Un altro morto nelle carceri sioniste, detenuti in rivolta
Malato di cancro, secondo il suo avvocato non riusciva più a stare in piedi e ultimamente aveva perso 15 kg. Nonostante la diagnosi e lo stato terminale della malattia, le autorità israeliane hanno continuato a negare non solo il rilascio, ma anche le appropriate cure mediche.
I numerosi appelli e lo sciopero della fame dei detenuti nelle prigioni di Eshel e di Nafha per la sua liberazione non sono riusciti a salvargli la vita: le autorità carcerarie, infatti, hanno permesso il ricovero soltanto sabato scorso, appena 3 giorni prima del decesso, quando ormai non c’era più nulla da fare.
Maysara Abu Hamdiyeh è il 207° detenuto palestinese a morire nelle prigioni israeliane, il secondo a morire in 2 mesi.
Le politiche repressive e le condizioni a cui sono sottoposti i prigionieri palestinesi hanno raggiunto ormai livelli insopportabili. Accanto agli oltre 1.400 detenuti malati a cui non viene permesso di usufruire di cure adeguate, le autorità israeliane continuano ad arrestare con un ritmo sempre più sfrenato: solo nel mese di marzo sono state arrestati oltre 230 palestinesi.
Certamente gli innumerevoli arresti e la continua repressione non fermano le rivolte in tutta la Palestina e la lotta continua ad avanzare anche nelle prigioni.
Oggi, a seguito della morte di Abu Hamdiyeh, ci sono state forti sollevazioni: tutte le fazioni palestinesi hanno condannato l’accaduto, la rabbia si è riversata nelle strade e, nel frattempo, dalle carceri sono stati annunciati tre giorni di sciopero della fame.
In queste ore ad Hebron – città natale del prigioniero deceduto – sono in corso manifestazioni e scontri, si pretende la liberazione dei prigionieri politici.
La tensione è altissima anche nelle carceri: arrivano notizie di forti proteste nelle prigioni di Ketziot, Ramon e Nafha, Eshel; in quest’ultima – dove era detenuto Abu Hamdiyeh – i prigionieri hanno dato fuoco alle coperte e si rifiutano di tornare in cella. Ovunque la polizia sta rispondendo con botte e gas lacrimogeni, tra i carcerati ci sono almeno 30 feriti.
Che si tratti di omicidio o negligenza, ciò che la morte di Abu Hamdiyeh fa emergere è, ancora una volta, il trattamento disumano a cui i detenuti sono sottoposti, che siano adulti o bambini, condannati o semplicimente sospettati di “attività sovversive” (dall’organizzazione della resistenza al lancio di una pietra…).
Ma di più, questa giornata di lotta ci parla ancora della soldarietà popolare verso i detenuti che, giorno dopo giorno, si mostrano avanguardia delle battaglie per l’autodeterminazione di tutto il popolo palestinese.
La corrispondente di Infoaut dall’area mediorientale
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