Siria, la dignità e la libertà
Il popolo non si ferma. Il popolo è unito e non ha paura e chiede la caduta del regime. E’ questo il messaggio che il popolo siriano vuole dare oggi al mondo intero attraverso uno sciopero generale che e’ in atto in queste ore nella maggior parte del Paese.
La gente ha deciso di restare in casa lasciando la maggior parte dei negozi chiusi e gli uffici amministrativi vuoti. Anche questo è un modo di resistere (che piaccia o no), resistere alla repressione e ad una mancanza di libertà che da anni ha tolto a questa gente dignità e onore. Quello che il popolo siriano sta chiedendo oggi é proprio libertà e dignità, fattori che non sono e non devono essere secondari alla tanto amata e giusta lotta contro l’imperialismo e contro l’occupazione in Palestina. Quest’ultima purtroppo sempre piu’ retorica, sempre piu’ strumentalizzata e sempre meno pratica.
“Siamo stanchi”, dice Nur, una ragazza siriana di venti anni. “Siamo stanchi del fatto che le nostre vite non contano, siamo stanchi di vivere sotto una repressione continua ed é per questo che continuiamo a lottare”. Mahmud, un tassista di Damasco di 50 anni ripete stremato: “Non ho piu’ nulla da perdere, possono anche uccidermi come hanno ucciso gli altri. Io non mi fermero’ e’ arrivato il momento di cambiare”.
Intanto la propaganda del regime siriano (assieme a quella statunitense?) continua attraverso i suoi media e soprattutto attraverso la violenza del suo esercito – come dimostrerebbe la fossa comune rinvenuti a Daraa, con almeno tredici cadaveri – – a diffondere l’allarme di una possibile guerra settaria in Siria (Contro chi? L’80 percento della popolazione e’ sunnita) e un possibile attacco israeliano nel Paese. Ma perché un regime alternativo a quello degli Assad non potrebbe essere anche esso resistente? E perché il popolo siriano, che vive nella sua quotidianità l’arroganza e le minacce dello Stato ebraico dovrebbe tutto d’un tratto trasformarsi in un alleato di Tel Aviv?
Chi si preoccupa della questione della resistenza contro Israele dovrebbe ricordare l’Egitto di questi ultimi giorni, esempio pratico che in realtà Israele aveva fatto una pace con un regime e non con un popolo che l’altro giorno chiedeva la partenza dell’ambasciatore israeliano dal Cairo. L’ostilità delle masse arabe contro lo Stato ebraico non e’ alimentata né da ragioni ideologiche né dottrinali ma prende le sue radici piuttosto da fattori territoriali e pragmatici: una terra araba occupata, la Palestina ed é rafforzata dalle continue minacce spesso concrete dello Stato ebraico e dal silenzio della maggior parte dei regimi arabi.
E’ arrivato forse il momento di mettere da parte la retorica e i simbolismi e di ritornare alla realtà materiale. Umm Maher, una donna siriana di 40 anni che scappata da Tell Kalakh si e’ rifigiuta in Libano racconta che é stanca “di doversi ogni giorno preoccupare di fare bene i conti per arrivare a fine mese, di evitare di esprimere giudizi sul governo o sul presidente e soprattutto di non avere una voce”, in quella che prima di essere il suo Stato é la sua terra.
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