Il nucleare che verrà
In questi mesi, su queste pagine, abbiamo descritto il “green deal” europeo in termini di un salto di qualità dell’aggressione del profitto contro i territori, sotto le forme dell’estrazione mineraria, dell’espandersi dell’agroindustria, della proliferazione di infrastrutture e di grandi opere devastanti, e di scelte energetiche che – senza mai abbandonare il fossile – producono distruzione e saccheggio anche attraverso la gestione capitalistica delle energie rinnovabili.
di Giorgio Ferrari da Ecor Network
Ma il 2022 ci porta in dono anche un green deal europeo radioattivo e climalterante.
Con la benedizione di ieri di Ursula Von der Leyen il nucleare e il gas naturale procedono infatti a grandi passi verso l’inserimento nella tassonomia UE delle tecnologie sostenibili dal punto di vista ambientale.
È il secondo atto in questo senso dalla notte di San Silvestro, quando fra botti e libagioni la Commissione Europea ha inviato agli stati membri la bozza del regolamento sulla tassonomia che definisce il nucleare e il gas “come mezzi per facilitare la transizione verso un futuro prevalentemente basato sulle energie rinnovabili”.
Una stesura funzionale a convogliare sull’atomo e sul metano fiumi di denaro pubblico e privato, dato che la tassonomia UE è uno strumento guida per orientare gli investitori e costruire i pacchetti della finanza green.
Mancano, in questo processo, ancora alcuni passaggi: un atto legislativo da sottoporre al Parlamento ed al Consiglio Europeo per l’eventuale opposizione.
I quali, non dubitiamo, approveranno, dato il peso degli interessi in merito. Pochi mesi avranno a disposizione, dunque, i movimenti europei per contrastare queste scelte devastanti e pericolose per il clima, gli ecosistemi e le popolazioni del continente e dei territori di estrazione.
Se sul gas naturale, sulle sue caratteristiche altamente climalteranti, sul carattere distruttivo delle sue infrastrutture, si sono sviluppati negli ultimi anni in questo paese dibattito e lotta, sul nucleare abbiamo probabilmente bisogno di rifare il punto, e di riannodare i fili con la storia dei movimenti che dagli anni ’80 del secolo scorso hanno sbarrato il passo allo sviluppo delle centrali.
Apriamo questo capitolo proponendo in due puntate un saggio di Giorgio Ferrari che descrive “lo stato” dell’arte, tratto dal blog “La bottega del Barbieri“.
Un’analisi approfondita e puntale che prefigura gli scenari di possibile espansione del nucleare a livello mondiale ed europeo e il suo utilizzo a servizio di numerosi settori (dalla logistica militare e civile alle società di estrazione delle criptovalute e data centers), tracciando una mappa delle tecnologie applicate o in avanzato stato di sperimentazione.
L’articolo introduce numerosi elementi di attenzione, come per esempio la possibilità di proliferazione di microreattori ad uso civile e militare, con una conseguente diffusione e distribuzione molto più capillare del rischio sui territori.
In tema di “green deal” europeo, scopriamo inoltre che per rientrare nella tassonomia UE, gli impianti dovranno usare combustibile nucleare “resistente agli incidenti” composto da uranio sensibilmente più arricchito, le cui scorie future saranno ancora più difficilmente gestibili. Dulcis in fundo, le attività inseribili nella tassonomia riguardano anche quelle finalizzate ad estendere la vita utile delle centrali esistenti, dando maggior futuro ad impianti ormai decotti.
Uno scenario dunque a tutta fissione, molto diverso da quello vagheggiato da retoriche nucleariste sullo sviluppo (quantomai improbabile) di tecnologie a fusione nucleare “sicura e pulita”, tornate ultimamente di gran moda. Sviluppo che per ora si risolve nel finanziamento pubblico senza fondo di sperimentazioni energivore e costosissime di processi ad alto grado di instabilità, ma che raccoglie sorprendentemente l’attenzione anche di parte dei movimenti per il clima, come sintomo di un preoccupante calo generalizzato del senso critico.
Anche per questo, l’articolo di Ferrari torna utile per ritornare con i piedi per terra.
