Piacenza: il vuoto della politica lo riempie il marcio
Rimprendiamo da ControTendenza Piacenza alcune considerazioni sui fatti emersi alla cronaca negli ultimi giorni nel piacentino. Un’indagine che ha sollevato il velo su quello che viene considerato a tutti gli effetti un “sistema” che coinvolgeva imprenditori, primi cittadini, dirigenti di diversi enti pubblici, figure della politica regionale e nazionale. Secondo le ipotesi investigative, sindaci e funzionari pubblici avrebbero ricevuto finanziamenti elettorali e altre ricompense, in denaro, lavori o altre utilità, in cambio degli appalti concessi a diversi imprenditori, ai sindaci di Cerignale e Corte Brugnatella, Massimo Castelli e Mauro Guarnieri e a tre funzionari amministrativi. Nell’indagine sono coinvolti politici di centrosinistra e di destra.
Gli appalti al centro dell’indagine hanno a che fare con lo sviluppo dell’indotto logistico ed industriale nell’hinterland piacentino. ControTendenza nel seguente articolo prova a guardare alla vicenda superando l’aspetto giudiziario e ponendo il tema della devastazione ambientale, dello sfruttamento del lavoro e dei territori e del problema, in ultima analisi, della crescita illimitata al fine della predazione capitalista.
Ci risiamo. Abbiamo perso il conto di quante note abbiamo scritto in questi anni in occasione degli eventi “shock” che hanno interessato la nostra provincia tramite cronache giudiziarie.
Così a memoria: i poliziotti che spacciavano e vendevano permessi di soggiorno (2013), gli spazi sociali assegnati a gruppi in odore di neonazismo (2018), le denunce intimidatorie di assessori a ragazzi che le denunciavano (2019), il presidente del consiglio comunale di Fratelli d’Italia arrestato per ndrangheta (2019), i carabinieri che spacciavano e torturavano (2020), l’arresto dei sindacalisti rei di essere presenti a uno sciopero pacifico caricato a freddo dalla celere (2021)…e ora questa.
Questa che è particolarmente grave, perché oltre a indicare un coinvolgimento bipartisan dei partiti nel malaffare, va a toccare un punto che per la nostra provincia è dolente, forse il più dolente: l’utilizzo del territorio, la devastazione dell’ambiente.
Spesso si liquida il problema, anche da parte di chi lo vorrebbe pure tutelare, come un fattore ascritto a quella serie di rivendicazioni e temi appannaggio dei gruppi “ambientalisti”, o comunque ai comitati dei paesi interessati per un interesse specifico.
Grave errore: così facendo si perde una lettura di insieme delle politiche di utilizzo del territorio, quadro necessario per coglierne la natura profonda.
Se si cercasse quella lettura di insieme, si vedrebbe che la provincia di Piacenza tutta è stata letteralmente distrutta, devastata dalla messa a servizio dell’economia “4.0”, l’economia del just in time e delle piattaforme che spostano merci tramite algoritmo.
La pianura, fra Piacenza, Castello e Monticelli, è un paesaggio distopico fatto di capannoni e milioni di camion. Sorvoliamo per un momento sull’aspetto sociale, e sulle macroscopiche dosi di sfruttamento che hanno innescato le lotte sindacali del S.I.Cobas, puntualmente represse in modo esorbitante e grottesco proprio perché vanno ad intaccare la fluidità del sistema per cui il territorio è stato pensato e strutturato, con i relativi interessi economici.
Limitiamoci a constatare il degrado ambientale e sociale che i capannoni portano, con tutto il carico di polveri sottili e malattie che ne consegue, oltre che di impermeabilizzazione del terreno e rischio idrogeologico.
I capannoni si sono espansi e continuano ad espandersi senza freno, arrivando ad accerchiare i paesi prima distaccati dalla periferia infinita.
Le colline sono assediate: lo dimostra l’opera in corso di realizzazione a Gossolengo. Nessuna considerazione dei danni, guida il profitto.
Ma risalendo le valli, in particolare quella Val Trebbia di cui la retorica dei politicanti è poi pronta a intestarsi l’immagine, ecco che sorgono nuovi problemi. Manutenzioni inesistenti, frane, effetti devastanti degli alluvioni proprio in ragione di queste mancanze.
E ad ogni frana, ad ogni ponte che crolla la corsa al trasformare la tragedia in affare. Già oggi la strada in Val Trebbia ha assunto i connotati di una grande via a scorrimento di massa. Con il beneplacito di tanta parte della popolazione interessata forse dovuto anche ai rapporti di lavoro garantiti dal sistema salito oggi agli onori delle cronache. Poche e isolate, perseguitate anche le voci che si sono levate negli anni contro le maxi circonvallazioni e i progetti di futuri maxi viadotti.
Tante infrastrutture per favorire il turismo di massa (anche quello un vero dramma)? Non siate così ingenui. La direzione, chiaramente identificabile se si cerca una visione di insieme, è quella di rendere le nostre valli delle autostrade che portino a tempo record le merci dal porto di Genova ai magazzini di città. I due temi sono collegati e lo rimarranno, al di là degli aspetti criminali della vicenda specifica.
E qua veniamo alla considerazione politica. Perché queste operazioni, che certo porranno un freno su alcune opere specifiche ma non restituiranno il territorio in cui alcune sono già state realizzate, fanno come è normale la loro parte: quella della giustizia asettica, della persecuzione dei reati. Non fanno e non faranno mai la parte che lascia il vuoto della politica, un vuoto che interroga noi tutti come comunità e come gruppi organizzati di lotta per la trasformazione: quella appunto di mettere in discussione il modello che si sta perseguendo (e realizzando) a discapito del nostro territorio.
Si colpisce il reato ma non si dice una parola rispetto alla bontà o meno delle opere. Si colpisce l’appalto truccato ma non si dice niente sul se un’opera sia da fare o meno. Se non fossero avvenuti dei profili di reato ora nessuno starebbe parlando o tematizzando l’intima connessione fra infrastrutture delle valli e devastazione del territorio come da noi descritta poche righe sopra. A dire il vero, non lo si fa comunque: in tutte le dichiarazioni e i commenti letti oggi nessun esponente politico tira fuori l’argomento, come a dire che si va avanti su quella strada, al netto degli inciampati nelle maglie della procura.
E allora lo facciamo noi e ve lo ribadiamo: il problema sono le cupole di potere del cemento ma sono ancora di più le scelte politiche che vogliono trasformare le valli piacentine in delle autostrade corridoio per servire la logistica di pianura, accerchiando e devastando quel poco che rimane di sano e di bello nelle nostre vite.
Qualcuno doveva dirvelo, sperando che quel vuoto di elaborazione e di conseguente azione sia riempito da ora in avanti da una sana partecipazione e opposizione. L’alternativa? Andare avanti a morire a fuoco lento, felicitandosi poi sui social in occasione dei prossimi scandali/arresti ma non incidendo su ciò che ne crea le premesse. Magra consolazione. L’invito è quindi quello di fare uno sforzo di elaborazione in più e di iniziare a muoversi. Non sarà una procura a decidere come usare diversamente la nostra terra, quello è un onere che spetta solo a noi.
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