Tunisia: picchetti, scontri e proteste nella regione di Gafsa
Nuove proteste in Tunisia, dopo i moti di inizio anno contro le politiche di austerity.
In particolare ad animarsi è la lotta nella regione di Gafsa, dove ancora più forti e radicate che nel resto del paese sono le contraddizioni sociali. La restaurazione politica seguita alle insurrezioni del 2011 ha delineato la sua stabilizzazione sull’approvazione di una serie di misure soprattutto in campo economico.
Misure che non hanno in alcun modo mutato il volto ad un paese tuttora fortemente diseguale e dove cresce, sull’onda del rifiuto al neoregime, anche l’appeal dell’opzione fondamentalista islamica, sfruttata dalla retorica dello stesso regime per legittimare la sua tenuta.
Come scrivevamo già riguardo alle proteste dello scorso gennaio, che avevano portato all’arresto di circa 800 persone in seguito alla reazione violenta alla morte di Khomsi Yefreni, le richieste di istituzioni come il FMI, in pieno stile neo-coloniale determinano da parte del governo potenti iniezioni di austerità nel paese. Inoltre, la repressione sistematica di ogni istanza sociale favorisce il radicamento jihadista, che sfrutta le debolezze dello Stato post-rivoluzionario e la debolezza dei confini con Algeria e Libia.
A Gafsa, come detto una delle regioni più povere del paese e contraddistinta dall’industria mineraria e dei fosfati, la polizia ha sedato con i lacrimogeni nello scorso weekend una rivolta animata dalla parte più giovane della popolazione, stremata dall’ennesimo salasso consistito nell’ultima legge di bilancio.
Ieri pomeriggio invece è stata data alle fiamme una stazione di polizia a Mdhila, dopo che un corteo di circa 700 persone si era scontrato con le forze dell’ordine che volevano permettere agli operai della Compagnie des Phosphates de Gafsa di superare i blocchi dei manifestanti davanti alla fabbrica, permettendo agli operai stessi di iniziare il loro turno di lavoro. L’esercito ha poi sedato la protesta con lacrimogeni, mentre i manifestanti scandivano le parole d’ordine “Libertà, giustizia, dignità, lavoro” rifacendosi alle lotte del 2011 contro il regime di Ben Ali.
Le richieste delle persone in piazza sono semplici: mettere un freno all’estrattivismo sfrenato, volgendo una parte dei profitti a favore delle popolazioni locali, che non hanno alcun tipo di possibilità di guadagnarsi da vivere se non attraverso sistema minerario Sin da metà gennaio si erano visti blocchi spontanei delle attività di estrazione, che portavano allo stop delle esportazioni e dunque alla perdita di ingenti profitti per le società del campo.
Gli aumenti del costo della vita soprattutto in regioni come quella di Gafsa cozzano con l’abbozzo di sviluppo delle aree costiere; i differenziali regionali sono sfruttati dal capitale per reclutare forza lavoro a basso costo in una spirale deprimente l’economia locale.
I bacini minerari, proprietà dello stato, sono il simbolo dello sforzo della macchina amministrativa nel normalizzare le forme di vita della popolazione residente, sacrificandole ad una modernizzazione della Tunisia che significa profitti per pochi e sfruttamento/disoccupazione per gli altri, come ai tempi di Ben Ali. Niente è cambiato da questo punto di vista.
Intere comunità vengono spostate da una zona all’altra della regione per permettere l’installazione delle macchine estrattrici dei fosfati, che tramite bombardamenti sotterranei e i conseguenti shock rendono impossibile la fioritura dell’agricoltura e comportano un forte innalzamento della possibilità di contrarre malattie come il cancro.
Per gli uomini e donne di Gafsa e del centro sud del paese in generale, c’è la miniera, l’emigrazione o la morte, dice un vecchio detto. E mentre l’Europa chiude sempre più le sue frontiere, le istituzioni transnazionali con l’appoggio pratico del governo tunisino sembrano voler sempre più propendere verso l’ultima ipotesi.
La popolazione, tra un blocco della produzione, un lancio di pietre e uno scontro con la polizia immersi nell’odore acre dei lacrimogeni, in queste ore cerca dunque di trovare una via di fuga al bivio mortale tra assuefazione al neoregime e risposta nel segno del fondamentalismo islamico. Tra vita e morte.
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