Negli annali dell’energia nucleare la storia della Tennessee Valley Authority (TVA) (1), figlia illustre del New Deal Rooseveltiano, occupa sicuramente un posto di rilievo, non solo perché questa società è tutt’ora il più grande produttore pubblico di energia elettrica degli Usa, ma perché proprio nel settore nucleare vanta due indiscussi primati: il primo riguarda la centrale nucleare di Browns Ferry, presso la città di Atene (Alabama), che quando entrò in servizio, nel 1974, era la centrale più grande del mondo; il secondo, più recente, riguarda il terzo impianto nucleare della TVA, Watts Bar 2, che oltre ad essere la prima centrale nucleare Usa ad entrare in servizio in questo secolo (2016), vanta il non invidiabile primato dei tempi di realizzazione: ben 43 anni, dato che i lavori di costruzione iniziarono nel settembre del 1973.
Insieme a questo va ricordato anche il caso del quarto grande impianto nucleare della TVA, quello di Bellefonte costituito da due reattori ad acqua in pressione di progettazione Babcock & Wilcox di 1235 Mw ciascuno, iniziato nel 1975 e poi abbandonato nel 1988 dopo che la TVA aveva speso oltre 4 miliardi di dollari.
I numerosi stop and go che hanno caratterizzato la storia di questi due impianti, a volerli conoscere nei dettagli, fornirebbero tante di quelle controindicazioni tecniche, realizzative, procedurali ed economiche (senza contare quindi, gli aspetti relativi alla sicurezza e alla gestione dei rifiuti nucleari) da indurre qualsiasi imprenditore e/o finanziatore, anche il più temerario, ad abbandonare l’idea di investire soldi nell’energia nucleare.
E nemmeno si può dire che questi sopra descritti rappresentino i soli casi, per quanto esemplari, di insuccesso di questa tecnologia dato che insieme ai disastri di Tree Mile Island (1979), Chernobyl (1986) e Fukushima (2011), non vanno dimenticati altri significativi esempi come:
– il fallimento dei reattori veloci come l’Enrico Fermi negli Usa, il Superphoenix francese e quello giapponese di Monju;
– il fallimento della filiera di reattori al Thorio, anch’essa sviluppata negli Usa, poi abbandonata da tutti salvo che dall’India la quale però, da oltre quaranta anni, continua a finanziarla senza un prevedibile sbocco;
– la posticipazione continua, con una spesa ormai incalcolabile cumulata da 50 anni a questa parte, di progetti più o meno futuribili che vanno dalla fusione nucleare ai reattori di cosiddetta nuova generazione.
Nonostante questo impresentabile pedigree e malgrado l’impopolarità accumulata negli anni, l’energia nucleare si ripresenta sulla scena internazionale con rinnovata vitalità e con inaspettate probabilità di successo che vanno attentamente vagliate.
Stato e tendenze dei programmi nucleari nel mondo
Fare una valutazione dello sviluppo degli impianti nucleari nel mondo è un esercizio problematico per diversi motivi dovendo tener conto degli impianti in esercizio; di quelli in costruzione; di quelli pianificati e di quelli proposti che, salvo il caso di quelli in esercizio, presentano criteri di classificazione alquanto elastici come nel caso degli impianti pianificati e proposti, riferibili ad accordi o intese che non di rado restano solo sulla carta o vengono ridimensionati (2).
Inoltre, tenuto conto che i tempi di costruzione medi di una centrale nucleare non sono inferiori agli 8 anni, ha poco significato confrontare questi dati complessivi da un anno all’altro, per cui è preferibile prendere a riferimento un arco di tempo di almeno dieci anni. In queste brevi note vengono considerati i dati esposti dalla World Nuclear Asocciation (WNA), non perché siano più attendibili di altri, ma perché provengono da una fonte non sospetta di ostilità verso il nucleare, così da non correre il rischio di sottostimare l’andamento complessivo.
Un rapido confronto tra i dati WNA del dicembre 2011 e quello dell’ottobre 2021, non mostra cambiamenti significativi; anzi, a fronte di un aumento dei reattori in esercizio pari ad 8 unità nel 2021, tutte le altre casistiche risultano in diminuzione con un marcato calo dei reattori pianificati che da 156 del 2011 passano a 101 nel 2021.
Nello stesso arco di tempo i paesi interessati a costruire impianti nucleari diminuiscono da 48 a 42 facendo registrare le defezioni di Cile, Italia, Indonesia, Israele, Malesia, Korea del nord, Vietnam, con la sola nuova presenza dello Uzbekistan.
