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Un incendio «normale», senza sistemi d’allarme

di Francesco Piccioni per Il Manifesto

Non poteva capitare in un momento peggiore. L’incendio della Stazione Tiburtina di Roma arriva nel pieno del traffico vacanziero (oltre che di quello senza sosta dei pendolari) e nel vivo dello scontro sull’Alta Velocità con i valsusini. E la reazione del gruppo Fs, nel corso di questi due giorni, è stata di quelle che fanno calare di molto la credibilità di un gruppo dirigente. Ma andiamo con ordine. Solo ieri l’incendio scoppiato nella notte tra sabato e domenica è stato domato dai vigili del fuoco. Solo ieri pomeriggio si è capito – a spanne, perché la struttura è ora a rischio crollo – che il fuoco si è sviluppato nel piano seminterrato della vecchia palazzina centrale ora in ristrutturazione; anzi, proprio nella sala operativa, dove si trovavano concentrate le apparecchiature per dirigere il traffico. Al termine del primo sopralluogo effettuato dagli uomini del Nucleo investigativo antincendio dei pompieri, il magistrato ha aperto un fascicolo ipotizzando il reato di «incendio colposo». Restano aperte tutte le piste, come si usa dire, ma le ipotesi tecniche solo in fondo due: sovraccarico di corrente o malfunzionamento dell’impianto. Ipotesi che chiamano in causa responsabilità dirette di Fs, ovvero della branca Rete Ferroviaria Italiana (Rfi), e in specifico del dirigente responsabile della stazione (che ha formalmente i poteri di un amministratore delegato) e del responsabile del servizio prevenzione e protezione. Sarà un caso, ma l’ipotesi fatta circolare nelle prime ore alludeva – nemmeno tanto velatamente – a un possibile attentato collegato con le tensioni della Val di Susa. Il legame? Nel progetto Tav la Tiburtina costituisce il perno centrale su cui girerà tutto il traffico, sostituendo la gloriosa stazione Termini. Una provocazione contro i valsusini, ma anche un modo di indicare «cause esogene» e chiamarsi fuori dalle responsabilità. Idem con la seconda ipotesi, questa volta avanzata direttamente dal direttore della protezione aziendale, Franco Fiumara: «è assolutamente credibile che l’asportazione di rame possa avere questi effetti». Se non sono stati i black-blok, allora sono stati i Rom. Un po’ di innovazione, anche nell’immaginazione difensiva, tornerebbe utile… Nelle stesse ore la polizia effettuava perquisizioni nei campi nomadi della capitale sequestrando proprio un certo quantitativo di rame, ma senza stabilire collegamenti con i problemi della Tiburtina. Diversi tecnici, di fronte a questa ipotesi, hanno storto il naso. «Anche se fosse plausibile, resta da spiegare perché in un impianto così ‘strategico’ non fosse in funzione né un normale sistema di autospegnimento degli incendi (c’è anche sui vagoni, almeno nei più moderni) e addirittura nemmeno un sistema d’allarme». In effetti, dell’incendio si sono accorti alcuni ferrovieri in servizio quella notte, quando già fiamme e fumo non erano più contrastabili con i normali estintori. Ma nessun segnale automatico era entrato in funzione. E dire che ogni attività lavorativa – da bar all’angolo alla grande multinazionale – è obbligata ad avere impianti antincendio «a norma», certificati dopo un’ispezione dei vigile del fuoco. Ma le Ferrovie su questo aspetto operano «in deroga», in base a una normativa elaborata quando il gruppo aveva come «missione» il servizio pubblico, non il pareggio di bilancio (perseguito attraverso giganteschi tagli di personale e tratte, di retribuzioni congelate, aumento delle tariffe e privilegiamento delle «più remunerative» linee veloci). Normativa che riconosceva a Fs la capacità tecnica e gestionale di autoregolarsi. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, ma quella «deroga» è rimasta. Insomma, qualsiasi sia la causa dell’incendio – persino se qualcuno si fosse introdotto nottetempo nell’impianto per rubare un po’ di rame – la responsabilità dell’azienda sembra indubbia. In attesa delle indagini tecniche condotte in primo luogo dai vigili del fuoco, tutti concordano nel dire che è difficile fare ipotesi: «in quella palazzina c’è un intrico molto complicato di materiali e impianti, ci sono anche uffici dove di giorno c’è gente che lavora, e sottoterra cunicoli con centinaia di chilometri di cavi». Ma tutti restano basiti per l’inesistenza di qualsiasi sistema automatico di spegnimento e allarme; tanto più grave quanto più si definisce «strategica» quella stazione. È su queste cose – oltre che sulle «false piste» buttate in pasto a una stampa presa dall’ansia di «dare la notizia» e poco propensa a farsi domande – che un vertice aziendale si gioca la credibilità. Nella serata di ieri il traffico ha ripreso un ritmo sufficiente a smaltire le code che si erano formate nelle varie stazioni italiane interessate dalla Tiburtina (in pratica tutte, a Nord come a Sud, tranne – in parte – il ramo tirrenico che risale verso Genova e Torino, e quello adriatico tra Bari e Bologna).

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