Partigiani delle SDF/YPG occupano la base aerea di Menagh. Esercito Libero Siriano verso il tracollo?
Nel frattempo l’equilibrio delle forze in campo in Siria è drasticamente cambiato dalla scorsa estate, principalmente grazie all’intervento della Russia putiniana (i cui bombardamenti, nella loro arbitrarietà, sono riusciti ad eliminare importanti leader ribelli) e della conflittualità interna tra le fazioni islamiste; ma anche dell’attrattiva dell’ombrello delle SDF, il cui progetto trans-etnico e trans-confessionale ha visto l’adesione di una serie di formazioni del FSA. Spinte alla defezione da quell’egemonia qaedista e settaria, prima infiltratasi e quindi prevalsa tra i sostenitori della fu primavera siriana.
Le componenti filosaudite e filoturche del FSA sono state quasi completamente espulse dalle loro roccaforti montane nella provincia di Latakia – che dominavano fin dagli albori del conflitto e da cui erano arrivate a minacciare Qardaha, città natale degli Assad. Mentre una recente offensiva governativa ha reciso in due il cosidetto corridoio di Azaz, una lingua di terra che costituiva l’ultima linea logistica del FSA nell’omonima provincia. Sviluppo che apre le porte della seconda città siriana alle bande filo-Assad – ormai tali dopo l’effettivo collasso di un esercito esaurito da cinque anni di guerra. Teatro non privo di complessità. L’impiego negli scorsi giorni delle famigerate barrel bombs da parte dell’aviazione siriana, zoccolo di fedelissimi del regime, contro i civili del quartiere curdo aleppino di Sheikh Maqsood ha visto la severa reazione delle SDF – che hanno a loro volta bombardato un checkpoint governativo nella metropoli contesa provocando morti e feriti tra i militi di Damasco, secondo quanto riportato dall’agenzia ARA news.
Rullano intanto i tamburi di guerra ai piani alti dei conflittuali interessi internazionali attorno alla guerra in Siria. L’eventuale intervento di terra minacciato da Arabia Saudita e Turchia per risollevare le sorti dei loro protetti vede notevoli ostacoli ad una sua materializzazione concreta. Ovviamente la presenza russa, ma anche la logistica di una simile operazione: una parte dell’invasione dovrebbe realisticamente partire dal territorio giordano – paese già provato dalle ondate di rifugiati in fuga dal conflitto e con la sua stessa popolazione a rischio di radicalizzazione. E da cui finora non vi è stato alcun contributo determinante per ribaltare le malandate sorti del FSA nella Siria meridionale.
Non mancano altri punti interrogativi. Da una parte il tutt’altro che trionfale andamento della guerra saudita in Yemen, in cui l’inetto comando di una coalizione pan-sunnita di oltre 10 nazioni è impantanato da oltre dieci mesi; e che sta dissanguando le casse del regno wahhabita, colpito dal basso prezzo del petrolio e già costretto ad imporre misure di austerity ed alienare parte dei propri fondi sovrani. Dall’altro la resistenza curda nel sud-est al genocidio etnico perpetrato da Erdogan, che nel caso della città martire di Cizre prosegue da quasi 60 giorni. Ma se il tiranno di Ankara si fa forte dell’appoggio della Merkel e dei miliardi di euro che l’Europa dei tagli e dei salvabanche è pronta a regalare alle sue casse, i partigiani del confederalismo democratico – che contano sul supporto della loro gente ed indirettamente sull’immane quantità di armamenti riversata nel conflitto siriano – sono pronti a rendere un inferno le sue retrovie.
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