Un quadro tutto sommato stabile, semmai con qualche accenno di flessione che però, al suo interno, mostra delle polarizzazioni e alcune significative novità che saranno utili per interpretare le linee di tendenza dello sviluppo nucleare.
Da un punto di vista geo-politico risulta evidente il ruolo trainante di alcuni paesi asiatici (Cina, Korea, India) oltre a Russia e Pakistan che nel periodo considerato hanno messo in servizio complessivamente 50 nuovi impianti e ne mostrano altri 308 tra pianificati e proposti.
Altrettanto evidente è la novità rappresentata dai paesi dell’area medio orientale (Emirati arabi, Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Turchia) a cui sono attribuiti 30 nuovi impianti tra pianificati e proposti oltre ai 2 già in funzione negli Emirati arabi.
Per quanto riguarda il continente europeo (Russia esclusa) i dati della WNA non risultano del tutto aggiornati in quanto non tengono conto delle ultimissime dichiarazioni di intenti dei governi di alcuni paesi europei che stimano di voler costruire:
■– Francia: 6 EPR(modello di punta della tecnologia francese) + 10 reattori SMR;
■– Inghilterra: 4 EPR + 16 reattori da 460 Mw;
■– Polonia: 6 EPR oltre ad un numero imprecisato di SMR del tipo BWRX300 della Gen. Electric;
■– Romania: 2 reattori CANDU (reattore ad acqua pesante di progettazione canadese);
■– 17 nuovi reattori suddivisi tra Lituania, Bulgaria, Ungheria, Ucraina, Bielorussia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia.
Gli Stati Uniti infine, secondo i dati forniti dalla WNA, rappresentano la grande incognita di questa fase dal momento che, apparentemente, non risultano che pochi nuovi reattori in costruzione o pianificati ma, come vedremo, bisogna tener conto di altri fattori che non sono contemplati nelle tabelle della WNA.
In conclusione l’insieme dei reattori che a tutt’oggi risultano pianificati e proposti assomma a circa 440 unità che se sommati a quelli in costruzione e in esercizio darebbero una cifra molto vicina a 1000 che è il numero auspicato dalla WNA nelle sue proiezioni al 2050, numero che però non è del tutto attendibile in quanto occorre considerare che molti di questi reattori pianificati non saranno mai realizzati e che, inoltre, numerosi reattori oggi in funzione saranno chiusi (nel decennio considerato sono stati messi fuori servizio 45 reattori) per raggiunti limiti di età (sempre che non ne venga prolungata la vita utile come, peraltro, è già successo in Francia e negli Usa).
Quali sono dunque le chances di una ripresa effettiva del nucleare e su quali basi poggiano? Per tentare di comprenderlo occorre tener conto di diversi fattori che, oltre ad esaminare le annunciate novità del nucleare da un punto di vista tecnologico, lo pongano in relazione all’attuale contesto socio-politico ed in particolare alle scelte di politica energetica e industriale che rappresentano i punti fondamentali dell’agenda politica internazionale.
Tra queste strategie occupa sicuramente un posto di rilievo l’ormai prossima decisione della Commissione Europea di inserire il nucleare (ma anche il gas naturale) fra le “attività transitorie” riconosciute nella tassonomia dell’Unione Europea come attività che contribuiscono alla mitigazione degli effetti dovuti ai cambiamenti climatici e che, quindi, possono essere finanziabili subordinatamente al rispetto di specifici requisiti prescritti dal regolamento di applicazione della UE.
Nuove soluzioni per una vecchia tecnologia
1 Combustibile ATF ( Accident Tolerant Fuel)
La tecnologia nucleare è considerata una tecnologia di “punta” perché riassume in sé, più di ogni altra, diverse discipline scientifiche che solo se prese tutte insieme consentono di ottenere il risultato sperato, grazie ad applicazioni tecnologiche estremamente sofisticate. Questa complessità, per certi versi “affascinante”, costituisce il limite stesso di questa tecnologia in quanto è proprio la concorrenza di fenomeni chimici, fisici e nucleari a complicare l’equilibrio di tutte le grandezze in gioco. Nonostante l’industria nucleare si sia sforzata, nel tempo, di rendere più sicure le centrali nucleari, quando quell’equilibrio si è rotto in modo traumatico, i rimedi adottati hanno finito sempre per complicare ancor più le cose e l’esempio più recente è venuto proprio a seguito dell’incidente di Fukushima.
