: Alle donne è proibito cantare in Iran; questo non è accettabile, quindi organizziamo anche attività culturali. Le donne curde non possono parlare la loro lingua, quindi organizziamo attività linguistiche. Le donne hanno un diritto naturale a esercitare un ruolo importante nella vita sociale, ma il governo reprime ed elimina questo diritto.
Un altro nostro importante sforzo riguarda la lotta nel resto del Kurdistan. Le donne di Kobane e del Rojava sono un grande esempio per noi, per questo molte donne curde d’Iran, ed anche molte persone, davvero tante, da tutto l’Iran sono andate a combattere in Rojava. La ragione è che crediamo nelle istituzioni che il Rojava sta costruendo e ci riconosciamo, come detto, nel pensiero di Apo [Abdullah Ocalan, Ndr].
Abbiamo avuto molte martiri in Rojava: Amir Karimi, Ilam Kehor, Dicle Selmas, Rojan Urumije, Uiyar Maku solo per citarne alcune. Uiyar Maku era anche una cantante molto nota in Iran, potete cercare le sue canzoni su youtube.
Quando avete avuto gli ultimi combattimenti significativi con l’esercito iraniano?
R: Nel 2011 l’Iran ha bombardato il monte Qandil in Iraq, tentando di indebolirci, e ci sono state anche incursioni di terra, ma la battaglia è stata a noi favorevole. Ci sono stati scontri armati e bombardamenti anche entro i confini iraniani. Da quella volta l’Iran ha valutato diversamente la forza della nostra organizzazione e non ci sono stati più attacchi, ma siamo pronte a difenderci se sarà necessario.
Un articolo su Wikipedia dice che un rappresentante del Pjak è volato a Washington, alcuni anni fa, per carcare l’appoggio degli Stati Uniti. E’ vero?
E’ un’assoluta falsità. Noi siamo indipendenti e non abbiamo relazioni con nessun governo, compreso quello degli Stati Uniti. Combattiamo contro il governo iraniano, ecco tutto. Nessuno del Pjak è mai andato a Washington. Wiki dice che il Pjak è un piccolo gruppo, ma come può un piccolo gruppo combattere l’Iran? La pagina è palesemente stata creata dal governo. L’Iran ha paura di noi, per questo usa questa propaganda; è tipico delle dittature mentire per screditare il proprio avversario.
In questo momento il medio oriente vede la presenza più o meno massiccia di truppe europee, statunitensi, russe. Qual è il vostro giudizio su questo tipo di presenza?
Peyman: I curdi esercitano un ruolo importante nel medio oriente, quindi tante potenze straniere vengono qui, ma soltanto per i loro interessi. L’esempio più evidente del genere di ruolo che queste forze hanno in questa regione sono stati gli accordi di Sykes-Pikot dopo la prima guerra mondiale, che hanno ridisegnato stati e confini secondo l’agenda europea. Nulla di buono può venire dalla presenza o dall’azione di queste forze.
Adesso gli Stati Uniti sono spaventati dall’evoluzione del fenomeno Daesh, soltanto per questo svolgono un’azione aerea, ma sono i curdi che combattono sul terreno. Se davvero avessero a cuore il destino dei popoli, oggi dovrebbero intervenire per fermare il massacro in Bakur, cosa che non avviene; eppure, se c’è un attentato ad Ankara, tutti si preoccupano e tirano fuori il problema del «terrorismo».
Noi chiediamo: che cos’è ciò che sta facendo il governo turco in Bakur, se non terrorismo? Per le forze speciali anche il feto nel grembo di una donna incinta è terrorista, perché curdo. Se esiste una forza reale, oggi, in medio oriente, ed è la gente che combatte e lotta nelle quattro parti in cui il Kurdistan è diviso. Questa è forza.
Ora, improvvisamente, Stati Uniti e Iran sono diventati amici, ma tutto questo non riguarda le popolazioni dei due paesi: i rispettivi governi se ne fregano delle popolazioni. Ciò che esprime forza reale in questo momento sono le donne e gli uomini che combattono Daesh in Kurdistan. Nessun reale aiuto può venire dalle forze straniere. La gente in Iran soffre. Nel frattempo, in Bakur e Rojava c’è la guerra. Il governo iraniano ha molta paura che ciò possa accadere anche nel Rojhelat.
Che cosa pensate dell’idea proposta da Ocalan, di istituire una forma di convivenza basata sul «confederalismo democratico»?
P: E’ ciò che stiamo facendo in Rojehlat, è ciò per cui esistiamo politicamente. Stiamo costruendo il confederalismo democratico e l’autonomia democratica nel Kurdistan iraniano, attraverso il congresso generale e quello delle donne. Progettiamo scuole in lingua curda o nelle lingue native di altre popolazioni iraniane, esattamente come accade in Bakur e Rojava. E’ un inizio, un progetto, e la repressione è forte: ma noi cominciamo questo processo.
Credete che ci sarà una rivoluzione in Iran?
Rozerin: Certo! Questo è sicuro. Bisogna solo vedere quando. Il governo ha molta paura di ciò che può accadere in Rojhelat. Stiamo solo aspettando… ma voi aspettatevi la nostra rivoluzione.
Siete molto determinate. Non credete che lo stato iraniano sia troppo forte per permettere una cosa del genere?
R: Non potete neanche immaginare che cosa il Rojava ha messo in moto nel Rojhelat…
Nel corso di questo viaggio abbiamo incontrato anche donne palestinesi, a loro volta impegnate in una dura lotta di liberazione. Volete mandare loro un messaggio da donne curde iraniane che combattono per la libertà?
Peyman: Lottiamo per la libertà di tutte le donne e di tutti i popoli, le donne palestinesi lottano per la loro libertà, sono combattenti e sono martiri. Combattono per aumentare il proprio potenziale, la propria libertà e il proprio potere. La loro è una lotta vittoriosa. Hanno diritto a vivere una vita libera, e in ogni caso noi crediamo nel potere popolare, e la lotta che hanno costruito negli anni Cinquanta e Sessanta in Palestina è un’eredità importante per tutti da questo punto di vista.
Quando diciamo questo non intendiamo rigettare Israele, ma Israele deve dare al popolo palestinese il potere che gli spetta. Non sentiamo ostilità nè per la popolazione palestinese, nè per quella israeliana. Tutte le persone e tutte le idee possono trovare un luogo dove vivere. Sono i governi che sbagliano, non i popoli. Ci auguriamo che queste persone possano trovare la pace.
Per concludere, potete dirci come siete arrivate a questa scelta rivoluzionaria, che cosa vi ha spinto ad abbracciare un sentiero così bello ma pericoloso?
Peyman: Da adolescente vivevo in Rojhelat e vedevo ogni giorno qual era la violenza che il governo iraniano imponeva alle donne. Quando ho letto i libri di Apo e ho conosciuto le idee della guerriglia, ho deciso di andare a combattere in montagna anch’io. Avevo 17 anni. Adesso sono undici anni che svolgo la mia attività politica per quest’organizzazione in Iraq.
Rozerin: Per me un fattore scatenante sono state le notizie riguardanti le esecuzioni capitali. Ogni volta che vengo a sapere che qualcuno è condannato a morte, ne soffro. Quando sono venuta a conoscenza delle idee di Abdullah Ocalan, all’università, ovviamente per vie nascoste, ho pensato di avere un grande potenziale, di avere in me una grande forza per combattere le dittature, e che per me sarebbe stata una grande opportunità iniziare a combattere, e adesso non smetterò mai: combatterò per sempre.
Dai corrispondenti di Infoaut e Radio Onda d’Urto a Suleimaniya, Iraq
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