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Una no fly zone per gelare la collera

Dapprima rivendicando riforme politiche e una giusta distribuzione delle ricchezza e poi, davanti alla più spietata e brutale repressione, non rifluisce, ma si carica di energie politiche destituenti capaci, come nel caso della Tunisia e dell’Egitto di liberarsi dagli odiati tiranni, e a volte ad attivare un divenire rivoluzionario, certo precario e suscettibile ancora di arresti e dissoluzioni, ma allo stesso tempo aperto allo sviluppo. In Siria anche oggi, terzo giorno di collera, sono previste manifestazioni contro il regime e in Palestina decine di migliaia hanno rivendicato l’urgenza all’unità e alla fine della tensioni tra le fazioni. In Giordania come in Marocco la collera della piazza ha spinto i sovrani ad annunciare ed allestire riforme politiche e ancora in questi giorni mantiene forte la pressione.

In Yemen vanno avanti gli scontri tra movimento, milizie ed esercito del regime (oggi si contano già 36 morti tra i manifestanti) che non sembra disposto a cedere che delle timide riforme rispetto ad una piattaforma rivendicativa della piazza molto ampia legata alle questioni sociali e politiche. E poi l’Arabia Saudita, l’Oman, il Kuwait sollevatesi in questi giorni in solidarietà alla spietata repressione con cui la corona bahrenita sta attaccando il movimento. Oggi in tutta la penisola arabica è la giornata della collera e il re saudita Abdallah ha annunciato in tv che la repressione sarà dura ed inflessibile. In Iraq il movimento ha unito dal nord al sud del paese le ragioni di un proletariato ridotta alla fame e di una società civile oppressa contro il regime (formalmente) democratico, instaurato tramite la guerra, che non ha esitato ad uccidere i propri cittadini reclamanti giustizia sociale e libertà. In Egitto dopo la cacciata di Mubarak, l’esercito ha preso il potere tentando fin da subito (forte anche del sostegno dei Fratelli Musulmani) di neutralizzare il movimento tramite un mix di repressione ed aperture formali. Nel fine settimana ci sarà il referendum sulla costituzione, tutte le manifestazioni sono state interdette e nei giorni scorsi numerosissimi arresti hanno fatto tornare alla memoria degli egiziani la settimana precedente il 25 gennaio, data di esplosione della rivolta. Il movimento non cede, e seppur  affrontando grosse difficoltà continua a praticare dal basso la contrapposizione sociale al tentativo dell’esercito e dell’establishment capitalista egiziano di neutralizzare la piazza. In Tunisia, è stata duramente contestata ieri la Clinton, definita dal movimento come la “ladra della rivoluzione”, e tutte le energie sono concentrate da una parte sull’elezione della costituente e dall’altra nella realizzazione degli obiettivi sociali ed economici delle rivendicazioni della piazza, tramite scioperi e manifestazioni sindacali che puntano ad ottenere una giusta redistribuzione della ricchezza. In Algeria fuochi di rivolta continui e movimenti organizzati lottano contro il regime di Bouteflika che da mesi sta ricorrendo allo stop and go di concessioni (come la fine dello stato d’emergenza) e repressione.

Questa veloce panoramica della collera è utile per comprendere in quale contesto le forze occidentali stanno tentando di incidere esplicitamente tramite l’allestimento della no fly zone in Libia. Il movimento della collera dopo aver raggiunto livelli importanti di radicalità e massificazione che hanno portato alla cacciata di BenAli e Mubarak, attivando il resto delle regioni arabe si trova ora in un faccia a faccia durissimo con la reazione locale. La collera è alla ricerca e tenta la svolta, che in milioni di arabi immaginavano riprodursi proprio in Libia, per compiere ancora una passo avanti nella lotta.

Le immagini della Bengasi festante dopo il via libera del Consiglio di Sicurezza dell’ONU alla no fly zone, non devono trarre in inganno. Ieri sera era stato trasmesso dalle radio del regime libico un discorso di Gheddafi che annunciava l’imminente attacco alla città dopo una giornata di bombardamenti  che avevano fatto avanzare le forze lealiste al rais. La tensione era alle stelle e la notizia della NO FLY ZONE dal punto di vista della piazza di Bengasi non poteva che essere interpretata come un deterrente all’attacco del maresciallo che tutti si aspettavano da un momento all’altro. C’è da chiedersi come hanno accolto la notizia i libici nelle resto del paese. E’ probabile che essere a conoscenza della possibilità che oltre a subire l’artiglieria dei lealisti adesso ci siano anche le bombe dell’ONU non sia stato motivo di gioia e speranza, anzi.

E ben diversa da Bengasi è stata anche la reazione del resto dei movimenti arabi che leggono nella no fly zone l’ingresso violento dell’occidente e delle forze reazionarie arabe nei processi di cambiamento e trasformazione attivati nelle giornate e mobilitazioni della collera. Nessuna piazza in rivolta aveva mai manifestato la richiesta alle istituzioni internazionali di intervenire nei conflitti sociali e politici locali, molti analisti e commentatori si stupivano che dalla Tunisia, dall’Egitto, o da altri movimenti non venisse fatta alcune richiesta di apertura di processi nei tribunali internazionali contro i rais, ma anzi è sempre stata dichiarata la volontà di voler “saldare il conto” con i propri tiranni tramite le proprie istituzioni, meglio ancora se nate dai processi costituenti in atto. Le potenze occidentali sono sempre state tirate in ballo solo nelle denunce di prossimità, sostegno e appoggio ai regimi che venivano e vengono contestati dai movimenti. La dura contestazione del movimento tunisino alla Clinton, e prima ancora al nuovo ambasciatore francese Boris Boillon, esprimono bene con una parola quale sia il rapporto che le piazze in rivolta arabe vogliono tenere con i governi occidentali: “dégage!”. E d’altronde cosa dovrebbe pensare un manifestante bahrenita che in queste ora viene fucilato in piazza dalla truppe saudite e dall’esercito del proprio paese di una missione per “proteggere i civili libici” a cui partecipano gli eserciti che ora reprimono duramente le contestazioni in Bahrain?

La no fly zone contro Gheddafi ha portato gli eserciti occidentali e delle forze reazionarie ai bordi delle regioni in lotta contro la crisi ed i regimi. Parla chiarissimo il messaggio che ieri notte veniva ripetuto in lingua araba (che traduciamo) in milioni di twitter per comprendere come è stata accolta la notizia tra i movimenti della collera: ”quel pezzo di m…. di Gheddafi, ci sta facendo congelare dagli occidentali la primavera delle rivoluzioni arabe”.

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