La frana di Ischia tra l’ipocrisia generale
Dopo la frana di Ischia è partita la gara ad attribuire le responsabilità, ma nessuno si spinge a fare due più due: il cocktail esplosivo di selvaggia messa a profitto dei territori e crisi climatica che tutti sembrano voler rimuovere. Domani questa ennesima lezione sarà già dimenticata?
Ischia è un’isola che conta sessantamila abitanti su una superfice territoriale di 26,8 km quadrati. Secondo le stime del 2021 il Comune isolano che ha avuto più turisti è stato quello di Forio che si attesta come 39esimo Comune d’Italia con più turisti con oltre 1milione e 295 presenze a fronte delle 1milione e 327mila presenze registrate nel 2018. A seguire, alla 41esima posizione, c’è Ischia con 1milione e 236mila turisti rispetto al milione e 278mila turisti. Numeri minori per gli altri Comuni che, messi insieme, non arrivano al milione di presenze.
Negli scorsi mesi uno dei temi di dibattito rispetto all’isola era l’impatto della guerra in Ucraina con il “drammatico” decremento dei turisti russi.
Le superfici ad alta naturalità sull’Isola sono stimate solo nell’1,5% e sulla terra ferma non vi sono Aree Protette, nonostante la fragilità di un ecosistema isolano come quello di Ischia.
Ora a questa monocoltura turistica si affianca la bulimia del cemento e del tondino ed è piuttosto evidente che in qualche modo questi due fenomeni vadano di pari passo.
In occasione del terremoto del 2017 scrivevamo: “A fronte di un esagerato sviluppo del settore edilizio al servizio dell’industria del turismo locale, non si riscontrano adeguati investimenti in materia di prevenzione sismica, ne per le stesse strutture destinate all’erogazione di servizi per turisti, né tantomeno, cosa assai più grave, per le strutture sanitarie. Quelle presenti nell’isola, infatti, anche con una scossa di magnitudo 4.0, oggi rischiano la non agibilità.”
Queste considerazioni si potrebbero replicare pari pari oggi con l’aggiunta che quanto stiamo osservando è la manifestazione degli effetti reali del cambiamento climatico, non un evento catastrofico randomico, ma una tendenza di cui siamo tutti più o meno consapevoli e che non andrà che ad ampliarsi. Ma le stesse si potrebbero applicare anche a centinaia di altri luoghi nel nostro paese, come Venezia ad esempio, dove l’estrattivismo di matrice turistica è talmente violento da mettere a rischio la stessa sopravvivenza del territorio di cui si tratta.
Ora mentre il teatrino della politica istituzionale procede, distribuendo colpe e prese di distanza, nessuno mette in discussione questo modello di predazione dei territori che vede un consenso bipartisan e su cui il nuovo governo, tanto quanto quelli passati, incoraggiano investimenti, sovvenzioni ed elargizioni.
Oggi ci si concentra sull’illegalità che regna sovrana nelle colate di cemento che avvolgono l’isola, ma è questo intero modello di sviluppo che si basa sul ricavo marginale che si può trarre aggirando qualsiasi norma di buonsenso che si tratti di vincoli ambientali o di legislazione sul lavoro.
Ma si sa, gli influencers dell’imprenditoria italiana sono personaggi alla Briatore e Santanché che di questo modello di sviluppo sono promotori e fiancheggiatori.
Assistiamo ogni giorno alla retorica suprema della “semplificazione” del fare spazio alla libera impresa italiota liberandola da lacci e lacciuoli: cari politici Ischia è la vostra distopia realizzata. Invece che distribuire colpe dovreste dividervi amabilmente i meriti di una distruzione organizzata dei territori del nostro paese per il profitto di pochi.
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