Un’altra lettera di Giorgio
Saluzzo, 17 febbraio 2012
Cari compagni/e
In questi giorni, per cause di forza maggiore, ho dovuto confrontarmi non tanto con i processi collettivi che necessitano di un lavoro continuativo di comunicazione, di relazioni sociali, di organizzazione, ma con il tempo, spazio importante in luogo chiuso di per sé come il carcere. Dieci giorni alle vallette, dieci giorni a Saluzzo, con trasferimenti, cambi cella, udienze varie. Tocca allora annoiarvi con le mie piccole disavventure di prigioniero, cosa che non apprezzo per nulla, l’individualismo come autosoddisfazione esistenziale non mi appartiene, anzi al culto individualista preferisco di gran lunga la forza e il valore del collettivo.
Bando alle chiacchiere, andiamo ai fatti. Mercoledi sono stato convocato in un ufficio per il consiglio di disciplina. Oltre al direttore c’erano il comandante, il suo vice, due brigadieri, una dottoressa in camice (poteva essere anche una psicologa). Vi evito tutta la discussione, non esaltante, in cui mi sono trovato immerso. Non ci capivamo su nulla, nemmeno sui termini. Gli agenti carcerari io li chiamo guardie; per loro sono assistenti, quasi quasi sono delle crocerossine al servizio dei detenuti e siamo finiti alle comiche con i “rapporti” inviati dalle vallette che affermavano che avrei aizzato i detenuti con frasi ad effetto del tipo “basta, rivoltiamoci tutti, guerra allo stato”. Balle e frasi senza senso che né io né Tobia abbiamo mai detto. Dopo quindici minuti sono stato congedato. Alla sera mi hanno notificato la “sentenza”: 3 erano i rapporti punitivi, 5 giorni di isolamento per rapporto – totale 15 giorni di isolamento. Il bello è che sono già in una sezione di isolamento, che a causa del sovraffollamento sono state raddoppiate (si sta in due per cella).
Oggi venerdi l’ispettore mi ha fatto sapere che il provvedimento sarà esecutivo quando si libererà una cella. Dovrò stare da solo, chiuso tutto il giorno, senza nessuna “attività comune”. Qui vuol dire stare in corridoio alcune ore a giocare a carte e a chiacchierare. Nessun problema. Non sanno che sono ben temprato.
Molti anni orsono, nel 1979, quando avevo 16 anni sono rimasto 35 giorni in una cella di sicurezza al nucleo operativo cc alla caserma Cernaia (lato via Valfrè), in un seminterrato dove la cella (ma forse era meglio chiamarlo buco) con un tavolaccio in legno come branda che occupava il 90% dello spazio, una coperta, nessuna finestra, luce accesa 24 ore su 24, senza mai vedere la luce del sole, senza lavandino, bagno in cella, nessuna possibilità di fare una doccia, con il pasto che arrivava alle nove tutti i giorni e con un solo libro (Cent’anni di solitudine di Garcia Marquez).
A proposito, qui in sezione “isol.”, oltre al barbiere, viene il bibliotecario che stamattina ha portato la lista: c’era pure il libro di Marquez, domani lo porta e lo rileggerò volentieri, insieme al libro che ha spedito Gigi di Lukacs”Lenin teoria e prassi di un rivoluzionario”, quando mi metteranno (quando nessuno lo sa).
Mi porterò anche la radio che i detenuti della sezione che hanno sentito il presidio di domenica mi hanno fatto gentilmente avere. Dove siamo noi, dalla porte opposta, nessuno l’ha sentito ma grazie di cuore lo stesso. Chi mi conosce sa che non sono un complottardo, non vedo nessun trattamento persecutorio dietro questo. E’ il meccanismo carcerario che costruisce queste situazioni. Con una premessa però: tutto parte dalle quattro paginette del direttore Buffa. Nella prima mi dipingevano come un pericoloso sobillatore; nelle altre tre c’erano i rapporti punitivi dell’1-2 e 7 febbraio. Dopo tutto diventa automatico. O vai lì a piagnucolare, a elemosinare qualcosa e accetti il meccanismo della premialità, dei benefici, o vai incontro alla punizione. Quattro sono i livelli punitivi previsti dal consiglio di disciplina: 1.richiamo; 2.ammonizione; 3.esclusione dalle attività ricreative e sportive; 4.isolamento da tutte le attività in comune. Nel quarto caso, che è il mio, non può superare i 15 giorni. Dopo questi livelli punitivi si va al 14bis regime di sorveglianza particolare fino a 6 mesi di durata, poi c’è il 41bis.
