
Libia. Verso un’altra guerra «umanitaria»

Siamo ai prodromi di un’altra guerra umanitaria. Che andrebbe  ad aggiungersi a quella già sul campo. Stavolta in Libia. La Nato  dichiara che «non è all’ordine del giorno, per ora», l’Unione europea  che «nemmeno ci pensa», il ministro della difesa italiano La Russa che  «non è nei nostri pensieri, però…». Ma ci stanno pensando, ci  ragionano, e soprattutto si attivano forze e strumenti istituzionali di  copertura. Sanzioni, no fly zone.
Diciamo questo perché, ben  aldilà del disfacimento evidente del regime di Gheddafi, delle sue  drammatiche responsabilità e del suo delirio, emerge la disinformazione.  Si rende cioè evidente un significativo livello di menzogne da parte  dei media ancora una volta embedded: fosse comuni che appaiono,  quando in realtà sono fosse individuali; un salto improbabile in 12 ore  dalle mille alle diecimila vittime, secondo l’americanissima televisione  Al Arabya; flash di foto di corpi senza vita; l’invenzione di un  inesistente membro libico della Corte penale internazionale  rigorosamente antiregime che moltiplica per 50mila il numero delle  vittime e dei feriti. 
Quasi un déjà vu balcanico: per il  Kosovo, quando ci fu poi la verifica sul campo dei medici legali del  Tribunale dell’Aja risultò falso il numero delle vittime e inventata la  strage di Racak. Ma fu ben utile, nell’immediato, per 78 giorni di  bombardamenti aerei della Nato che provocarono 3.500 vittime civili.  Volute, non «effetti collaterali», denunciò un’inchiesta di Amnesty  International. Dimenticate, anzi cancellate da ogni memoria. Giacché la  guerra doveva essere «umanitaria». E a quell’enfasi di menzogne  partecipò un’intera schiera di media.
Ci stanno pensando alla  «missione». Gridando al cielo che «no, è infame bombardare i civili», si  sdegnano le cancellerie occidentali. Dimenticando il massacro dei  civili e degli insorti se sono iracheni o afghani. Già l’amministrazione  Usa parla di una delega all’Italia e alla Francia, paesi ex coloniali  che dovrebbero guidare l’eventuale «missione». Del resto lo strumento  militare operativo di Africom della Nato è già pronto, come da  mandato, per l’intervento proprio in quell’area. E tutti sono avvertiti  della presenza sul campo non di Al Qaeda che soffia sul fuoco, ma di un  integralismo islamico reale e storico in Cirenaica. 
Eppure non sanno  ancora come motivarlo l’intervento. Se avessero a cuore davvero la  vicenda umanitaria, non avrebbero dovuto sottoscrivere accordi di  compravendita di armi con il Colonnello. E se l’Italia è davvero attenta  all’umanità non avrebbe dovuto ratificare in modo bipartisan un  Trattato che, pur riconoscendo finalmente le nostre malefatte coloniali,  ha chiesto a Gheddafi di istituire campi di concentramento per fermare  la fuga dei migranti disperati dalla grande miseria dell’Africa  dell’interno e del Maghreb.
Non lo dicono, né lo diranno mai. Ma come  per l’enfasi e la falsificazione sul numero delle vittime, c’è  l’esagerazione interessata sui «milioni di profughi» dalla Libia e dalla  Tunisia, «250mila» ha detto il gommoso Frattini, senza alcuna vergogna.
Non  lo dicono, ma sono terrorizzati davvero per il pericolo che corrono gli  approvvigionamenti di petrolio e metano. Per i nostri consumi, il  nostro intoccabile modello di vita.
Per questo alla fine  interverranno. Non per un ruolo umanitario da subito degli organismi  delle Nazioni unite, non per un corridoio umanitario che porti soccorso a  chiunque, insisto chiunque, soffra – giacché la crisi libica si  rappresenta più come guerra civile che come rivolta secondo il modello  di Tunisi e del Cairo. Interverranno perché, qualsiasi sia il potere che  arriverà dopo Gheddafi, svolga per noi la stessa funzione del  Colonnello: elargire petrolio per i consumi dell’Occidente e impedire  l’arrivo dei disperati relegandoli in un nuovo sistema  concentrazionario.
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