Turchia, bloccata la carovana internazionale per Kobane
È qui che ieri pomeriggio si è fermata la carovana internazionale organizzata dalla rete Kurdistan e da Uiki Onlus e a cui hanno partecipato un’ottantina di attivisti, italiani e stranieri, e due parlamentari di Sel.
L’obiettivo era quello di portare medicinali, elettrocardiografi, materiale scolastico e giocattoli nella città distrutta dall’Isis e simbolo della resistenza curda. Ma il governo turco lo ha impedito. Prima “offrendo” il passaggio a una delegazione di sole dieci persone, poi negandolo, minacciando di chiudere definitivamente la frontiera se gli attivisti si fossero avvicinati.
La carovana è stata bloccata dai militari turchi a poche centinaia di metri dal confine siriano e dalla famosa collina dove il 26 gennaio scorso, giorno della liberazione di Kobane, è stata issata la bandiera di 75 metri del Rojava, regione autonoma del nord est della Siria.
Simbolo di libertà che sembra così lontana nel Kurdistan turco dove da luglio si è improvvisamente interrotta la tregua tra Ankara e il Pkk durata due anni. Le principali città curde sono tornate nuovamente sotto assedio, tra coprifuoco, posti di blocco, morti.
A Dyrbakir il termine del cessate il fuoco ha provocato in un paio di settimane un centinaio di morti tra ribelli curdi e forze dell’ordine. Più grave la situazione a Cizre, città di 130 mila anime. La città è rimasta isolata per oltre una settimana, senza acqua ed elettricità, con farmacie chiuse, ambulanze ferme ai posti di blocco e cadaveri avvolti in lenzuola con il ghiaccio per posticiparne la decomposizione.
Il bilancio è di 23 morti, tutti civili, di cui un bambino di 35 giorni e uno di 14 anni. Anche a Yuksekova, altra città abitata prevalentemente da curdi, da due giorni vanno avanti gli attacchi dell’esercito dove è rimasto gravemente ferito un ragazzo di 12 anni.
Il blocco della carovana quindi non stupisce. Già lunedì sera uno dei pulmini della delegazione con a bordo i parlamentari italiani di Sel — Giovanni Paglia e Antonio Burdo — era stato fermato dalla polizia turca che ha perquisito tutti i componenti del gruppo.
«Hanno paura di quello che potreste vedere, documentare, riferire alla comunità internazionale», commenta Suphi Kocyigit, copresidente del Hpd di Suruc, durante una conferenza stampa che ha preso vita a Mesher dopo il blocco della delegazione.
«Questa — continua il co-presidente dell’Hpd — è la conferma che il governo turco sta dalla parte dell’Isis, dal momento che blocca l’arrivo di beni che le permetterebbero di riprendersi». Giocattoli, medicine, elettrocardiografi, quaderni, penne, matite, colori che non sono riusciti a superare il confine e rimarranno “di qua”, in Turchia, nel villaggio di Myaser Caykara, a due chilometri dalla città siriana.
«La priorità di Kobane in questo momento sono le infrastrutture e l’istruzione», fa sapere Enver Muslim, copresidente del cantone di Kobane. In queste settimane, secondo quanto riportato da Muslin, verranno riaperte circa 370 scuole ristrutturate dopo la liberazione della città.
Rimane critica invece la situazione sanitaria: gli ospedali, tutti distrutti dall’Isis, sono ancora completamente da ricostruire. Mancano i macchinari, i medicinali, l’elettricità, che nel centro della città viene erogata da un generatore attivo solo qualche ora al giorno. Il sistema fognario è ancora completamente in tilt.
L’acqua è un lusso. Motivo per cui, nonostante l’Isis sia ora a 150 chilometri di distanza dalla città, molti profughi siriani ospitati nei campi di Suruc non sono ancora rientrati.
da Il Manifesto
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