
Turchia: curdi vs polizia a Diyarbakir, arresti e feriti

Quella di ieri è stata una giornata di guerriglia urbana a Diyarbakir, capoluogo del Kurdistan turco, fra militanti delle organizzazioni della sinistra curda e la polizia turca inviata a reprimere una grande marcia convocata per chiedere la liberazione del leader del Pkk Abdullah Ocalan ma vietata dal regime. Nonostante il divieto da parte del governatore provinciale decine di migliaia di persone sono scese comunque in strada rispondendo all’appello del Bdp, il Partito per la Pace e la Democrazia, e del Congresso per una Società Democratica (DTK), una piattaforma di associazioni e movimenti curdi.
Per ore migliaia di agenti delle forze di sicurezza in assetto antisommossa si sono scontrati con decine di migliaia di manifestanti che cercavano di arrivare nella grande Piazza della Stazione di Diyarbakir, luogo di partenza della marcia blindata dalle barricate erette sul suo perimetro dagli agenti. La polizia ha attaccato con gas lacrimogeni e cannoni a acqua i manifestanti, che hanno risposto con il lancio di pietre, bastoni e bottiglie molotov. Negli scontri centinaia di attivisti e manifestanti sono rimasti feriti dalle manganellate e dai lanci di candelotti lacrimogeni ad altezza d’uomo. Tra questi anche tre deputati e un sindaco del partito Bdp.
Gli incidenti si sono estesi a tutto il centro della città: per  difendersi dalle cariche e per contrastare la Polizia gli attivisti  curdi hanno innalzato barricate utilizzando automobili e cassonetti e  dandoli alle fiamme. Secondo varie testimonianze riportate dai media  curdi e indipendenti turchi alcuni poliziotti hanno duramente picchiato  un bambino di soli 8 anni nel quartiere di Sanat, mentre un giovane è  stato spogliato in strada e colpito con i manganelli sulla schiena nuda.  La polizia ha realizzato decine di arresti, tra questi anche quelli di  due giornalisti dell’agenzia Diha.
 Abdullah Ocalan, ora 64enne,  fondatore e leader storico del Partito dei Lavoratori del Kurdistan  (Pkk) è stato arrestato e condannato a morte dal regime turco nel 1999,  ma poi dopo le pressioni internazionali la pena capitale è stata  commutata in carcere a vita. ‘Apo’, come lo chiamano i curdi, è  rinchiuso da allora in condizione di completo isolamento nell’isola  prigione di Imrali. Nei giorni scorsi una delle leader più amate dai  curdi e più perseguitata dal regime turco, Leyla Zana, ha di nuovo  chiesto durante uno storico colloquio diretto con il premier di Ankara  Recep Tayyip Erdogan che a Ocalan vengano concessi gli arresti  domiciliari per conciliare l’avvio di un processo negoziale. Ma dal  comportamento delle forze di sicurezza ieri a Diyarbakir e  dall’escalation repressiva contro i combattenti del Pkk attivi sulle  montagne dell’Anatolia non sembra proprio che il regime turco voglia  mutare il suo atteggiamento nei confronti delle decine di milioni di  curdi che chiedono autodeterminazione politica e culturale e rispetto  dei più elementari diritti umani. All’intransigenza di Ankara la  guerriglia curda sta rispondendo con attacchi sempre più incisivi.  L’ultimo ieri, quando una mina piazzata dai combattenti del Pkk a pochi  chilometri da Van, al confine con l’Iran, è saltata in aria al passaggio  di un convoglio di militari, ferendone 12.
da contropiano
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