Dopo questo incidente l’industria nucleare ha fatto uno sforzo enorme per trovare una soluzione all’insormontabile problema della rottura del combustibile nucleare (a Fukushima c’è stata la fusione di tre noccioli ) e mettendo insieme i maggiori centri di ricerca del mondo è arrivata a realizzare un combustibile denominato ATF (accident tolerant fuel) , cioè “combustibile resistente agli incidenti”.
Da quanto è dato capire dalla letteratura scientifica fin qui prodotta, l’integrità del combustibile verrebbe in qualche modo “garantita” per 100 ore dall’inizio dell’incidente grave, il che significa un periodo di tempo pari a 5 giorni corrispondente al tempo necessario al calore di decadimento di ridursi a meno del 1% , cioè ad un livello gestibile con normali sistemi di raffreddamento. Si tratterebbe di una svolta decisiva nella progettazione e nel funzionamento dei reattori con positive ripercussioni sulla sicurezza ultima, ma anche sui costi di costruzione dato che i complessi e costosi sistemi di contenimento delle radiazioni verrebbero ridimensionati. La cosa è talmente rilevante che la Commissione europea ha incluso l’ATF tra i requisiti tecnici che le nuove e vecchie centrali nucleari devono dimostrare di possedere per essere inserite nella tassonomia della UE.
Come giudicare questa conclamata “resistenza agli incidenti” del nuovo combustibile nucleare, in attesa dei risultati dei test che forniranno i primi due elementi di combustibile ATF caricati il 3 novembre scorso nel reattore nucleare di Calvert Cliff (Stati Uniti)?
In primo luogo va sottolineato che le prove di laboratorio fin qui effettuate, sono indicative e si limitano a testare solo le caratteristiche meccaniche, in quanto le condizioni reali presenti in un nocciolo comportano stress di gran lunga più complessi (reazioni chimiche, reazioni dovute all’irraggiamento neutronico e, per quanto riguarda il caso di perdita del refrigerante, shock termici estremi) e che non tengono conto -se non in modo simulato – degli effetti del tempo, ovvero di quanto deperiscono le caratteristiche di progetto del combustibile fresco durante il periodo in cui è impiegato nel reattore.
Altra osservazione da fare è che le diverse soluzioni ipotizzate per irrobustire le guaine e le pastiglie di uranio comportano l’impiego di materiali che modificano sfavorevolmente l’equilibrio neutronico del nocciolo essendo questi (cromo, acciaio, molibdeno per le guaine e silicati per le pastiglie) maggiori assorbitori di neutroni rispetto allo zirconio e all’ossigeno. Ne consegue un aumento sensibile dell’arricchimento dell’uranio necessario per ottenere le stesse prestazioni in potenza. Vero è che aumentando l’arricchimento (3) il combustibile può fornire un maggiore burnup (4) e quindi si possono allungare i tempi fra una ricarica e l’altra del nocciolo (maggiore producibilità elettrica), ma come controindicazione si ha un maggiore flusso neutronico e quindi un coefficiente di reattività più elevato (con problemi di stabilità del nocciolo) e un maggiore irraggiamento dei materiali strutturali presenti nel nocciolo.
Infine un arricchimento maggiore incide notevolmente sul costo generale del Kwh e comporta che a fine vita il combustibile abbia un contenuto radiologico molto più elevato anche perché l’acciaio delle guaine, per quanto puro, contiene cobalto che sotto irraggiamento produce Co 60 un isotopo estremamente radioattivo: dunque l’ATF a fine vita, cioè quando diventa scarto da riprocessare, ha un contenuto radiologico sensibilmente superiore agli attuali combustibili con evidenti ripercussioni sulla gestione dei rifiuti, sia in termini economici che di sicurezza.
Ecco dunque che uno sforzo indirizzato ad aumentare la sicurezza di un reattore durante il funzionamento, si traduce in una serie di complicazioni ulteriori per quanto riguarda i processi di fabbricazione del combustibile e i relativi costi, ma anche complicazioni nel funzionamento del reattore e nella gestione del combustibile esaurito.
