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Sull’accordo truffa Stato-Regione Sardegna sull’occupazione militare

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Riprendiamo dal canale web di a Foras- Contro l’occupazione militare della Sardegna questo contributo-riflessione sull’ accordo stipulato e tra Stato e Regione e propagandato come positivo per la popolazione sarda da parte dei media mainstream e le principali testate in locali, quando in realtà non evidenzia sostanziali novità nelle modalità di occupazione e sfruttamento di persone e risorse territoriali nell’ isola, bensì incorpora e incanala altri aspetti della vita e della riproduzione sociale. Buona lettura

 

16 Dicembre 2017

 

La posizione di “A Foras” sull’accordo Stato-Regione e l’emendamento Scanu: sulle basi un passo avanti e due indietro.

Nelle ultime settimane, diversi rappresentanti istituzionali sardi, in primis il senatore Scanu e il governatore Pigliaru, avrebbero portato a casa due risultati, a loro dire “storici”, sul tema delle servitù militari. Si fa riferimento all’emendamento dei senatori sardi inserito il 29 novembre nel passaggio della Legge Finanziaria al Senato, e dell’accordo Stato-Regione ratificato il 12 dicembre dal consiglio regionale. Già prima che l’accordo venisse reso pubblico, in seguito alle anticipazioni di Pigliaru, diverse testate giornalistiche titolavano “Via i militari da Capo Frasca e Teulada”, ma nel frattempo lo stesso presidente parlava di cessioni “simboliche”. Per fare chiarezza sugli effettivi contenuti dell’accordo abbiamo atteso che questo fosse discusso e reso pubblico, in modo da analizzarlo congiuntamente all’emendamento Scanu.

L’emendamento Scanu

Il testo va sostanzialmente a modificare l’articolo 38 del Codice dell’ambiente in materia di poligoni di tiro, introducendo meccanismi di trasparenza e tutela dell’ambiente. Con queste modifiche i comandanti dei poligoni saranno tenuti a compilare un registro delle attività a fuoco, specificando il tipo di arma utilizzato, la data, il luogo di partenza e quello di arrivo dei proiettili. Tale registro sarà reso disponibile per almeno dieci anni dalla data dell’ultima annotazione agli organi di vigilanza e di controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro. I comandanti dei poligoni dovranno inoltre adottare un non meglio specificato “piano di monitoraggio permanente” e dovranno predisporre un documento semestrale, da inviare a Regione, comuni interessati e ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente). In questo documento, per ciascuna esercitazione o sperimentazione prevista nel poligono si dovranno indicare: attività previste, modalità operative (dove e quando), oltre ad altri elementi rilevanti ai fini della tutela dell’ambiente e della salute.

Tutti i compiti fin qui introdotti dall’emendamento sono in capo al personale dell’esercito, riproponendo il solito problema del “controllato che controlla se stesso”. Il testo prevede però l’istituzione di un Osservatorio ambientale regionale sui poligoni militari, che farà capo al sistema della rete SINANET (istituita con la L. 132/2016, che comprende diversi soggetti a livello nazionale e regionale) in collegamento con il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente.

Sembrerebbe un passo in avanti nel controllo dell’impatto ambientale dei poligoni, ma ci chiediamo quali siano le competenze e i poteri dell’Osservatorio, dal momento che l’emendamento su questo non fa nessuna chiarezza. Per esempio: potrà effettuare controlli a sorpresa in ogni parte (a terra e a mare) dei poligoni? Avrà fondi disponibili per analisi a 360 gradi su ambiente e salute? Tali controlli contempleranno anche le esercitazioni di altre nazioni e/o quelle private, comprese le attività altamente impattanti di tutte le imprese, come la Vitrociset? Premesso che per noi un calcolo definitivo dei danni causati dalle basi all’ambiente sarà possibile solamente dopo la loro totale dismissione, dubitiamo fortemente che l’osservatorio possa avere tali poteri. Anche il potere sanzionatorio appare lieve: secondo gli articoli modificati dall’emendamento sono infatti previste sanzioni amministrative da 3.000 a 20.000 euro.

Tra i proclami degli estensori dell’emendamento risultavano anche le bonifiche. In realtà il testo non fa alcun riferimento alla parola bonifiche, ma solamente alla normale rimozione dei residui. Ribadiamo che per noi le vere bonifiche saranno possibili solo dopo la dismissione delle basi, i veri risanamenti dell’ambiente terrestre e marino richiederanno lavori che dureranno decenni e che costeranno centinaia di milioni, così come nel caso di poligoni simili a quelli sardi. Per esempio, Vieques (in Portorico), poligono simile per attività e dimensioni a quello di Teulada, si prevedono 20 anni di bonifiche e circa mezzo miliardo di dollari di costi. Tuttavia, sia tempi che costi risultano sottostimati (nel 2012 solo un terzo del poligono era stato bonificato).

