Katowice, COP24: l’ennesima farsa globale sull’ambiente
Ha aperto ieri i suoi lavori a Katowice, Polonia, la ventiquattresima edizione della Conferenza Internazionale sul Clima delle Nazioni Unite.
Obiettivo prioritario del meeting è, in teoria, la definitiva implementazione delle linee guida previste dall’accordo sui cambiamenti climatici, raggiunto a Parigi nel 2015. Sono molte le ombre che aleggiano però sulla possibilità di una risoluzione a livello globale di un problema sempre più evidente. Ma che semplicemente cozza con l’imperativo unico del sistema capitalistico: il raggiungimento del profitto a tutti i costi.
Andando con ordine. In primis, a boicottare ogni possibile esito positivo è la volontà americana di non rientrare nell’accordo da cui Washington si è ritirata qualche mese fa. Un accordo che già era molto riduttivo rispetto alle reali esigenze di salvaguardia dell’ambiente. Trump, noto negazionista climatico, è determinato nella sua posizione, dato il sostegno che gli hanno assicurato le lobby del carbone nella campagna elettorale del 2016.
Ciò nonostante lo scorso 23 Novembre tredici agenzie federali americane abbiano pubblicato i risultati di uno studio secondo il quale gli USA rischierebbero, in assenza di politiche adeguate sul tema, una contrazione di circa il 10% dell’economia del paese da qui alla fine del secolo.
Inoltre, l’elezione alla presidenza di Bolsonaro in Brasile rischia di portare anche il paese latinoamericano fuori dall’accordo, dati gli interessi delle grandi lobby del paese in merito alla deforestazione dell’Amazzonia e allo sfruttamento di massa delle risorse energetiche nel sottosuolo del paese. Ma pure in Unione Europea non si scherza nel predicare bene e razzolare male.
Basti pensare che la delegazione che ospita il vertice ha affermato al termine della prima giornata di lavori che la Polonia “non può fare a meno del carbone”. Va aggiunto ai problemi sul tavolo anche l’aumento del consumo e della produzione di combustibili fossili da parte di paesi in rapido sviluppo come Cina, India, Vietnam, Indonesia. Perfino il segretario Onu Guterres ha parlato di un mondo “completamente fuori rotta”.
Per alcuni studi, se non si interviene entro 20 anni con politiche aggressive in materia, le centinaia di morti che al giorno d’oggi sono dovute ai cambiamenti climatici potrebbero diventare milioni. Di fatto una strage invisibile, che porterà a movimenti migratori ancora più imponenti di quelli che si stanno registrando in questi anni. Con mercenari della politica ai quattro angoli del globo pronti a sfruttarli nei termini che ben conosciamo. Ma tra le conseguenze ci sarà anche lo scaricamento della crisi ecologica sui subalterni nelle società, ad esempio rispetto all’accesso a risorse come l’acqua.
L’inazione degli Stati sul deterioramento dell’ambiente non è altro infatti che una strategia politca. Come riportato su una scritta muraria in Francia in queste settimane di mobilitazione, la crisi climatica non è altro che una guerra contro i poveri. La distruzione dell’ambiente viene sempre affrontata, nella migliore delle ipotesi, con il suggerimento di tenori di vita inferiori, con l’abbassamento delle aspettative di vita di chi è gia in una posizione sfavorevole.
E’ proprio contro questo far pagare ai meno abbienti il costo dello sviluppo capitalistico che si stanno ribellando, tra le altre cose, i gilet gialli. Ed è questo che hanno suggerito anche le migliaia di persone che hanno sfilato domenica in piazza a Bruxelles il giorno prima dell’apertura del vertice. Il problema è che serve un cambio di sistema, per affrontare il cambiamento climatico.
L’accordo di Parigi finora è stato ratificato da 183 paesi. A differenza del Protocollo di Kyoto, suo predecessore, non prevede obiettivi vincolanti per i paesi firmatari. L’obiettivo dell’accordo è di mantenere l’innalzamento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Cercando allo stesso tempo di non farla esondare oltre il grado e mezzo. Non è una eventualità semplice: dovrebbe infatti verificarsi una diminuzione di circa il 45% delle emissioni da qui al 2030. E’ oggettivamente impossibile aspettarsi qualcosa dai paesi riuniti a Katowice, che rappresentano i grandi capitali nazionali e internazionali che dalla distruzione dell’ambinte lucrano ogni giorno.
Nel meeting si dovrebbe discutere da un lato dei piani nazionali singoli di riduzione delle emissioni, con ogni paese tenuto a rendere conto su base quinquennale dei propri piani di transizione energetica. Dall’altro, si dovrebbe mettere in campo una discussione in merito agli aiuti da parte dei paesi più industrializzati e sviluppati a quelli meno. Questo al fine di offrire ai paesi in via di sviluppo una possibilità di ridurre il loro impatto energetico, finanziando programmi energetici a bassa intensità di combustibili fossili.
Ma le tensioni sulla stabilità economica internazionale e il clima ultrasovranista anche in tema energetico di fatto rendono ridicola questa road map. Secondo quanto previsto a Parigi, ai paesi in via di sviluppo dovrebbero essere consegnati aiuti per circa 100 miliardi di dollari annui, ma sia nel 2016 che nel 2017 la cifra complessiva è stata ben al di sotto di questa cifra. E possibili nuovi venti di crisi potrebbero fare addirittura scendere in futuro questa cifra.
Obiettivo sarebbe un cambio radicale nelle politiche ambientali in direzione dell’eliminazione dei combustibili fossili. Nel 2017, però, il consumo di carbone è aumentato dopo due anni di calo, e tre quarti del consumo mondiale è relativo all’Asia dove abita più o meno la metà della popolazione mondiale. La Cina sta costruendo nuove centrali a carbone in 17 paesi, e anche il Giappone dopo i fatti di Fukushima ha ripreso ad utilizzare il carbone nella sua dieta energetica.
Senza un accordo globale, il deterioramento del clima potrebbe diventare irreversibile. Ma al grande capitale, interessato solo al profitto nel minor tempo possibile, va evidentemente bene così.
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