2 Combustibile HALEU (High assay low enrichment uranium)
Molti dei reattori avanzati che sono in fase di studio, cosiddetti di nuova generazione, sono concepiti per fornire una maggiore potenza per unità di volume. Ciò comporta un grado di arricchimento maggiore del combustibile nucleare compreso tra il 5% e il 20%, valore limite oltre il quale il combustibile nucleare è classificato “weapon grade”, cioè di grado corrispondente o assimilabile agli armamenti nucleari. I reattori di potenza funzionanti nel mondo (vale a dire quelli presenti nelle centrali elettronucleari) hanno un arricchimento medio non superiore al 5% e sono classificati come LEU (Low enrichment uranium, basso arricchimento di uranio); di conseguenza per aumentare il contenuto in U235 di cui abbisognano i reattori di nuova generazione, occorrerebbe far funzionare per più tempo e soprattutto con una maggiore spesa gli impianti di arricchimento fino a raggiungere il grado richiesto che, come si è detto, è compreso tra il 5% e il 20%.
Tecnicamente questo non rappresenta un problema considerato che, ormai, la tecnologia dell’ arricchimento (le famose “centrifughe”) è piuttosto diffusa e consolidata; lo è però dal punto di vista dell’economia generale del ciclo del combustibile nella misura in cui questi nuovi reattori, quando realizzati, saranno dei reattori sperimentali dall’esito incerto che, nel caso di fallimento o abbandono del progetto, potrebbe costituire una doppia perdita: economica, perché più alta è la percentuale di uranio arricchito, maggiore è il costo di produzione; strategica, perché verrebbero sottratti ingenti quantitativi di uranio naturale altrimenti destinato ad alimentare le centrali elettronucleari già in funzione. Per minimizzare questo rischio il DoE (Department o Energy degli Usa) ha concepito il programma HALEU che consiste nel recuperare l’uranio altamente arricchito impiegato nei reattori di ricerca e mischiarlo (con opportuni processi chimico-fisici) con uranio debolmente arricchito (LEU) per ottenere il grado di arricchimento richiesto da questi nuovi prototipi di reattori. Ovviamente, nel caso questi reattori prendessero piede per la produzione di energia elettrica avendo superato i test sperimentali ed ottenuto la licenza di esercizio, si renderebbe necessario un quantitativo di uranio arricchito molto più grande, ottenibile solo attraverso l’arricchimento diretto dell’uranio naturale e quindi con un ampliamento notevole degli impianti di arricchimento, cosa gli Stati Uniti stanno realizzando attraverso la Centrus Energy, partecipata dal DoE, nello stabilimento di Oak Ridge (Tennessee).
Ancor più che nel caso precedente (combustibile ATF) il combustibile HALEU, essendo maggiormente arricchito, renderà più problematica e costosa la gestione dei rifiuti radioattivi, oltre agli interrogativi riguardanti la sicurezza dei materiali strutturali sottoposti ad un irraggiamento neutronico decisamente più alto.
3 Applicazione dell’Intelligenza artificiale (AI) ai reattori nucleari.
E’ il progetto più ardito che il DoE sta sviluppando insieme ai maggiori enti di ricerca e società nucleari; quello più avanzato fa capo al MIT di Boston e a GE research e ha per scopo la semplificazione (automazione) delle attività di Esercizio e Manutenzione del reattore BWRX – 300 con un abbattimento dei relativi costi -qualora realizzato – impressionante.
La tecnica su cui si basa questo progetto è quella dei Digital Twins (gemelli digitali) ovvero realizzare una replica virtuale di grandezze fisiche, potenziali ed effettive, equivalenti a oggetti, processi, sistemi e dispositivi. Nel caso specifico si tratta di riprodurre digitalmente tutti o quasi i sistemi e i componenti del BWRX – 300 e simularne il funzionamento in tutte le condizioni di esercizio possibili. Per la manutenzione invece si tratta di predire il malfunzionamento di un componente o di un sistema al fine di ottimizzare le effettive operazioni di intervento: secondo il responsabile del team di ricerca del Oak Ridge National Laboratory “La riduzione delle operazioni e dei costi di manutenzione sono essenziali per aumentare la competitività economica dell’energia nucleare e la tecnologia del gemello digitale fornisce alle centrali nucleari un mezzo per ridurre i costi di O&M consentendo decisioni informate sul rischio in merito alle operazioni dell’impianto, alla riconfigurazione del sistema e alla pianificazione della manutenzione predittiva che ottimizzano i costi senza compromettere la sicurezza.”
