Oggi il processo a Marco, l’italiano arrestato a Hebron
Marco, cittadino italiano di 32 anni, l’11 aprile si trovava a Hebron per partecipare alla conferenza internazione sulla resistenza popolare nonviolenta. Stava facendo ritorno alla conferenza dopo la pausa pranzo quando la polizia israeliana lo ha arrestato con l’accusa di partecipare ad una manifestazione illegale. Marco ha deciso di resistere all’espulsione affrontando la detenzione per avere un processo in cui le infondate e fantasiose accuse contro di lui possano definitivamente cadere. Il processo avrà luogo lunedì 23 aprile.Martedì 17 aprile 1200 palestinesi, detenuti nelle carceri israeliane sono entrati in sciopero della fame, il nome che hanno dato alla loro protesta è “we will live in dignity”, vivremo dignitosamente. Marco insieme a 40 partecipanti alla Flytillia, che come lui hanno deciso di resistere all’espulsione e si trovano per questo momento in carcere, si è unito allo sciopero della fame finalizzato a denunciare le condiz ioni inumane in cui i palestinesi sono detenuti.
Si è parlato tanto in questi giorni della violenza, della prepotenza delle forze di occupazione israeliane nei confronti degli internazionali. Ci siamo indignat@, ci siamo arrabbiat@. È giusto indignarsi per questo, come è giusto e doveroso supportare la forza di persone come Marco che hanno deciso di resistere al reimpatrio forzato.
Però, a guardarla bene, questa situazione sembra davvero assurda. Tante persone hanno preso posizione con forza per il fatto che qualche centinaio di europei della flytilla non ha avuto la possibilità di entrare in Palestina. E hanno fatto bene! Ma allora, cosa dovrebbero dire delle centinaia di migliaia di palestinesi che ancora reclamano il loro diritto al ritorno nei territori occupati nel ’48? Se le limitazioni di movimento inferte a qualche centinaio di turisti europei hanno aiutato ad aprire gli occhi sull’infamia israeliana, si provi a guardare alle limitazioni di movimento che milioni di palestinesi vivono tutti i giorni per tutti i giorni della loro vita. Sono quelle che dovrebbero fare esplodere la rabbia!
Si pensi per esempio all’immagine dell’attivista danese violentemente colpito dal calcio del fucile della border police. Brutte immagini da mandare in prima serata, immagini che non si dovrebbero fare vedere ai bambini. Mentre le immagini dei palestinesi picchiati, feriti e uccisi ogni giorno non vengono proposte ne’ a bambini ne’ ad adulti, in nessuna fascia oraria. Ecco, quello che vogliamo dire, è che l’indignazione provocata dalla violenza di un soldato israeliano verso un attivista danese dovrebbe essere rivolta anche e soprattutto verso le violenze che i palestinesi subiscono ogni giorno.
Ed ora, pensiamo anche a Marco, l’italiano. Quello che ancora si trova nelle carceri sioniste perchè rifiuta il reimpatrio forzato senza processo. Ha bisogno del nostro supporto, senza alcun dubbio. Quello che sta facendo è bello ed importante, qualcuno potrebbe definirlo eroico. Ma quello che sta facendo sarebbe totalmente inutile se non aiutasse chi sta di qua del mare a capire che quelli che stanno per anni e anni in carcere senza una ragione sono i palestinesi, che spesso non hanno processo, e che se ce l’hanno non possono sperare sia un processo giusto.
Alcuni internazionali subiscono violazioni dei loro diritti per stare al fianco dei palestinesi. È come se vivessero un po’ delle loro sofferenze, perchè avere l’onore di lottare al fianco di questo popolo significa anche questo. È il prezzo da pagare quando si dice che lottiamo con i palestinesi e non per loro. Vogliamo però sempre ricordare che in realtà le sofferenze quortidiane che vengono inflitte ai palestinesi sono di gran lunga peggiori.
Questo che segue è un esempio di un racconto -come tanti altri- di un palestinese che è stato nelle carceri sioniste. Si chiama abu Montasser, ma provate a leggero pensando che possa essere scritto da un “bianco occidentale”, e vedete se vi fa lo stesso effetto.
“I soldati erano tremendi, picchiavano forte come non mi era mai successo. Dopo una settimana avevo due costole rotte, vomitavo sangue e tossivo sangue. Ho chiesto di andare dal dottore, di solito i torturati ricevevano qualche forma di assistenza dopo i pestaggi, ma mi è stato rifiutato. Mi hanno rimandato indietro in una cella minuscola e li sono rimasto, non mi alzavo nemmeno in piedi perchè se avessero visto che riuscivo a stare in piedi mi avrebbero fatto finire la giornata in piedi sotto il sole. Quando mi hanno portato da qualcuno che mi curasse non era un vero dottore, mi ha dato qualche cosa di simile ad un’aspirina e mi ha rimandato indietro nella stanza. Dopo due settimane di isolamento il petto stava gonfiandosi, continuavo a vomitare sangue e tossire sangue, ogni volta che mi portavano da mangiare dicevo alle guardie che avevo bisogno di un medico, ma non mi davano mai retta.”
In questo momento ci sono più di 4700 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Tra questi nove donne e 190 minori. Il 17 aprile circa 1200 palestinesi hanno iniziato uno sciopero della fame di massa sotto lo slogan “we will live in dignity” (vivremo dignitosamente)
Ci sono alcuni dati fondamentali che è giusto ribadire, quando si parla di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, e che fanno capire come anche secondo la legislazione internazionale ciò che sta facendo Israele è totalmente illegittimo. Il primo è che, mentre nel momento in cui c’è un conflitto in corso è possibile parlare di prigionieri di guerra, durante un’occupazione si può parlare solo di detenuti. Cioè, mentre in un contesto di guerra si possono fare prigionieri da usare poi negli scambi, se non c’è in corso nessuna guerra – come non è in corso nessuna guerra in Palestina – secondo la IV convenzione di Ginevra non è possibile portare i prigionieri al di fuori delle aree occupate all’interno della potenza occupante. In altre parole, le forze di occupazione israeliane non hanno leggittimità a compiere arresti se non per crimini comuni, e i detenuti devono rimanere all’interno dei territori occupati. Il secondo fatto da ricordare è che si tratta, senza eccezione, di prigionieri politici: infatti essi non si sono macchiati di crimini comuni ma di crimini contro l’occupazione.
Inoltre, nelle cerceri israeliane vengono detenuti bambini palestinesi, circa 322 prigionieri sono in detenzione amministrativa (cioè non viene espressa contro di loro alcuna accusa), viene regolarmente praticata la tortura e vengono impedite le visite familiari.
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