Tunisia: feriti della rivoluzione in sciopero della fame.
Su iniziativa del collettivo Nsitni e supportati dai mediattivisti di Nawaat (storico portale della dissidenza in rete al regime di Ben Ali ed ormai una della agorà digitali dei movimenti tunisini) alcuni feriti della rivoluzione insieme ai partenti avevano lanciato uno sciopero della fame ricordando che “al di là dell’aver scacciato il dittatore, la mobilitazione non è finita. Il giorno in cui il dittatore è scappato, il vero lavoro è iniziato. La dignità del tunisino non deve risiedere unicamente in una manifestazione di un giorno, ma si deve iscrivere in una azione quotidiana che prova che ognuno di noi è solidale delle sciagure dell’altro. Qui risiede l’identità della Tunisia, nella solidarietà, nella dignità. Questo è stato il messaggio inviato da Sidi Bouzid a Tunisi, passando per Thala, Gafsa o Kesserine. Questo messaggio inviato dalle città martiri ha largamente oltrepassato le frontiere della Tunisia. Ed è stato ascoltato nel mondo arabo, in Europa e perfino in Cina. Questo messaggio risuona ancora fuori dalle nostre frontiere, ad esempio in Siria. Ma questo messaggio non si è più udito da noi”. Ne avevano tentate di tutte per farlo risuonare ancora con i sit in, le lettere aperte, i video-denuncia e le assemblee, senza però mai ricevere delle risposte adeguate alle proprie rivendicazioni: che il governo e l’autorità pubblica si facesse almeno carico delle cure sanitarie dei tanti feriti, visto che l’indennizzo era già considerato un miraggio, un miracolo, che infatti non si è mai realizzato. Anzi passati dieci mesi dalle giornate di insurrezione contro il regime di Ben Ali a morire di oblio sono stati in tanti, ragazzi giovani o giovanissimi, o padri di famiglia che dopo le fucilate di piazza avevano perso anche il lavoro perché disabili.
Per curare alcune ferite sarebbero bastate garze sterili in quantità ed antibiotici ma il costo, all’incirca uno stipendio di un operaio tunisino, ha fatto sì che là dove non era arrivata la repressione di gennaio e febbraio arrivassero gli acari della polvere. Ettounsi Nasri, un disoccupato di 26 anni, ferito a colpi d’arma da fuoco durante le manifestazioni d’inverno lo dice carico di collera: “non capisco la negligenza del governo, ci siamo battuti per il nostro paese e il risultato è che la polizia che ci ha represso ha ricevuto dopo la rivoluzione l’aumento dello stipendio, mentre noi niente! Prima eravamo poveri, ormai siamo poveri e andicappati”.E aggiunge Houssine Essouni parrucchiere di 29 anni ormai disoccupato dopo essere stato ferito da alcune pallottole durante una manifestazione di protesta contro Ben Ali: “i giovani rivoluzionari di Kesserine sono disperati, traumatizzati per questa negligenza. Conosco dei ragazzi di venti anni che si augurano la morte e che considerano la loro esistenza ormai senza significato. A quell’età è terribile!”.
E’ forse in queste parole il segreto di tanta determinazione nel proseguire lo sciopero che non si è fermato neanche quando alcuni ragazzi hanno iniziato a mostrare evidenti segni di peggioramento costringendo alcuni medici solidali a trasferirli in tutta fretta dai locali di Nawaat, dove si tiente l’iniziativa, all’ospedale militare. Eppure la politica resta ancora in silenzio, eccezion fatta per alcuni leader politici che solo domenica sono andati a rendere visita agli scioperanti. Un silenzio ed una negligenza che difficilmente può spiegarsi con inceppi e lentezze burocratiche. In queste ultime ore sembra che con un decreto legge il governo abbia reso ufficiale il prendersi carico dei feriti scioperanti ed ora la questione è che nel riconoscimento politico e istituzionale dei feriti della rivoluzione il passo all’apertura di inchieste ufficiali sui responsabili dei ferimenti e delle morti di piazza possa essere breve. Si tratta di un grande buco nero della Tunisia post-Ben Ali: chi ha premuto il grilletto contro i manifestanti? Quale catena di comando ha dato il via al bagno di sangue a suon di fucilate per mano di cecchini? Ne parlano i dossier di diverse organizzazioni per i diritti dell’uomo, ne ha parlato un ministro degli interni (e per questa ragione dimissionato), ne ha scritto, in una lettera, un alto funzionario degli interni che si è poi ritrovato in carcere per mesi. Eppure dalle autorità solo silenzio, rotto a volte per negare l’esistenza di tiratori scelti impiegati nella repressione di gennaio e febbraio. Un vero buco nero che resta aperto in queste giornate elettorali e che si ripresenterà non appena l’assemblea costituente inizierà i suoi lavori. A questo punto viene da chiedersi se finalmente si avrà il coraggio di riconoscere nel volto di Mouhammed, Rached, Wael, Faycel e gli altri scioperanti, il volto di “ciò che più di coraggioso ha il paese”, il volto della verità.
Video di due ragazzi feriti della rivoluzione tunisina costretti alla rianimazione per carenze di cure pubbliche
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