Nelle mani delle masse
E’ da molto tempo, troppo direi, che aspetto – e con me milioni di arabi – questo evento: la ribellione delle masse egiziane, motore vulcanico delle popolazioni arabe.
Dalle firme degli accordi della sottomissione e dell’asservimento con Israele, l’Egitto si è tenuto lontano da tanti accadimenti che hanno sconquassato il mondo arabo: tre invasioni israeliane contro il Libano (’78, ’81, 2006), due guerre all’Iraq (’91 e 2003), due volte l’Intifada in Palestina (’87 e 2000), la Somalia e la guerra civile che dura ormai da molto tempo, lo smembramento del Sudan con le sue guerre civili frutto di ingerenze occidentali e la guerra interna dello Yemen. Molti di questi eventi traumatici non sarebbero accaduti se ci fosse stato un Egitto pan-arabista , invece di quello prodotto a Camp David.
Oggi l’Egitto è tornato a diffondere speranza su tutto il Medioriente. Non sappiamo come andrà a finire questa rivoluzione ma i moti popolari hanno incominciato a rotolare come se fossero delle palle di neve e il contagio della ribellione allo status quo è già in atto. L’elefante egiziano ha già cominciato la sua marcia e ad ogni passo la terra trema sotto i suoi pesanti piedi. Da oggi tutti cominciano ad avere paura: i regimi arabi totalitari per ovvii motivi, i paesi imperialisti occidentali (USA in primis) che attraverso l’Egitto controllavano gran parte del M.O, e israele per la perdita dell’unico alleato arabo e in tutto il Medioriente. Sì, è stata già vinta la battaglia: ora si tratta di sistemare le pedine sulla scacchiera, e questo forse vorrà dire libertà ed emancipazione.
Non ho osato commentare il grande evento aspettando di vedere meglio fin dove sarebbe arrivata la determinazione delle masse egiziane da una parte e per vincere le mie emozioni e entusiasmo dall’altra. Non è la prima volta che succede in Egitto e in altri stati arabi che la gente si ribella, ma le sommosse del passato sembravano mirare a qualche miglioramento materiale, contro il carovita o come solidarietà ad altri fratelli arabi sotto le bombe dell’aggressore di turno. Invece, ciò a cui abbiamo assistito sia in Tunisia che in Egitto è stata una ribellione di popolo contro un regime dispotico e oppressore. Una ribellione con lo scopo di cambiare questo stato di sfruttamento.
La firma degli accordi di “pace” tra l’Egitto e l’entità sionista israele ha squarciato tutto il mondo arabo. La posizione dell’Egitto fu negli anni il volàno di quella cultura che tanto piace agli occidentali definire di “moderatismo”, e che non è altro che l’accettazione e la protezione del sionismo e del suo focolare colonialista in Palestina. L’uscita dell’Egitto dal campo della resistenza e del confronto con israele e la sua martellante propaganda con al centro il messaggio disarmante “che nulla si può fare per la liberazione della Palestina finché dietro a israele ci sono gli Usa” ha instillato nei popoli arabi per tanto tempo il senso della sfiducia, della rassegnazione e della resa. Essi erano convinti di essere tanto deboli ,quanto impotenti o incapaci. Il totalitarismo arabo ha rafforzato questo popolare sentimento, allo scopo di governare senza contrasto di alcun tipo. Questo campo cosi asservito sferrò un attacco potentissimo contro gli Stati o i movimenti della resistenza araba attaccando proprio quella “cultura” che mantenne però, come minimo, la speranza della liberazione. In questo modo israele e l’imperialismo occidentale hanno potuto avere mano libera nella loro aggressione sanguinaria contro le popolazioni arabe.
Grazie all’Egitto di Mubarak e gli altri della sua cricca nelle varie capitali arabe la colonizzazione della Palestina e la deportazione della sua popolazione sono diventati un affare interno che riguarda solo i palestinesi stessi. Tale ritirata araba ha accentuato la già debole posizione dei palestinesi, lasciandoli soli sotto le bombe sioniste. Ciò mirava a portare il mondo arabo alla capitolazione, alla resa totale.
