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Lo scenario libico

Si è cercato di capire quel che succede all’interno della Jamahyria e poche cose sono venute fuori, cose poco significative. Oggi si scoprono, e tutte di un colpo, una marea di “verità”, per il momento raccontate ma considerando quel che sta accadendo non ho motivo di dubitarne.

La prima è che il dittatore ha soffocato il dissenso interno con il sangue per decenni ed intrapreso un’azione persecutoria e repressiva che ha visto il mondo intero come il suo teatro esecutorio.

La seconda è che il denaro dei libici finiva in banche ed investimenti in compagnie stranieri e non in favore del popolo quanto negli interessi suoi e dei suoi vicini, familiari e non.

La terza è che l’esercito libico era ridotto al ridicolo perche il re dei re non si fidava di quest’istituzione. Comitati popolari e la guardia repubblicana si accaparravano il grosso dei finanziamenti, armamenti ed addestramento e finivano per sostituirsi all’esercito.

Che tutta la zona est del paese era discriminata e maltrattata per presunte affiliazioni ad un presunto islamismo radicale ed altro, quando il problema vero consisteva in una discriminazione da parte del regime basata sulle affiliazioni tribali…..

Tanto si è trapelato che l’elenco rischia d’essere persino noioso.

Ma l’ultima merita un’azione particolare, l’arretratezza dei servizi forniti al popolo, dalla scuola ai servizi sanitari. Ciò sembra veramente strano considerando che, per esempio, i medici libici che esercitano negli USA, in Inghilterra ed in Canada sono tra i migliori in assoluto. Le condizioni della Libia sono molto peggiori di quanto si pensasse. È chiaro che sono sempre migliori, come scrive Sergio Cararo, da tante altre realtà arabe ma sono comunque insufficienti. Sappiamo da molto tempo tempo che le libertà sono abolite in tutta la Libia tranne quelle che avvengono ed escono dalla tenda verde.

Quindi, a quanto risulta ci sono tutti gli ingredienti per desiderare il cambiamento e dopo le rivolte della Tunisia e dell’Egitto molto sta cambiando in tutto il mondo arabo, compreso la Libia. L’elemento basilare è la rottura del muro della paura. Questo sentimento è condiviso ormai da tutti ed ovunque.

Fatta questa premessa, non capisco perché dobbiamo mettere in dubbio l’autenticità delle azioni, delle capacità e delle potenzialità delle popolazioni arabe. Il nostro atteggiamento paternalistico muove da un’ottica interpretativa euro centrista.

Maurizio Molinari sostiene… intanto personalmente non trovo il Molinari cosi addentro alle faccende USA ma penso che attinge alle sue informazioni come facciamo tutti noi, leggendo i dispacci della stampa e su internet. A differenza di noi, però, il Molinari è fedele ad una corrente di interpretazione che non abbiamo trovato difficoltà nel passato a rigettare. È difficile, nel mio caso è impossibile, condividere o accettare le sue conclusioni perché partono da presupposti sbagliati. Rimane sempre in piede il pericolo paventato, ovvero quel tentativo statunitense di scansare l’imperialismo europeo dalla scena libica e rimpiazzare con il proprio. Sono sempre lotte all’interno delle forze capitalistiche che qalcuno preferisce chiamare concorrenza e di cui mi interessa poco se non l’aspetto di conoscere e meglio contrastare l’estensione dell’egemonia e controllo di tale forze sulla nostra, come popoli, vita quotidiana.

Non condivido affatto l’interpretazione seconda la quale in Libia è in corso una guerra civile. Colgo anche’io le differenze tra gli avvenimenti tunisini ed egiziani, ma credo che ciò, almeno per quanto riguarda la cruenza, è legato alla natura sanguinaria del regime stesso, alla megalomania del leader libico e all’arretratezza di coloro che lo circondano.

Quando un popolo si solleva in un ribellione di massa è difficile parlare di guerra civile. In Libia il popolo non si è diviso in etnie o tribù che si combattono tra di loro. Il ricorso a dei mercenari n’è la prova. In Libia 10 o 15 mila assassini tengono in scacco mortale tutta la popolazione. Sono i fedelissimi del rais e i suoi mercenari che cercano disperatamente di garantire per lo meno un’uscita di scena onorata del capo e di garantire i privilegi dei suoi seguaggi. Disperata perché alla luce di quanto è successo, i crimini, gli insulti ed il terrore, è molto difficile la riconciliazione e l’affrancamento del leader con il suo popolo. il dato aggravante (ci sono stati i morti e i feriti anche in Tunisia e in Egitto, in Bahrien e nello Yemen) consiste nel fatto che questo bagno di sangue arriva proprio dopo i due avvenimenti precedenti e dimostra che Gheddafi non ha imparato ne voluto imparare dalle altre esperienze che solcano il mondo arabo a dimostrazione del grande disprezzo col quale egli guarda e tratta il suo popolo.

In Libia è in corso una rivolta popolare e di massa decisa a rovesciare il disputa ed il suo apparato, il resto sono sforzi interpretativi che rischiano di offuscare la nostra visione e cognizione.

Credo che molti compagni e compagne dovrebbero guardare con maggiore ottimismo alle rivolte arabe e penso che abbiamo molto da imparare da loro, come per esempio il superamento delle differenze, unendoci per il raggiungimento di un obiettivo condiviso e lasciare il discorso dell’autoreferenzialità e auto-glorificazione che ci sta paralizzando e ci inchioda in uno stesso punto per lungo, lunghissimo tempo.

26 feb. ‘011

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