L’accordo Stato – Regione

Il “Protocollo d’Intesa tra Ministero della Difesa e Regione Autonoma della Sardegna per il coordinamento delle attività militari presenti nel territorio della Regione” già nelle sue premesse lascia intuire l’orizzonte ultimo di Pigliaru e soci sulle servitù. Infatti, l’accordo si inserisce in “un processo di graduale dismissione di PARTE dei Poligoni”. A chi difende l’accordo sostenendo che sia comunque un passo avanti verso la dismissione totale delle basi, rispondiamo che nelle intenzioni di Governo e Regione questo non è assolutamente contemplato, come dimostra questo incipit. Dall’analisi del documento di passi avanti se ne scorgono ben pochi, se non “simbolici”, come afferma lo stesso Pigliaru, accompagnati però da diverse nuove concessioni ai militari, che nel complesso sembrano addirittura guadagnarci.
Lo stop alle esercitazioni dal 1 giugno al 30 settembre e l’apertura temporanea delle spiagge di Murtas e Spiagge Bianche erano già in essere negli ultimi anni attraverso protocolli d’intesa tra Comuni e Difesa, che venivano ogni anno rinnovati. Il nuovo Protocollo si limita a formalizzare questi accordi anche tra Regione e Stato.

Anche la dismissione dei beni non più utilizzati dall’esercito (già avviata nel 2008) è la solita farsa: le uniche vere e proprie cessioni dal demanio militare a quello comunale paiono quelle relative a piccolissime porzioni di territorio, ovvero la spiaggia di S’Enna e S’Arca, sino a Punta S’Achivoni (Capo Frasca) e di Portu Tramatzu (Teulada). In quest’ultima però si dovranno comunque garantire le attività del Poligono. In pratica Portu Tramatzu passa da demanio militare a servitù militare (ovvero demanio comunale, ma disponibile per le esercitazioni).

Anche questo testo prevede l’istituzione di osservatori ambientali. In questo caso si fa riferimento al Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e a un protocollo d’intesa tra il Ministero dell’Ambiente e la Difesa. Anche per questi non meglio precisati controlli ambientali ribadiamo quanto già scritto: avranno accesso e fondi per analisi approfondite? A tal proposito ricordiamo che, come riportato nel nostro ultimo dossier su Teulada, le uniche indagini su ambiente e salute sono state commissionate dalla Difesa e secretate. Per questo pretendiamo ricerche approfondite e condotte da enti terzi, non governativi e riconosciuti da tutte le parti.
E infine la ciliegina sulla torta, l’ennesima pillola che i sardi dovranno ingoiare in cambio della restituzione di un’infinitesima parte dei 35.000 ettari di demanio militare: da una parte, il dislocamento di alcuni reparti nella caserma di Pratosardo (Nuoro), infrastruttura tra l’altro costruita su terre civiche, sclassificate e dichiarate edificabili con una legge del 2013.

E dall’altra, l’implementazione del SIAT, Sistema Integrato per l’Addestramento Terrestre, e di altri sistemi duali. Abbiamo già sottolineato nel nostro dossier sul PISQ (Poligono Interforze del Salto di Quirra) a proposito del Distretto Aerospaziale della Sardegna (DASS) la pericolosità dell’uso civile e militare di infrastrutture tecnologiche finalizzate sempre ad un uso bellico. In particolare il SIAT, (citato nel nostro dossier su Teulada), è presentato come un nuovo modo di utilizzare il poligono, moderno, orientato alla ricerca scientifica e addirittura “green”. Ma, anche se si spara qualche cartuccia in meno del solito, si tratta pur sempre dell’ennesimo sistema di addestramento volto alla preparazione di guerre di aggressione (come dimostra la costruzione di due villaggi addestrativi riprodotti in stile medio orientale e dell’est Europa). E anche il coinvolgimento dell’Università rivela sempre lo stesso schema, già intravisto con il DASS: drenare fondi pubblici dalla ricerca verso l’industria bellica.

In pratica, anziché porre le basi per la dismissione del Poligono di Teulada, l’accordo prepara il terreno per un suo nuovo utilizzo, sempre indirizzato al vecchio sfruttamento coloniale: della nostra terra da una parte e dei futuri scenari di guerra dall’altra. Per questi motivi, l’accordo tanto difeso dal governo regionale ci pare un sostanziale passo indietro nel processo di liberazione della Sardegna dalle basi.

I nostri prossimi passi

Pensiamo che la liberazione della Sardegna dai poligoni, le vere bonifiche (stimate e portate avanti da parti terze e da aziende slegate dall’industria bellica), e i risarcimenti per tutti i danni subiti (e non i semplici indennizzi) siano tutti obiettivi raggiungibili attraverso una grande mobilitazione popolare, partecipata, radicata e lunga nel tempo. Per questo continueremo a raccontare i danni causati dalle basi sui territori e le possibili alternative economiche, a partire da domenica 17 dicembre a Villarios (Uta) e venerdì 22 dicembre a Siniscola, dove presenteremo il nostro dossier sul Poligono di Teulada. Inoltre, per continuare il nostro percorso contro l’occupazione militare della Sardegna e rispondere a questi accordi farsa, rilanciamo la mobilitazione sui territori e diamo appuntamento sin da ora all’assemblea generale di A FORAS, prevista per sabato 6 gennaio a Bauladu.

 

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