A Saluzzo non c’è il degrado delle vallette, tutto è più lindo, professionale, efficiente e nella sezione a fianco ci sono detenuti a regime speciale. Se il nostro lavorante cerca di parlare con loro, rischia un rapporto (è già successo). Se uno litiga verbalmente con una guardia rischia un rapporto, e avanti di sto passo. E’ successo a metà dicembre che un detenuto ancora tra noi indagati/isolati, che esprimeva il suo disagio con gesti individuali è stato raggiunto da un gruppo di agenti (fans delle vecchie famigerate squadrette) che dopo avere chiuso tutti in cella con il blindo, gli hanno dato una “ripassata”, di cui ancora adesso si vedono i lividi sulla testa e un dito rotto. Alcuni giorni dopo lo sottopongono al consiglio di disciplina e gli danno una “ ammonizione” per mettere tutto a tacere. Qualche anima pia si scandalizzerà, ma qui è tutto normale, fa parte del tran-tran carcerario. Simpatici o antipatici, buoni o cattivi, ignoranti (perlopiù) o no, con le guardie il mio atteggiamento è uguale: distacco e indifferenza. Solo con uno ho scambiato un po’ più di chiacchiere in dialetto (piemontese). Secondo lui l’unico simpatizzante no tav. Devo riconoscere che era preparato sull’argomento.
Da quelle poche cose che ho percepito, buona parte dei detenuti nelle sezioni è costituito da soggetti che scontano lunghe pene, da 10 anni all’ergastolo. Vi farò avere un loro documento nei prossimi giorni. Hanno un’idea fissa per la testa: Pannella e radio radicale, che ascoltano con ossessione. Quando hanno sentito la musica del presidio, hanno pensato subito che fossero i radicali (non sapendo della mia presenza). Ma poi hanno capito che erano i No tav. L’amplificazione si sentiva bene, sono stati molto contenti.
Ci sono compagni/e che si sforzano con tenacia e generosamente di seguire la realtà carceraria, sovente usando lenti offuscate dall’ideologismo e dalle facili certezze. Per non andare incontro a cocenti delusioni bisogna confrontarsi con il materialismo della realtà e con le contraddizioni che in carcere sono più vive che mai.
Chiudo con un aneddoto di Antonio Gramsci:
La cella riceve una luce che sta di mezzo tra la luce di una cantina e la luce di un acquaio.
D’altronde, non devi pensare che la vita mia trascorra così monotona e uguale come a prima vista potrebbe sembrare. Una volta presa l’abitudine alla vita dell’acquaio e adattato il sensorio a cogliere le impressioni smorzate e crepuscolari che vi fluiscono (sempre ponendosi da una posizione un po’ ironica), tutto un mondo incomincia a brulicare intorno, con una sua particolare vivacità, con sue leggi peculiari, con un suo corso essenziale. Avviene come quando si getta uno sguardo su un vecchio tronco mezzo disfatto dal tempo e dalle intemperie e poi piano piano si ferma sempre più fissamente l’attenzione. Prima si vede solo qualche fungosità umidiccia, con qualche lumacone, stillante bava, che striscia lentamente. Poi si vede, un po’ alla volta tutto un insieme di colonie di piccoli insetti che si muovono e si affaticano facendo e rifacendo stessi sforzi, lo stesso cammino. Se si conserva la propria posizione estrinseca, se non si diventa un lumacone o una formichina, tutto ciò finisce per interessare e far trascorrere il tempo.
Un saluto a tutti e a tutte.
Giorgio
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