Si tenga conto che proprio la GE ha esteso da alcuni anni l’utilizzo dei digital twins ai sistemi eolici risolvendo così anche tutta la fase di manutenzione e controllo post vendita. Quando una turbina eolica viene venduta, viene associata ad un gemello digitale che fornisce i dati relativi alle condizioni di funzionamento dei suoi componenti.
La riproduzione virtuale e dettagliata di un reattore nucleare attraverso la tecnica del gemello digitale impiegata a fini operativi è quanto di più “spinto” si possa concepire per rappresentare le potenzialità dell’industria 4.0 e con essa le magnifiche sorti dell’annunciata quarta rivoluzione industriale, ma introduce anche un elemento di assoluto contrasto nella interazione uomo-macchina per quanto riguarda la gestione sicura dei sistemi, tanto più se complessi.
Con l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale infatti, a chi (o cosa) sarà affidato il processo decisionale per intervenire sul reattore in caso di emergenza, decisione che attualmente spetta esclusivamente agli operatori ? E in relazione a quali condizioni di funzionamento ciò avverrà? Quelle realmente presenti nel reattore, o quelle simulate dal gemello digitale?
Al di là degli interrogativi etico-filosofici posti dal modo in cui sta evolvendo l’interazione uomo-macchina, qui la questione si pone in termini di convenienza economica (riduzione del costo della forza lavoro) secondo una logica utilitaristica che nulla ha a che fare con l’affidabilità e la sicurezza.
E’ previsto infatti che questi reattori funzionino con meno della metà del personale impiegato nei reattori attualmente in funzione.
4 Microreattori
Questa tipologia di reattori rappresenta la punta di diamante del rilancio del nucleare, i cui dettagli tecnologici sono gelosamente custoditi sebbene i relativi progetti siano stati presentati alla NRC (Nuclear regulatory commission) per ottenere la licenza di costruzione ed esercizio. Tecnicamente si presentano come un derivato della filiera PWR (reattori ad acqua in pressione) di origine militare, anche se non impiegano acqua, mentre invece presentano ibridazioni che rimandano ai reattori a gas e alla chimica degli accumulatori di calore. I più avanzati sono il modello “eVinci” della Westinghouse e i prototipi realizzati dall’Argonne national laboratory nell’ambito dei programmi di ricerca del DoE. Si tratta di reattori a fissione che usano combustibile HALEU o comunque uranio arricchito fino al 20%; sono moderati a grafite e raffreddati ad elio in circolazione naturale (senza bisogno di pompe). Nel reattore eVinci l’elio aziona dei motori Stirling che producono elettricità con potenze variabili fino a 5 Mwe, il tutto assemblato all’interno di un cilindro “canned” (scatolato). Negli altri prototipi la generazione elettrica vera e propria è esterna al microreattore che quindi si presenta come un generatore di calore: in pratica il microreattore è costituito da un nocciolo refrigerato ad elio che tramite uno scambiatore intermedio trasferisce calore ad un circuito contenente sali fusi che, una volta accoppiato il microreattore ad un gruppo turbogeneratore, fornirà il calore necessario a produrre vapore da riscaldamento o energia elettrica con potenze massime comprese tra 10 e 20 Mwe.
Le dimensioni di questi modelli sono tali da stare in un normale container da trasporto, sia su strada che per ferrovia, arrivando ad un peso massimo di 40 t per quelli più potenti. Il progetto di questi microreattori (detti anche “nuclear battery”) è ispirato al concetto del “plug-and-play”, cioè si attacca la spina e si mette in funzione come un normale elettrodomestico. Le caratteristiche del eVinci secondo la Westinghouse sono le seguenti:
■ Generatore di energia trasportabile
■ Completamente costruito e assemblato in fabbrica
■ Da 1 MWe a 5 MWe di calore ed elettricità combinati
■ Vita utile di 40 anni, con intervallo di rifornimento di oltre tre anni
■ Tempi di installazione in loco inferiori a 30 giorni
■ Funzionamento autonomo
■ Capacità di adeguare la potenza erogata al carico richiesto
■ Parti mobili minime
■ Area di emergenza quasi zero con ingombro ridotto del sito
La versatilità di impiego di questi microreattori, come vedremo più avanti, ne fa uno strumento di promozione e penetrazione come non si era mai verificato nella storia dell’energia nucleare. (Continua)
Immagini:
In home page: Satsop Nuclear Power Plant, foto di HeyRocker.
