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TUNISIA: [Ucciso manifestante] Attivisti mobilitati al grido di «Kasbah3»

A SidiBouzid durante scontri tra polizia e manifestanti viene ucciso a colpi d’arma da fuoco, con un proiettile che passando da braccio gli ferisce il torace, Thabet Hajlaoui, ragazzo di 14 anni.

A Menzel Bourguiba viene dato alle fiamme un posto di polizia. Stessa sorte per i locali della forze dell’ordine a Intilaka, quartiere proletario di Tunisi dove gli scontri tra manifestanti e polizia sono durati per lunghe ore, tra pietre e lacrimogeni, molotov e proiettili.

Cortei e manifestazioni fino a tarda notte in tutta la Tunisia, a Gafsa e Kesserine la piazza torna a scandire lo storico slogan “il popolo vuole la caduta del regime”.

Questo il risultato di una sconsiderata quanto brutale repressione che ha colpito un pacifico sit in nei pressi della Kasbah venerdì 15, ancor prima che qualche slogan potesse essere pronunciato dai manifestanti che primi fra gli altri avevano raggiunto il concentramento. Si trattava di poche centinaia tra parenti dei martiri della rivoluzione, avvocati, mediattivisti e ragazzi venuti dalle regioni centrali della Tunisia. Un sit in che come punti di rivendicazione non faceva altro che ripetere gli argomenti che condividono da mesi la stragrande maggioranza dei tunisini a riguardo, ad esempio, alla verità e giustizia per i martiri della rivoluzione, al contrasto al governo ombra (la cui esistenza è stata confermata dall’ex-ministro degli interni), all’indipendenza della magistratura e all’interdizione reale degli ex appartenenti dell’RCD dalla vita politica del paese.

La violenza della repressione, che non si è fermata neanche davanti ai locali di una moschea riempita di lacrimogeni [immagini trasmesse da aljazeera], ha fatto montare l’indignazione di cui le proteste del fine settimana sono segno, e che già fanno contare tra le file dei manifestanti l’ennesimo giovanissimo martire.

 

 

 


 

Attivisti mobilitati al grido di «Kasbah3»

 

di Fulvio Massarelli tratto da Il Manifesto 17/07/11

Ancora un tentativo di costruzione della «Terza Kasbah», nuova edizione dei sit in di massa che tra l’inverno e la primavera scorsa erano riusciti a far cadere il governo di transizione di Ghannouchi e far annunciare al nuovo presidente Essebsi l’indizione della costituente.

A fine marzo il primo tentativo di riconquista da parte del movimento rivoluzionario tunisino dell’ampia piazza che si apre sui palazzi una volta residenza del Bey incontrò una dura repressione. Stavolta i manifestanti non hanno avuto neanche il tempo di radunarsi che un fitto lancio di lacrimogeni aveva già reso irrespirabile l’aria tiepida di scirocco. È iniziato così, l’altro ieri, il lungo venerdì della «Terza Kasbah». Già dalla prime ora del mattino tutto faceva credere che il governo avrebbe contrastato con decisione quei «cattivi comportamenti che danneggiano l’immagine della rivoluzione e minacciano l’economia del paese» con scioperi e sit in. Autobus pubblici zeppi di celerini, polizia in borghese ovunque e nelle zone in prossimità della Medina anche poliziotti col volto coperto da passamontagna.

La polizia allontanava in modo brusco i manifestanti, provenienti dalle regioni centrali e meridionali del Paese. Nei vicoli della medina, la città vecchia che ospita il mercato del centro, si sentivano in lontananza gli slogan. Nell’unica via d’accesso alla Kasbah non presidiata da militari o chiusa da metri e metri di filo spinato, un sit in veniva diviso in due dalle cariche, con una parte dei manifestanti chiusi in una moschea in cerca di protezione da gas e manganelli e il resto dei primi partecipanti all’iniziativa respinti in una strada laterale.

La madre di un «martire» della rivoluzione grida il nome del figlio, i ragazzi in prima fila cercano di dissuadere l’avanzata della polizia lanciando qualche pietra, urlano che «né il gas e né le pallottole gli fanno più paura» e c’è da credergli, perché la giornata andrà avanti così fino a sera. Tornando verso il centro più ci si avvicina a Bab ElBahr (anche detta Porta di Francia) più il vento porta con se l’odore acre dei lacrimogeni e i venditori ambulanti chiudono la poca merce in un lenzuolo e cercano riparo mentre le prime schiere di celerini si fanno avanti dall’avenue Bourguiba.

In decine di capannelli la gente discuteva della situazione e delle rivendicazioni promosse nell’appello «Kasbah3» circolato in rete tramite i social network: prima tra tutte l’interdizione ai membri del Rcd (il partito dell’ex rais Ben Ali) di partecipare alla costituente, poi l’indipendenza della magistratura, e poi, quel punto che accende di rabbia e indignazione la discussione e che riguarda l’apertura di inchieste capaci di restituire giustizia e verità ai parenti dei martiri della rivoluzione, uccisi anche da quei cecchini di cui le autorità si ostinano ancora a negare l’esistenza.

In un nuovo presidio, in questo caso permanente e animato da giorni da attivisti indipendenti, membri della società civile e dalla base militante di diversi partiti, la piazza è stata rinominata «Piazza del Destino» e tra le tende dell’accampamento si rincorrono le voci su quanto accaduto durante la giornata, sembra che un amministratore di una pagina facebook della «Kasbah3» sia stato arrestato, e che un gruppo di avvocati stia cercando di trattare con la polizia l’uscita dalla moschea dei manifestanti che vi avevano trovato rifugio. Le camionette della polizia sfrecciano ancora sul lungo viale veloci verso il centro, e con una certa amarezza mista a rabbia, un ragazzo le indica dicendo «guarda qua, questa è la transizione democratica in Tunisia».

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