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Prigionieri palestinesi: non è il momento di disperare

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La storia dei sei prigionieri politici palestinesi dovrebbe ispirare speranza e azione, non gettarci nella disperazione.

Fonte: english version

Susan Abulhawa – 12 Settembre 2021

Immagine di copertina: Manifestazione a sostegno dei sei prigionieri palestinesi evasi dalla prigione di Gilboa, a Nazareth l’11 settembre 2021 [Reuters/Ammar Awad]

Per quattro giorni, i palestinesi all’interno della Palestina e che vivevano in esilio nella diaspora sono stati euforici. In un atto di straordinaria creatività e determinazione, sei coraggiosi prigionieri politici palestinesi sono fuggiti da una prigione di massima sicurezza israeliana attraverso un tunnel scavato da loro stessi.
Si presume che lo abbiano fatto con un cucchiaio, poiché non avrebbero avuto altri strumenti. Certamente, non avevano i macchinari necessari per una tale impresa. Le aperture del tunnel erano estremamente strette, lasciando tutti sconcertati su come sei uomini adulti fossero riusciti a passarvi.
Mi sono subito venuti in mente questi versi di una poesia di Mahmoud Darwish:

La Terra si sta chiudendo su di noi
spingendoci attraverso l’ultimo passaggio
e ci strappiamo le membra per passare.

Infatti, quando due di loro – Yaqoub Qadri e Mahmoud Abdullah al-Arida – sono stati catturati il quinto giorno, le loro foto hanno mostrato come avessero perso una grande quantità di peso, presumibilmente per passare attraverso l’apertura. Era la vita che imitava l’arte: strappavano parti dei loro corpi per percorrere il passaggio verso la libertà.
Il giorno seguente sono stati catturati Zakariah Zubeidi e Mohammad al-Arida. Ayham Kamamji e Munadil Infaat rimangono liberi, lottano per le loro vite, resistendo il più a lungo possibile.
La polizia israeliana ha scattato foto degli uomini ammanettati, scegliendo di distribuire le immagini in cui i loro volti mostravano più angoscia. Qualcuno ha prontamente photoshoppato i sorrisi sui volti di Yaqoub e Mahmoud e le immagini modificate sono diventate virali.
Molti hanno criticato l’alterazione di quelle foto. Sostengono che dobbiamo guardare direttamente al loro dolore e alla loro sconfitta, come se fossimo troppo stupidi per capire cosa significhi questo momento per loro.
Credo che chiunque abbia modificato le foto abbia reso alla nostra società un ottimo servizio, e spero che faccia lo stesso per le foto di Zakaria e Mohammad.
Le autorità israeliane hanno diffuso quelle foto dolorose per un motivo.
Vogliono far gravare il loro pesante impatto emotivo su tutti i nostri cuori e lasciare che la sconfitta e la depressione si insinuino, come sembra stia già accadendo. Vogliono che il nostro sgomento sia grande o più grande della nostra celebrazione iniziale.
Vogliono cancellare dalle nostre menti la consapevolezza che sei uomini indifesi, emaciati, con nient’altro che forse un cucchiaio, hanno scosso il progetto coloniale sionista fino al midollo. Li terrorizza che possiamo contemplare collettivamente le profondità della speranza e della determinazione che hanno spinto quei sei eroi a realizzare ciò che tutti pensavano fosse impossibile.
Perché se davvero riflettessimo su quell’impulso primordiale per la libertà, sulla speranza illimitata nel cuore di ogni rivoluzionario e combattente, potremmo trovare il nostro potere individuale e collettivo.
Potremmo iniziare a capire che nulla è impossibile e che la libertà è alla nostra portata. Potremmo iniziare a organizzare una rete collettivo per proteggere Ayham e Munadil e mantenerli liberi e vivi e incoraggiare così alla sfida e alla resistenza.
Potremmo insorgere per liberarci del regime infido e illegittimo di Mahmoud Abbas e installare una leadership rivoluzionaria, disposta a proteggere il proprio popolo, invece di proteggere coloro che occupano, derubano e opprimono i palestinesi.
I nostri coraggiosi prigionieri politici sapevano i rischi che stavano correndo. Questo è ciò che fanno i rivoluzionari. Preferiscono combattere piuttosto che capitolare. Qualunque cosa accada ora, ciò che hanno fatto non può essere annullato. Il colpo che hanno inferto a “Israele” non può essere dimenticato. Hanno sacrificato così tanto per darci speranza. Come osiamo ora cedere alla depressione e al senso di sconfitta?
Non è stata la sconfitta o la depressione a motivarli nel passare ore insonni a scavare un enorme tunnel senza strumenti adeguati. Certamente non credevano nella percezione dell’onnipotenza accuratamente coltivata da Israele.
Il minimo che possiamo fare per onorarli è portare avanti la fiaccola della speranza e coltivare l’impulso verso la liberazione che sicuramente sono stati al centro del loro eroismo. Possiamo consolidare la nostra sfida e il rifiuto di vivere per sempre in ginocchio, esiliati o prigionieri. Possiamo capire che nulla è impossibile, compresa la fine di questo crudele regime sionista. Di fronte agli orrori che sappiamo che quegli eroici prigionieri politici stanno affrontando, non abbiamo diritto alla depressione o alla sconfitta. Possiamo essere certi che non è quello che hanno cercato di ispirare in noi.

Le opinioni espresse in questo articolo sono proprie dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.
Susan Abulhawa è una scrittrice palestinese e autrice del romanzo bestseller internazionale “Mornings in Jenin”. E’ anche la fondatrice di Playgrounds for Palestine, una ONG che si occupa di bambini.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org

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