Manifesto del Coordinamento Nazionale Antinucleare Antimperialista, 1986, Fonte: Archivio Libreria Anomalia, Roma.
Fermi 2 Nuclear Power Plant Cooling Towers, foto di AmyZZZ1.
Calvert Cliffs Nuclear Power Plant, Units 1 and 2, foto NRCgov.
Fukushima apocalypse, foto di Abode of Chaos.
Remember Fukushima, foto di greensefa.
Note:
* Giorgio Ferrari, classe 1944, si diploma perito in Energia Nucleare all’Istituto Enrico Fermi di Roma, l’unica scuola esistente allora in Italia in questa disciplina. Dopo una prima esperienza presso la Senn (Società elettronucleare nazionale) che aveva da poco ultimato la costruzione della centrale nucleare del Garigliano, passa al CRN come assistente ricercatore sulla nave oceanografica Bannock e poi presso l’Infam (Istituto di fisica dell’atmosfera e meteorologia). Nel 1967 entra all’Enel, settore nucleare e si dedica principalmente alla progettazione dei noccioli e del combustibile nucleare di cui diviene responsabile del controllo di fabbricazione per tutte le centrali dell’Enel, mansione che manterrà fino al 1987 quando, dopo l’incidente di Chernobyl, fece obiezione di coscienza. Successivamente ha svolto altri impieghi nel settore esteri dell’Enel in diversi paesi dell’America Latina , medio ed estremo oriente. Nel 1972 entra a far parte del Comitato Politico Enel, organizzazione di base che proprio in quegli anni inizia a sviluppare una critica del modello energetico dominante e, in particolare, all’energia nucleare sostenendo e promuovendo le lotte del movimento antinucleare. Stretto collaboratore di Dario Paccino, riedita insieme a lui la rivista “rossovivo” e, nel 1977, è tra i fondatori di “Radio Ondarossa”, con la quale collabora tutt’ora. Insieme a Dario Paccino ha scritto “La teppa all’assalto del cielo” i 72 giorni della Comune di Parigi, Edizioni libri del No. Con Angelo Baracca ha scritto “SCRAM: la fine del nucleare” edito da jaca Book -2011. Scrive sul manifesto ed altre riviste di ecologia ed è consulente scientifico di Isde.
(1) Agenzia governativa degli Stati Uniti fondata nel 1933 per controllare le inondazioni del fiume Tennessee e produrre energia elettrica. La sua giurisdizione copre l’intero bacino idrografico del fiume Tennessee e interessa sette stati: Alabama, Georgia, Kentucky, Mississippi, North Carolina, Tennessee e Virginia. Si deve all’operato della TVA la regolamentazione delle piene del fiume Tennessee con la conseguente produzione di energia elettrica che determinò lo sviluppo di un intero territorio ritenuto insalubre (malarico) e inospitale, realizzato anche grazie all’introduzione dell’azionariato sociale. La TVA iniziò a costruire centrali nucleari negli anni ’60, in risposta alla crescente domanda di energia ed oggi è il più grande fornitore pubblico di energia degli Stati Uniti.
(2) La World Nuclear Association usa la seguente classificazione: Impianti in esercizio: quelli connessi alla rete; Impianti in costruzione: quelli per cui è stata effettuata la prima gettata di calcestruzzo o per cui ci sono lavori di ristrutturazione in corso; Impianti pianificati: quelli per cui esistono approvazioni, finanziamenti o altri impegni importanti in atto; Impianti proposti: quelli per cui esiste un programma specifico o l’individuazione del sito di costruzione.
(3) Per arricchimento dell’uranio si intende quel processo tecnologico che consente di modificare la composizione isotopica dell’uranio presente in natura (Unat = 0,7% di U235 + 99,3% di U238) aumentando il contenuto di U235 in quanto solo l’isotopo 235 consente di generare la fissione nucleare negli attuali reattori, perciò quando ci si riferisce all’uranio arricchito si intende quello in cui la composizione isotopica dell’U235 è aumentata.
(4) Il burnup indica la quantità di energia prodotta per unità di massa dal combustibile nucleare e si esprime in Mwd/t (MW al giorno per tonnellata), cioè potenza generata giornalmente per tonnellata di uranio.
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