L’ennesima manifestazione dell’ingerenza saudita negli affari libanesi, fattasi sempre più stringente dopo la discesa in campo delle truppe di Hezbollah a fianco dell’esercito di Assad. L’obiettivo non troppo velato del regime wahhabita è infatti quello riuscire a creare attraverso la formazione di un governo di propria scelta le condizioni politiche tali da poter spingere le truppe del Partito di Dio a ritirarsi dal campo di battaglia siriano.
Già nel marzo scorso un tentativo in tal senso era stato fatto promuovendo la nomina di Talal Salman a primo ministro in sostituzione del dimissionario Najib Miqati. In autunno, indiscrezioni davano la garanzia del controllo sul Libano come conditio sine qua non pretesa dall’Arabia Saudita per la sua partecipazione ai colloqui di Ginevra II.
Le pressioni saudite non sono per adesso riuscite a mutare in maniera significativa i rapporti di forza tra gli schieramenti dell’8 e del 14 Marzo, le cui divergenze sulla legge elettorale e sui termini intorno a cui costruire il nuovo governo per condurre il Libano alle elezioni presidenziali e la cui infinita lotta per il potere, hanno gettato il Paese in un impasse istituzionale dal quale non sembra esserci via d’uscita.
Da un lato un 14 Marzo intenzionato a prendere il controllo del Paese puntando soprattutto sulla delegittimazione di Hezbollah, dall’altro un 8 Marzo intenzionato a non cedere sulla formula “popolo-esercito-resistenza” intorno alla quale ha costruito la propria legittimazione. Al centro Jumblatt e il suo Partito Socialista Progressista, che dopo un ennesimo riavvicinamento al 14 Marzo in primavera giocando un ruolo di primo piano nella scelta di Salman, ha fatto un passo indietro per le recrudescenze confessionali che stanno animando il conflitto siriano, potenzialmente pericolose per la comunità drusa di cui è storico leader di riferimento.
L’ingente donazione dell’Arabia Saudita potrebbe tuttavia avere un peso diverso. La necessità di formare un governo entro il termine stabilito del 25 marzo per evitare lo spauracchio del rinvio delle elezioni e l’oggettivo bisogno di liquidità delle forze armate messe sempre più alla prova dai riflussi del conflitto siriano, dalle pressioni islamiste e dalle nuove tensioni al confine con Israele potrebbero infatti verosimilmente tentare il Presidente Sulaiman ad accettare la soluzione del governo tecnico promossa da mesi dalla coalizione guidata da Hariri, alleato di ferro di re Abdallah.
Una soluzione che se da un lato porrebbe fine all’impasse, dall’altro farebbe uscire il Libano da quella neutralità formale rispetto al conflitto siriano grazie alla quale è finora riuscita ad evitare il collasso. Un rischio che in questa fase non può permettersi di correre.
Di Rossana Tufaro per Nena News