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Maxi inchiesta su Eni: la magistratura si sveglia sul disastro ambientale

Ma della magra consolazione che chi da il senno di poi ce ne facciamo poco. Quasi niente. Certo è che il discorso giudiziario catalizza in qualche modo la codificabilità e l’interpretazione dei fatti legati al petrolchimico di Gela e ad Enimed. Aiuta le ragioni del No a penetrare più in profondità. Gira un’immagine del Movimento No Triv con il volto del presidente Crocetta e la scritta: “Se le bugie hanno le gambe corte, i movimenti allungano il passo”. Rappresentativa dell’affresco apparentemente a tinte fosche in cui si contrappongono grandi interessi, da un lato, e le ragioni dei No, dall’altro. Si perché la capacità dei movimenti di allungare il passo e produrre discorsi e verità strutturate è nota, comprovata e dimostrata dalle varie esperienze cui la storia sta dando ragione. No Tav, No Muos, No Nato, No Inc., No Ponte, ecc. Ma la storia va curvata. E la ragione costruita con la forza e la determinazione. Con la lotta. Anche nel caso delle richieste della procura gelese di condanne per disastro ambientale, omesse bonifiche, getto pericoloso di cose e violazione dei codici ambientali dunque il passo dei movimenti ha preceduto di gran lunga qualunque verità.

Ma la questione rimane complessa. Sul fuoco vari elementi da sviscerare. Primo fra tutti l’annosa questione salute/lavoro. L’inchiesta decennale che ha condotto alla richiesta di condanne per dirigenti e tecnici è relativa al reato di disastro ambientale, il che ha allargato la forbice tra i due “bisogni” sancendone in qualche modo l’incompatibilità. Il lavoro ha voluto dire in questa terra morte, devastazione ambientale, negazione di prospettive economiche e sociali per il futuro in un’Isola in cui la voce maggiore del Pil è paradossalmente quella legata all’estrazione e lavorazione del greggio. O il lavoro o la vita. Alcuni non sembrano essersene accorti, come il segretario nazionale dei chimici di Cgil Emilio Miceli al quale il referendum contro l’allungamento delle concessioni di estrazione entro le 12 miglia fino allo scadere della vita naturale del giacimento, non sembra proprio piacere. “Perchè di gas e petrolio ci sarà ancora bisogno per lungo tempo”. E dunque il livello occupazionale sarà sostenuto per molti anni a venire. Tanta la coerenza interna al mondo sindacale che l’uscita di Miceli è stata subito anestetizzata dalle parole di Susanna Camusso che invita a recarsi alle urne il 17 aprile per votare SI al referendum abrogativo. Ma tant’è.. Intanto il gioco di Eni continua su questa scia e fa trapelare delle indiscrezioni circa l’impossibilità, se le condanne passeranno in giudicato, ad investire nella conversione green della raffineria. Il che comporterebbe ulteriori perdite di posti di lavoro. Come a dire: il prezzo delle colpe di questi anni lo scarichiamo sulla popolazione locale aumentato di un buon venti per cento attraverso la stretta ulteriore del cappio del ricatto.

Di fronte alla chiusura della maxi inchiesta Eni trema. Ma per abbattere un colosso del genere non basta una condanna. La capacità che ha di esternalizzare le perdite è abbastanza solida per cadere sotto i colpi di un’inchiesta. Ci vuole ben altro. Ci vuole il rifiuto. Ci vuole la mobilitazione. Ci vuole organizzazione collettiva. Intanto petrolchimico e Enimed incassano questo colpo e la città di Gela esce un po’ più consapevole delle debolezze del nemico, della propria potenzialità e delle contraddizioni che si aprono in seno alla questione. Una discreta base di partenza per costruire un discorso di rifiuto del lavoro al prezzo della vita.

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