Palestina, sedici morti per mano israeliana nel Land Day
Sedici persone sono morte a Gaza, vittime della repressione dell’esercito israeliano che ha sparato sulla folla che prendeva parte alle diverse manifestazioni in programma.
Mentre si avvicina il momento in cui l’ambasciata USA sarà trasferita a Gerusalemme, decisione fortissima soprattutto a livello simbolico da parte dell’amministrazione Trump, ieri la Giornata del Ritorno è stata dunque repressa nel sangue. Altre venti persone sono in condizioni critiche, tra la vita e la morte, colpite dal fuoco israeliano.
Più di mille i feriti tra le trentamila persone che cercavano di uscire dal blocco imposto da Israele alla Striscia di Gaza, nella commemorazione dei sei morti del 1976 caduti in occasione di proteste contro l’ennesimo furto di terre palestinesi da parte dello stato sionista nell’area della Galilea.
Le proteste andranno avanti per sei settimane, sino al settantesimo anniversario della Nakba, la “catastrofe” che nel 1948 vide la fondazione dello Stato di Israele e la contemporanea espulsione di migliaia di persone dai territori di Palestina. Due persone su tre a Gaza sono rifugiate, in seguito agli eventi del 1948.
Israele ha cercato di scaricare su Hamas la responsabilità degli spari nei confronti dei manifestanti che superavano le barriere di sicurezza, mentre numerosi video fanno notare come molti dei manifestanti colpiti dai più di cento cecchini schierati alla frontiera fossero disarmati. La barriera di sicurezza imposta da Israele alla popolazione di Gaza equivale a circa il 30% del territorio della Striscia.
Nella Striscia le condizioni di vita, a causa dell’embargo e del blocco dei confini israeliano, sono sempre più critiche, soprattutto in ambito sanitario. Un milione e ottocentomila persone vivono in condizioni critiche in un fazzoletto di terra di 40 km, dove anche solo l’elettrcitià è un lusso. Una vera e propria prigione a cielo aperto.
Ancora una volta si segnala l’inconsistenza di Fatah rispetto alle proteste, che sono sostanzialmente ignorate dal partito che controlla la Cisgiordania, il quale si è limitato a chiamare un giorno di lutto e a fare l’ennesimo appello inutile alla comunità internazionale.
Durante il solo 2018 Israele ha già infatti ucciso 34 persone tra la Striscia e la Cisgiordania. Senza contare la repressione ad ogni espressione di dissenso, come segnala ad esempio il caso di Ahed Tamimi, condannata a otto mesi per uno schiaffo ad un soldato israeliano in servizio nelle terre colonizzate dove viveva Ahed con la sua famiglia.
A sfruttare la situazione è soprattutto Erdogan, che utilizza da diversi anni la questione palestinese al fine di rafforzare il suo progetto di guida della comunità muslmana a livello transnazionale.
Nelle prossime settimane, ogni venerdì, continueranno le proteste fino al 15 maggio.
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