Prima della sollevazioni popolari in Tunisia ed Egitto, il peso della resistenza e della lotta è stato portato sulle spalle di pochi, movimenti e soggetti completamente isolati e denigrati dalla potente macchina dei governanti dispotici spalleggiati, questi autarchici, dalla altrettanto potentissima macchina imperialista mondiale. Preda degli attacchi che provenivano da tutte le parti, i resistenti in tutto il mondo arabo sono riusciti, in Palestina, in Iraq, in Libano e altrove a spezzare questa morsa micidiale. Questa resistenza e l’eroismo che l’ha accompagnata hanno restituito orgoglio e speranza agli arabi, i quali hanno osato sempre di più nella sfida ai loro retrogradi governanti. Abbiamo, inoltre, scritto e detto tanto sull’esempio di tutti i resistenti occidentali, le varie flottiglie e convogli intenti a spezzare le catene dell’assedio di Gaza, la Gaza freedom march e la sfida che i compagni e le compagne hanno lanciato contro l’apparato poliziesco egiziano; tali azioni hanno costituito un elemento fondamentale per le masse arabe, pronte a lanciare le loro sfide con manifestazioni sempre più imponenti e critiche sempre più taglienti.
Tutti sanno che la Palestina è nel cuore di tutte le masse arabe. Persino quando si manifesta contro il carovita, contro il malgoverno o la corruzione o contro qualsiasi questione interna riguardante una specifica comunità, la Palestina è stata sempre sbandierata come se fosse l’icona da una parte dell’ingiustizia e dall’altra della lotta. Dal ’48 ad oggi l’occupazione della Palestina costituisce una fonte di vergogna non cancellata per tutti gli arabi e, specularmente, il complottismo dei leader è stato una fonte di frustrazione e di umiliazione generalizzata. Nelle strade delle varie città italiane sono stati pochi gli egiziani e i tunisini scesi nelle piazze a fianco delle loro popolazioni in patria in rivolta. Dopo la caduta dei due tiranni sono sembrati, invece, come le formiche che escono fuori dal loro formicaio dopo una tempesta: gente che cammina con tanto orgoglio e fierezza e non più come prima, quando, umiliati, si erano sempre nascosti.
In Egitto e prima in Tunisia è stata superata la prima tappa, che forse non è neanche quella più difficile; rimane la tappa più ostica, quella di preservare queste due grandi rivoluzioni dai contraccolpi e dai tentativi, prima di succhiare la rabbia popolare che le hanno determinate e, poi, di svuotarne i contenuti innovativi. Oggi si tratta di costruire il dopo, il futuro delle due nazioni, il loro ruolo nel loro ventre naturale – il mondo arabo.
Fatte queste premesse non posso che dedurre che il vento che soffia sulla Palestina da ovest non potrà che giovare alla causa araba. Questo spiega anche le manifestazioni di gioia della popolazione palestinese. Dall’altra parte, questo vento carico di rabbia e di voglia determinata per il cambiamento spiega lo spavento dei tiranni palestinesi e arabi per contagio. In questa maniera o per questa ragione sono state vietate le manifestazioni in Cisgiordania e nella striscia di Gaza ,con sostanziale differenza motivazionale: i primi, quelli dell’ANP di Abu Mazen, per paura che le manifestazioni possano degenerare in atti di contestazione incontrollata contro la stessa ANP che, dopo gli ultimi scandali delle rivelazioni, è talmente debole che sopravvive grazie al suo apparato impiegatizio. Nella Striscia di Gaza i secondi, il governo di Hamas ha voluto manifestare cautela prima di mettersi in palese contrapposizione contro il regime egiziano; d’altronde, nessuno sapeva fin dove sarebbe arrivata la determinazione del popolo in Egitto. Una cautela politica volta a non inasprire il già molto aspro assedio contro la popolazione gazese in segno di ritorsione dell’ormai ex-regime egiziano. La popolarità di Hamas, purtroppo è ancora molto diffusa e, certamente, Hamas non ha motivi di aver paura di qualche contraccolpo politico contro la sua autorità, almeno non nell’immediato. Certo che certi servizi mediatici possono danneggiare l’immagine di Hamas ma non il suo governo, soprattutto non in questa precisa fase storica in cui la resistenza sembra aver vinto la prima battaglia della “guerra” di liberazione e di emancipazione.
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