Un vero record targato PD: le spese militari toccano i 25 miliardi di euro
La campagna elettorale che si sta concludendo risulta essere una delle più miserrime e infime dalla nascita della Repubblica, sia per quanto riguarda i contenuti sia per quanto riguarda le personalità che occupano la scena politica. Le problematiche sociali reali, per esempio l’emergenza abitativa, il carovita e la precarietà del mondo del lavoro, sembra che non esistano e che la situazione italiana sia ottima se non fosse per l’immigrazione dall’Africa e dal Medio-oriente (e per le manifestazioni delle “zecche dei centri sociali”).
In questo crogiolo di razzismo e ottimismo-buonismo nessuno si spiega come mai il paese sia ancora considerato uno degli attori di primo piano del commercio mondiale; i Renzi della situazione sostengono che sia per le caratteristiche (reali?) del popolo italiano, innovatore, intraprendente e scaltro. La verità è un’altra, l’Italia continua a partecipare e ad essere considerata rilevante nei meeting delle potenze internazionali perché è uno dei maggiori paesi produttori di armamenti.
L’industria delle armi è storicamente uno dei pilastri dell’economia capitalistica mondiale. A partire dal 2001 con l’avvio della guerra in Iraq da parte della Nato la spesa mondiale in armamenti è più che triplicata, in questo quadro i paesi occidentali si sono adoperati per vendere le proprie tecnologie belliche ai paesi in via di sviluppo e ai peggio despoti e dittature. L’Italia non è stata da meno e a partire dal 2014 ha aumentato gli introiti conseguenti le esportazioni di armi da 2,1 a oltre 14,6 miliardi, inoltre la spesa interna per il mantenimento e il rinnovamento degli armamenti dell’esercito si attesta per il 2018 a 25 miliardi di euro (I dati sono contenuti negli stati di previsione allegati alla Legge di Bilancio 2018, approvata dal Parlamento il 23 dicembre 2017) . I principali contractors della difesa italiana sono Leonardo (ex-Finmeccanica), gestita da Mauro Moretti che ha venduto i comparti aziendali non legati al mercato delle armi, e Fincantieri, multinazionale costruttrice di grosse navi sia ad uso militare che civile. Sulla prima vale la pena spendere ulteriori parole, infatti è l’ottavo gruppo al mondo nell’ industria della difesa; la multinazionale non solo ha un ruolo da protagonista nel progetto Eurofighter, da cui ricava guadagni dell’ordine di miliardi di euro, ma ha anche la licenza per la costruzione del programma f35 italiano, il cui costo stimato dalla Corte dei Conti a luglio del 2017 era di 15 miliardi di euro.
L’aumento sia della spesa militare interna che delle esportazioni dell’industria bellica è da attribuire al governo Renzi, strano che il PD si sia dimenticato di fare una delle sue infografiche colorate da sbandierare sui siti. Strano perché questo è forse l’unico risultato ottenuto dal suo esecutivo. Ma effettivamente che figura ci farebbe il partito che sbandiera umanità e buone intenzioni a pubblicizzare i risultati della “locomotiva Italia” quanto a esportazioni di armi illegali per lo stesso ordinamento italiano, dirette a paesi esterni alla Nato, in stato di guerra e amministrati da dittatori che praticano quotidianamente crimini di guerra e contro l’umanità.
Per noi non esiste una spesa militare buona e una cattiva, sia che le armi siano dirette a paesi occidentali e sia che i destinatari siano realtà del Medio-oriente e dell’Africa o il nostro stesso paese, il loro scopo è sempre e solo uno nella società capitalista: sterminare il più alto numero di persone possibili per vincere guerre economiche per la gestione delle risorse e/o per la spartizione geopolitica mondiale.
Vale la pena inoltre sottolineare che i fondi del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) sono impiegati per tre quarti nell’industria militare nazionale sottraendo così risorse per le aziende, enti di ricerca e realtà economiche non operanti nel settore bellico, che contribuisce solo per lo 0,8% al PIL nazionale. Dunque ecco come vengono impiegati i soldi pubblici statali, nel finanziamento delle lobby degli armamenti, che sono rimaste forse le uniche industrie reali sul territorio nazionale ma che per ipocrisia non vengono mai nominate quando si tratta di sfoggiare le “eccellenze italiane”, perché bisognerebbe poi rispondere del fatto che le commissioni maggiori sono indirizzate a quei paesi che praticano le guerre. Le stesse per cui le coste nostrane da otto anni vedono continui sbarchi di profughi.
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